sabato, 7 Dicembre 2024

Aziende e certificazioni: ecco come investire in ESG genera profitti

Sommario
ESG

Sostenibilità al centro delle sfide per Aziende e PMI. Malgrado ciò, gli investimenti ESG hanno subito una battuta d’arresto: nell’ultimo trimestre 2023 la spesa è diminuita di 2,7 miliardi di dollari (Dealbook).

«Nel settore delle imbarcazioni di lusso questi temi sono sempre più prioritari», dice Luigi Bottos, Head of ESG Certification Strategic Centre di RINA. «Le nuove generazioni acquistano yacht con sistemi di propulsione di ultima generazione, ad esempio con biocarburante, fuel cell o ibridi – biocarburante + batterie – realizzati per quanto possibile in materiale riciclato e dotati di sistemi di produzione di energia come i pannelli solari».

ESG Bottos

Così i prezzi salgono…

«Sì. Questo tipo di tecnologie e di materiali si stanno diffondendo e, quindi, risultano attualmente molto costose, di conseguenza fanno aumentare il prezzo dell’imbarcazione rispetto a quelle tradizionali e scoraggiano potenziali acquirenti».

Non si può trascurare l’aspetto economico, se si vuole avere un futuro

«Sostenibilità è un termine molto ampio: possiamo definire sostenibile tutto quello che è in grado di avere una posizione di business competitiva con ritorni di carattere economico stabili nel tempo, ad esempio in termini di margine operativo, EBITDA e altri indicatori. Questo però non è sufficiente, serve anche un altro aspetto: la condivisione di valore anche con gli stakeholder all’interno del concetto della value-chain. Fino a qualche tempo fa sentivamo parlare solo della supply-chain, ovvero tutto quello che è a monte dell’organizzazione. La value-chain comprende anche quello che c’è a valle. Sostenibilità vuol dire creare una posizione di business competitiva all’interno della catena del valore. Un principio che vedremo in due prossime direttive dell’Unione europea: la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD)».

Parliamo di ESG. Fino a poco tempo fa il dibattito si concentrava principalmente sull’aspetto ambientale…

«Oggi si può fare impresa attraverso strategie di sostenibilità che devono permeare l’azienda, analogamente a quanto accade per i piani per lo sviluppo di un nuovo prodotto. Dev’essere fatto in modo sinergico ed integrato. In riferimento al cambiamento climatico si parla soprattutto delle emissioni di CO2 ma non è l’unico aspetto, seppur importantissimo, di cui tenere conto. Ci sono altri quali la biodiversità, i rifiuti, l’acqua, fondamentali per una corretta transizione ecologica che influenzano i cambiamenti climatici i quali, a loro volta, hanno ricadute in ambito sociale ed economico. Ad esempio, l’innalzamento delle temperature comporta che una coltura non possa più essere coltivata a una certa altitudine».

ESG

Che ruolo hanno la finanza e le Big Oil nel calo dei fondi Environmental, Social and Governance (ESG)?

«Parliamo di un tema controverso. Infatti, gli esperti in ambito ESG e di finanza sostenibile dichiarano che un investimento Green porta maggiori benefici rispetto a uno non incentrato sui criteri Environmental, Social and Governance. Bisogna analizzare caso per caso. Investire in un’azienda o in un’attività ESG vuol dire mettere risorse in settori che hanno un rischio di eventi dannosi in ambito ambientale e sociale minori rispetto a un investimento che non considera questi principi. Se guardiamo alla profittabilità, questo elemento risente del ruolo del Mercato e della finanza in sé.

Sicuramente dovrebbe esserci una correlazione positiva tra investimenti Green e profitto, soprattutto per il fatto che quelli in ESG sono meno a rischio di creare danni ambientali e sociali, con potenziali conseguenze di carattere economico dovute ad ammende e sanzioni: elementi che diminuiscono la business continuity. Purtroppo, nel mercato, soprattutto in ambito borsistico, a volte bastano alcune dichiarazioni per spostare i trend. A livello macroeconomico si sta affermando una tendenza partita da BlackRock e dal Fondo Sovrano Norvegese, che da anni hanno deciso di non investire più in attività legate ai settori cosiddetti brown».

Per quanto riguarda le Big Oil invece?

