lunedì, 9 Dicembre 2024

Parità di genere, Scicolone: «In azienda è un asset di sviluppo nel quale la governance deve investire»

Sommario
Florinda Scicolone parità di genere

Vittoria, a metà, per la Golfo-Mosca (Legge 1020/2011), che ha introdotto l’obbligo normativo di riserva di posti a favore del genere sottorappresentato negli organi di amministrazione e dei collegi sindacali delle quotate in Borsa e partecipate. «La parità di genere aziendale è un asset di sviluppo dell’impresa nel quale la governance deve investire», dice Florinda Scicolone, esperta per la Strategia delle Politiche di Genere Aziendali. «A fine 2022, la presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle società quotate ha raggiunto addirittura il 43%, superando la quota obbligatoria del 40% prevista dalla legge. Ma se guardiamo i dati del rapporto Consob 2022 sulla Corporate Governance delle società italiane quotate non c’è dubbio: la parità di genere in Italia ha ancora molta strada da fare. È evidente che senza una normativa vincolante, la situazione stenta a migliorare. Questo risultato dimostra che ancora oggi sono necessarie leggi che impongano l’equilibrio di genere».

LE NORMATIVE RAPPRESENTANO L’UNICO STRUMENTO

Ci spieghi meglio…

«Ci si sarebbe aspettati che, alla fine dello scorso anno, la transizione culturale verso una volontà reale delle aziende di promuovere la parità di genere fosse già avvenuta. Ma purtroppo non è così. Se non fosse stata introdotta la legge Golfo-Mosca, probabilmente i numeri dei consigli di amministrazione sarebbero rimasti ai livelli irrisori del 3-4% registrati nel 2011. Ci troviamo ancora nella situazione in cui le normative rappresentano l’unico strumento per spingere le aziende verso la parità di genere».

Qual è stato l’effetto della legge Golfo-Mosca sul dibattito e sui risultati della parità di genere?

«La legge Golfo-Mosca, introdotta nel 2011, prevede le quote del genere sottorappresentato nei cda delle società quotate e partecipate in Italia. L’obbligatorietà della norma è sostenuta dalla Consob, che controlla le società quotate e può sanzionarle con la decadenza del cda se non applicano la percentuale prevista. Nel corso degli anni, la soglia prevista è stata aumentata dal 30% al 40%, che è stata superata negli ultimi 3 anni. Tuttavia, l’efficacia della legge è meno evidente nelle partecipate, dove non c’è un meccanismo di controllo da parte di un’autorità indipendente. Infatti, la presenza delle donne come amministratori delegati e presidenti di consiglio di amministrazione è ancora limitata».

LA CERTIFICAZIONE OFFRE UN INCENTIVO ALLE AZIENDE

Come si può affrontare questa situazione?

«C’è la necessità di un intervento normativo. Attualmente, la legge Golfo-Mosca si applica solo ai consigli di amministrazione, escludendo le deleghe. Di conseguenza, i numeri per amministratori delegati e presidenti rimangono estremamente bassi, con appena il 2% di donne come amministratori delegati e il 4% come presidenti alla fine del 2022. Dovremmo passare da un’obbligatorietà normativa a una volontarietà da parte delle governance aziendali nell’investire nella parità di genere. Purtroppo, in Italia, non siamo ancora a questo punto. Eppure la certificazione offre un incentivo alle aziende che volontariamente investono nella parità di genere, come bandi agevolati e premialità dal mercato. Le aziende con una maggiore presenza femminile funzionano meglio, sono più competitive e ottengono migliori risultati finanziari».

Quali sono gli approcci delle aziende italiane in questo senso?

«È necessario considerare il criterio del merito in modo equo per entrambi i sessi, come stabilito dal principio di uguaglianza dell’articolo 3 della Costituzione. Nonostante questi sviluppi normativi, il cambiamento culturale completo richiede la volontà e la scelta senza l’obbligo imposto da una norma».

CHI INVESTE HA UNA CRESCITA ECONOMICA SIGNIFICATIVA

Come può la promozione della parità di genere influire sulla crescita economica e sulla sostenibilità delle imprese italiane?

«Bisogna considerare la promozione della parità di genere aziendale come un elemento chiave per il successo delle imprese. Le aziende che investono nella crescita femminile, nella parità salariale e nella conciliazione lavoro-maternità, adottando pratiche come lo smart working, la flessibilità degli orari e l’attenzione alle esigenze familiari, registrano una crescita economica significativa. La pubblicazione delle dichiarazioni non finanziarie della direttiva europea, che include i dati sulla parità di genere, è obbligatoria per le grandi imprese quotate e si è dimostrato che le aziende che le rendono pubbliche sono anche quelle con i migliori bilanci. Tuttavia, le sfide nell’applicazione di questo modello di welfare aziendale nella maggioranza delle micro, piccole e medie imprese richiedono il sostegno dello Stato, poiché possono avere grosse  limitazioni finanziarie per implementare tali politiche».

La Direttiva parità salariale può eliminare la discriminazione di genere nel lavoro?

«Prevede importanti disposizioni come la pubblicazione dell’offerta economica negli annunci di lavoro e il divieto di richiesta della RAL. Una precisazione: la disparità salariale in Italia riguarda principalmente la progressione delle carriere, dove gli uomini hanno maggiori opportunità di crescita rispetto alle donne. La direttiva aiuterà a combattere la disparità salariale perché i dati di trattamento economico saranno resi pubblici. È importante che le aziende comprendano che valorizzare le donne significa valorizzare l’impresa, con un ritorno dimostrato sul bilancio e la competitività». ©