sabato, 27 Aprile 2024
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microchip

Si concretizza la rincorsa europea nel mercato dei semiconduttori. Con due approcci diversi: uno dall’alto, con il Chips Act, e l’altro dal basso, con l’Alleanza Regionale per i semiconduttori. L’Unione si prepara così a lanciare la propria iniziativa per recuperare il distacco accumulato rispetto al resto dei Paesi sviluppati. La crisi del mercato globale seguita alla fine della pandemia ha convinto le autorità comunitarie a cambiare politica e a non appoggiarsi più sui soli prodotti statunitensi e cinesi.

Gli obiettivi sono ambiziosi, ma lo sono anche gli investimenti che la Commissione Europea ha promesso. La soglia minima fissata è quella del 20%: un quinto della produzione mondiale di semiconduttori dovrà avvenire nel Vecchio Continente. Insomma, significherebbe più che raddoppiare l’attuale porzione di mercato in mano alle aziende europee, che si attesta attorno al 9%.

Intanto, il settore prospera e si espande: secondo un rapporto di McKinsey & Company, il valore globale del segmento dei semiconduttori ha superato i 500 miliardi di dollari nel 2022. Cifra che raddoppierà entro il 2030, data indicata come orizzonte temporale del piano europeo.

Il piano europeo per i microchip: l’alleanza delle Regioni

In sostanza, in UE entro sette anni andranno prodotti 200 miliardi di dollari in microchip. Tuttavia, non è soltanto l’Unione Europea ad avere piani di espansione di questo settore. Anche Giappone e USA vogliono diminuire la propria dipendenza dall’estero in questo campo, con massicci investimenti per soddisfare la domanda interna.

In attesa degli Stati, si muovono le Regioni. 27 enti locali europei hanno firmato a Bruxelles la dichiarazione fondante di una rete che dovrà coordinare le iniziative volte a stimolare l’industria europea dei semiconduttori. Un’alleanza per i microchip, lanciata dal Land tedesco della Sassonia in collaborazione con il Comitato europeo delle Regioni. Sono 12 gli Stati coinvolti, tutti parte dell’Unione Europea, con la notevole eccezione del Regno Unito.

Tra le istituzioni coinvolte nel piano infatti c’è anche il governo del Galles, che, nonostante la Brexit, ha scelto di farsi avanti per approfittare di questa alleanza e portare in Gran Bretagna parte dell’iniziativa europea per cambiare il mercato mondiale dei semiconduttori. A guidare la compagine di Regioni che si è fatta portatrice di questo progetto è però la Germania. Ben 10 Länder tedeschi su 16 hanno preso parte all’atto di nascita dell’alleanza, andando a comporre quello che è di gran lunga il gruppo di Regioni più importante. 

A seguire, la Spagna con quattro, l’Austria, la Finlandia e i Paesi Bassi con due e il resto dei partecipanti, tra cui anche l’Italia, con uno. Il nostro Paese è in compagnia di Belgio, Francia, Irlanda, Portogallo, Repubblica Ceca e appunto Regno Unito. È stato il Piemonte ad aderire per l’Italia, ottenendo la vicepresidenza dell’alleanza, per sostenere la propria filiera dei semiconduttori.

Riparazione di un chip

Gli investimenti di Intel in Italia

Un ruolo importante per una Regione che fino a pochi mesi fa era una delle candidate italiane a ospitare un enorme investimento dell’americana Intel. La multinazionale, una delle più importanti aziende produttrici di microprocessori al mondo, intendeva costruire uno stabilimento, concentrato sulla fase finale di test dei dispositivi. Un impianto inserito in un progetto europeo da 80 miliardi di euro, che vedeva anche un polo francese di ricerca e sviluppo e uno tedesco di produzione.

Di questi, 4,5 miliardi di euro sarebbero stati dedicati proprio a un centro italiano. Gli impiegati avrebbero dovuto essere 1.500, con la creazione, nel complesso di ben 3500 posti di lavoro, contando quelli indiretti. A pochi mesi dall’annuncio del piano, avvenuto nel 2022, sono emerse due candidature, quella del comune veneto di Vigasio e quella di Settimo Torinese, a pochi chilometri dal capoluogo piemontese. Le autorità italiane continuano a sostenere di essere ancora in trattativa con Intel e la multinazionale americana non si è ancora ufficialmente tirata indietro, ma da oltre un anno la trattativa sembra ferma.

Proprio il Piemonte spera di rilanciarla sia grazie all’alleanza con le altre Regioni europee, sia grazie alla presenta sul territorio di Spea. Si tratta di un’azienda specializzata nella produzione di macchinari volti a eseguire il collaudo di microchip. Tra i suoi clienti conta già Apple e Bosch, e Intel potrebbe aggiungersi alla lista grazie al nuovo stabilimento italiano.