«È importante ripensare a che ruolo hanno le aziende del settore Oil & Gas. Ci troviamo di fronte a un paradosso: è vero che queste impattano di più dal punto di vista ambientale, ma sono anche quelle che potrebbero ottenere un risultato migliore in termini di transizione (pensiamo ai settori hard to abate: acciaio, cemento, vetro, carta, trasporto aereo e marittimo). Ad esempio, il fatto che le società petrolifere manifestino l’intenzione di passare dai carburanti ai biocarburanti è positivo, aldilà della polemica riguardo disponibilità e costi, perché quello dei trasporti è un settore con grande margine di miglioramento, mentre in altri si lavora più a livello di rifinitura.

biocarburanti

Questo dipende anche da una scelta normativa. Infatti, fino al 2016 gli interventi in ambito ESG effettuati dalle organizzazioni erano per la maggior parte di carattere volontario, ad esempio attraverso l’adozione di sistemi di gestione ambientale, sociale, di salute e sicurezza. Negli anni successivi abbiamo assistito a un intervento più massivo da parte del legislatore, in particolare la Commissione europea, che ha iniziato a mettere in campo diverse iniziative perché si è accorta che non bastava più lasciare il pallino in mano alla volontà del singolo».

La Commissione Europea ha adottato il Piano d’azione sul finanziamento della crescita sostenibile, definendo una strategia globale sul tema della finanza sostenibile che coniuga finanza con attività/investimenti sostenibili. In tale contesto, che ruolo assume la tassonomia?

«La tassonomia europea definisce i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile, al fine di individuare il grado di sostenibilità di un investimento dal punto di vista ambientale e sociale. Dalla tassonomia Ue sono state escluse le attività brown, anche se in un secondo momento sono state inserite le attività gas naturale e nucleare a condizioni restrittive. Questi sono settori in cui si potrebbe intervenire con maggiore risultato per ridurre l’impatto ambientale, ma sono stati esclusi dalla tassonomia proprio perché l’obiettivo è quello di promuovere esclusivamente le attività economiche sostenibili.

Un’esclusione che pesa perché riduce la possibilità di ottenere finanziamenti sia dal canale privato (es. banche) sia dal pubblico (es. PNRR). I finanziamenti derivanti dai bandi PNRR, infatti, considerano una parte della tassonomia legata al Do No Significant Harm (DNSH), ovvero non arrecare nessun danno significativo all’ambiente. Quindi, per ottenere agevolazioni economiche devi dimostrare che il tuo finanziamento persegue finalità di sostenibilità ambientale legate al rispetto di questo principio».

sostenibilità

Cosa dobbiamo aspettarci quest’anno sul fronte degli ESG?

«Sicuramente un grande aiuto lo avremo dalla normativa che sta entrando in vigore, la CSRD – applicabile da gennaio 2025 – che comporterà un aumento significativo delle imprese coinvolte, passando dalle attuali 11.800 a circa 50.000. La CSRD prevede, inizialmente per le società quotate in Borsa, l’obbligo di rendicontazione delle attività ESG, ma dagli anni successivi coinvolgerà principalmente le grandi imprese e le PMI quotate. Fino a oggi un’organizzazione decideva a quale standard fare o meno riferimento. Attualmente, a differenza dal passato, chi ha l’obbligo di rendicontare le proprie attività deve farlo secondo parametri che prevedono misure in ambito ESG che sono state definite a livello europeo con gli standard ESRS (European Sustainability Reporting Standards).

In questo scenario è importante che, grazie a bandi del PNRR o altri strumenti legislativi, vengano premiate le organizzazioni che si impegnano a investire e svolgere attività in ambito ESG. Quando è uscita la UNI/PdR 125:2022 sulla parità di genere le richieste erano pochissime nonostante gli sforzi per promuoverla. Nel momento in cui è stato inserito uno sgravio fiscale fino a 50.000 euro, le richieste sono schizzate. Servono incentivi o sgravi, almeno in questa fase, prima di arrivare al punto di stabilizzare queste attività».

Sono in cantiere nuovi progetti incentrati sulla sostenibilità?

«Stiamo guardando con interesse alle due direttive citate in precedenza. La CSRD, in quanto direttiva, deve essere recepita nella legislazione nazionale degli Stati membri. In Italia questo non è ancora stato fatto, abbiamo tempo fino all’8 luglio 2024. La direttiva prevede la possibilità anche per gli enti di certificazione di fare attività di assurance sui report di sostenibilità – i cosiddetti corporate sustainability reporting – ambito che, ci auguriamo, non venga emendato in fase di recepimento in quanto ci consentirebbe di sviluppare nuove opportunità di business. Questa attività riguarderà determinate categorie di aziende ma avrà un’influenza su tutti coloro che sono nella catena del valore. Quindi, c’è la possibilità di lavorare sulla value-chain e dare supporto anche agli altri soggetti.

navi

L’altro contesto riguarda la seconda direttiva, la CSDDD, dibattuta per molti mesi tra Consiglio e Parlamento europeo. La direttiva, che prevede un dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, mira a promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile lungo la catena del valore attraverso la definizione di obblighi da parte delle società relativamente agli impatti negativi, effettivi e potenziali, sui diritti umani e sull’ambiente. Per noi è importante perché, attraverso attività di verifica su linee guida che riguardano la sustainability procurement e la corporate responsability, consentirà alle imprese di perseguire le finalità previste da questa direttiva.

Su quali altri ambiti legati agli ESG vi concentrerete?

Un altro elemento su cui lavoreremo molto è la biodiversità, per misurare quanto un’azienda tuteli questa sfera e quali sono i rischi legati a una riduzione della biodiversità e degli effetti dell’attività dell’organizzazione. Un ulteriore elemento è la decarbonizzazione, tema centrale su cui siamo molto impegnati. In questo senso preme citare la norma volontaria internazionale ISO 14068, che si pone come principale strumento riconosciuto a livello internazionale per il raggiungimento della carbon neutrality. Recentemente pubblicata, questa norma si propone di valorizzare le attività di rendicontazione delle emissioni di prodotto, servizio, organizzazione e, in particolare, quelle di riduzione».

Si parla molto di economia circolare. Come si può, realmente, misurare la circolarità?

«Oggi si pensa alla circolarità come a un elemento legato principalmente a un prodotto o a un servizio. Riassumendo, definiamo circolare quello che entra come input e che, alla fine del processo, diventa il punto di partenza di un nuovo processo di produzione. Tutto questo è cambiato con l’introduzione di una nuova concezione, legata alla specifica tecnica UNI/TS 11820 che sposta il centro del ragionamento sull’efficienza dei processi, non solo quelli di carattere produttivo ma anche quelli organizzativi. Specifica che introduce il principio: più si è efficienti più si è circolari. In altre parole, valorizza il sistema economico che, attraverso un approccio sistemico e olistico, mira a mantenere circolare il flusso delle risorse conservandone, rigenerandone o aumentandone il valore, e che al contempo contribuisce allo sviluppo sostenibile».

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Quali sono i servizi che RINA eroga per supportare le aziende nel processo di transizione energetica?

«Sono diversi i servizi che RINA eroga per supportare le aziende nel processo di transizione energetica. Tra questi, la certificazione accreditata ReMade relativa alla verifica del contenuto riciclato e di sottoprodotti in un materiale o prodotto. Si tratta di uno strumento efficace per rispondere alla crescente attenzione rivolta verso i materiali derivanti da riciclo, da recupero e sottoprodotti, che arriva dal recente modello globale di sviluppo sostenibile dell’economia circolare.

Un sistema caratterizzato dal mantenimento del valore di prodotti, materiali e risorse nel sistema che vengono restituiti nel ciclo del prodotto al termine del loro utilizzo in modo che sia ridotta al minimo la generazione di rifiuti. Un altro ambito su cui siamo molto attivi è quello dell’acqua, sia in termini di calcolo dell’impronta idrica sia di efficienza rispetto al suo uso. Inoltre, abbiamo sviluppato strumenti digitali per gestire in modo innovativo le attività di verifica attraverso la piattaforma DIAS (Data Integrity Audit Services).

In conclusione, è possibile tracciare emissioni di CO2, la water footprint di un prodotto, i consumi energetici da fonti rinnovabili utilizzati. Questo si può successivamente comunicare attraverso un QR Code. RINA sta cercando da alcuni anni di promuovere servizi ESG innovativi attraverso l’uso di strumenti di lavorare in modo innovativo con strumenti che non fanno venire meno l’affidabilità e l’accuratezza di un’informazione ma, anzi, aiutano a garantirne maggiormente la tracciabilità con ricadute anche in termini di benessere delle persone coinvolte perché consente, ad esempio, di ridurre gli spostamenti». ©

Articolo tratto dal numero del 1 febbraio 2024 de il Bollettino. Abbonati!

Il mio motto è "Scribo ergo sum". Laureato in "Mediazione Linguistica e Interculturale" ed "Editoria e Scrittura" presso La Sapienza, mi sono specializzato in giornalismo d’inchiesta, culturale e scientifico. Per il Bollettino mi occupo di energia e innovazione, i miei cavalli di battaglia, ma scrivo anche di Mercati, spazio e crypto.