Il ritardo dell’Europa e il piano per recuperare

Questa alleanza tra Regioni è la diretta conseguenza della decisione dell’Unione Europea di riportare una parte significativa della produzione mondiale di semiconduttori all’interno dei confini comunitari. Una necessità emersa dopo la fine della pandemia, quando la crisi dei commerci globali ha mostrato quanto il Vecchio Continente fosse dipendete da Stati esteri.

Senza la fornitura di chip proveniente da Taiwan e dalla Cina, le aziende del Vecchio Continente hanno accumulato ritardi nella produzione di moltissimi beni, dai computer alle automobili, situazione che ha frenato il rimbalzo post Covid-19 dell’economia.

La presa di coscienza da parte delle autorità europee della difficile situazione del settore tecnologico nell’Unione passa da un dato. I semiconduttori prodotti in Europa pesano soltanto per meno del 10% sul mercato globale. In aprile nasce quindi l’intesa tra i Paesi membri, con un obiettivo: raddoppiare questo dato nel giro di soli sette anni. Entro il 2030 l’Unione Europea dovrà produrre un quinto dei semiconduttori globali, sganciandosi dalla dipendenza dall’estero ed entrando negli equilibri economici di questo settore da pari con Cina e Stati Uniti.

Macchine lavorano su microprocessori

I tre pilastri del Chips Act

In estate è stato approvato definitivamente lo European Chips Act, frutto di mesi di lavoro alacre. Fa eco, per finalità e modalità, alla legge approvata dall’amministrazione di Joe Biden nel 2022. Con il via libera finale arrivato il 25 luglio, la Commissione Europea mette a disposizione 43 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati, di cui 3,3 direttamente dal bilancio dell’Unione, che vanno a finanziare i tre pilastri della normativa.

1. Chips for Europe

Questa prima iniziativa assorbe proprio i fondi provenienti dal bilancio dell’Unione Europea e consiste nel mettere in comune le risorse degli Stati membri, del settore privato e di tutti gli altri Paesi associati, al fine di aumentare le capacità di sviluppo di nuove tecnologie. Negli ultimi anni, infatti, affidandosi sempre di più a Cina e Stati Uniti, l’Europa è rimasta indietro nel campo dell’innovazione. Un gap che dovrà recuperare, se vuole poter competere con il resto del mondo. Questo pilastro farà parte del Programma Europa Digitale, già stabilito e finanziato a utilizzare anche parte dei fondi degli Strumenti per la ripresa e la resilienza.

2. Approvvigionamenti

Uno dei problemi principali causati dalla dipendenza dall’estero dell’Europa per quanto riguarda la produzione di semiconduttori è stata la poca sicurezza che le aziende europee avevano sviluppato nei loro approvvigionamenti. La crisi del commercio mondiale ha esposto queste criticità, portando quindi alla luce la necessità di avere una strategia migliore sulla catena delle forniture. Per evitare che questo possa accadere nuovamente, l’Unione Europea si impegna a sveltire le procedure di approvazione dei cosiddetti impianti “primi nel loro genere”, in modo da attirare maggiori investimenti del settore sveltendo la burocrazia.

3. SOS crisi

Ben consapevoli del fatto che la totale indipendenza dall’estero non sia comunque possibile, dato il ritardo che l’Europa ha accumulato in questi anni rispetto a Cina, Taiwan e Stati Uniti, le istituzioni europee stanno formulando un piano da attuare in caso di crisi delle forniture. La Commissione potrà attivare queste misure di emergenza e dare priorità alla fornitura di semiconduttori e chip in caso si rilevi una carenza. Questo dovrebbe impedire il verificarsi di situazioni simili a quelle del 2022, in cui l’Europa non è stata in grato di ottenere una priorità nelle rotte commerciali internazionali dei chip, con conseguenze critiche per l’economia.

Testing dei microprocessori

La guerra dei microchip: USA contro Cina

Ma l’UE non è l’unica ad investire nei semiconduttori. I due giganti dei chip non stanno certo a guardare e sia Cina sia Stati Uniti preparano il proprio piano di sviluppo per garantire una fornitura sicura di questi prodotti alla propria economia e mettere in difficoltà i propri diretti concorrenti. L’ultimo in ordine di tempo a prendere misure in questo senso è il governo di Pechino. Il presidente cinese Xi Jinping ha lanciato un’iniziativa da 300 miliardi di yuan, circa 40 miliardi di dollari, per rafforzare la propria industria dei semiconduttori.

A differenza di quella europea, la catena di approvvigionamento tecnologica cinese ha il vantaggio di avere a disposizione un’abbondanza di materie prime. Le cosiddette terre rare, elementi della tavola periodica fondamentali per la costruzione di alcuni componenti dei chip e delle leghe che formano i materiali semiconduttori, sono in mano a Pechino. La produzione cinese arriva a coprire perfino il 60% di quella globale e le riserve ammonterebbero a un terzo di quelle scoperte. 

L’obiettivo del Dragone è l’autosufficienza, possibile proprio grazie all’abbondanza di materie prime. Realizzabile con le infrastrutture già presenti sul territorio. Ma anche, in un certo senso, imposta dalle circostanze. Fin dall’elezione di Donald Trump nel 2016 alla Casa Bianca, infatti, gli Stati Uniti hanno interrotto le proprie relazioni commerciali privilegiate con la Cina, dando vita, in alcuni settori strategici, a una vera guerra commerciale.

Le sorprese della Cina

Joe Biden non ha revocato la politica ostile di Donald Trump, che aveva mostrato come, nonostante l’enorme capacità produttiva, la Cina dipenda ancora molto dall’estero per l’importazione di tecnologie molto avanzate. Deficit che a quanto pare si sta però colmando, come testimonia l’uscita sul mercato dello smartphone Huawei Mate 60 Pro, dotato del chip Kirin 9000s in grado di sfruttare le reti 5G. Un livello di avanzamento tecnico di cui si pensava le aziende cinesi fossero sprovviste.

Le misure prese dagli Stati Uniti non si limitano però soltanto alla guerra commerciale con la Cina. Forti di una leadership tecnologica assunta negli ultimi 20 anni, gli USA si concentrano ora sulla capacità produttiva delle proprie manifatture.

La legislazione americana

Il Chips Act americano, firmato nel 2022 dal presidente Joe Biden e figlio della legge sull’innovazione del 2021, porterà enti pubblici e soprattutto investitori privati a riversare oltre 200 miliardi di dollari per aumentare i volumi di microchip che ogni anno le aziende americane possono generare. La vera sfida per attuare gli obiettivi contenuti in questo piano sarà però quella della manodopera specializzata. La creazione di chip e di semiconduttori richiede alti livelli di istruzione e di competenze che spesso non sono presenti e che andranno create anche a livello universitario.

Le aziende coinvolte in questa iniziativa sono alcune tra le più importanti del settore a livello globale. In testa c’è la taiwanese TSMC, che in questi anni ha contribuito a rendere l’isola al centro di una delle dispute territoriali più tese degli ultimi decenni, fondamentale per le economie occidentali. Un altro Paese che per anni si è appoggiato a Taiwan per la sua fornitura di semiconduttori è il Giappone.

Non a caso, anche Tokyo vuole intervenire sensibilmente nella sua industria di produzione dei microchip. Decisione dovuta anche alla presenza sull’isola delle sedi di importanti multinazionali della tecnologia come Sony o Nintendo. Aziende che dipendono dalle forniture di semiconduttori per garantire una produzione costante e che soddisfi la domanda. Per questa ragione il governo giapponese ha deciso di investire, attraverso la Japan Investment Corporation (JIC) 6,4 miliardi di dollari in JSR. SI tratta di un’azienda che produce alcune componenti fondamentali per la creazione di chip e che conta tra i suoi clienti la coreana Samsung.

Solo 2 quotate a Milano

In Italia le principali realtà legate alla produzione di semiconduttori e microchip sono due: STMicroelectronics e EEMS, entrambe quotate alla Borsa di Milano. STMicroelectronics impiega oltre 45.000 dipendenti e ha recentemente lanciato alcune collaborazioni internazionali per espandere il proprio business.

Alla fine del 2022 ha siglato un accordo con Soitec, colosso francese del settore, che l’ha portata a diventare uno dei principali produttori europei di semiconduttori. Il suo stabilimento di Catania, in cui sono stati di recente investiti 730 milioni di euro, occupa 4.000 persone, alle quali andranno ad aggiungersi altri 700 nuovi assunti.

Il suo assetto proprietario vede al 27% STMicroelectronics Holding NV, controllata per metà dal Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano e per metà da due enti francesi, la banca di investimento Bbifrance e la società pubblica CEA. Buona parte del capitale è però diviso tra piccoli azionisti, tra queste spiccano la società di investimenti BlackRock e DNCA Investments.

Quotata a Milano, Parigi e New York, le sue azioni sono scambiate attorno ai 40 euro in Borsa, con un market cap in crescita del 16% nell’ultimo anno. EEMS nasce invece nel 1994 dalla corporazione del ramo italiano di Texas Instruments, ed è da allora quotata a Piazza Affari. Si concentra nell’assemblaggio e nella finitura dei semiconduttori e dei prodotti finiti per l’industria dell’elettronica.

Negli anni, è stata in grado di diversificare molto il proprio modello di business, investendo anche nel mercato delle energie rinnovabili con la sua controllata Solsonica, che si concentra sulla produzione di celle per il fotovoltaico. Sul mercato azionario il titolo può essere considerato una penny stock, con un valore di 2 centesimi per azione. ©

📸 Credits: Canva

Tratto dal giornale del 1 ottobre. Se vuoi leggerlo, abbonati!

Attento alle tendenze e profondo conoscitore della stampa estera, è laureato in Storia del giornalismo all’Università degli Studi di Milano. Dinamico, appassionato e osservatore acuto, per il Bollettino si occupa principalmente del mondo dello sport legato a quello finanziario e del settore dei videogiochi, oltre che delle novità del comparto tecnologico e di quello dell’energia.