La svolta verde non è una passeggiata. Conquistare le Net Zero Emissions in meno di 30 anni, assicurare l’accesso all’energia a tutti, ripartire i costi equamente e supportare le comunità vulnerabili, sono solo alcuni degli obiettivi per diventare più sostenibili. Target sfidanti, anche se c’è un alleato importante per raggiungerli: l’Open Innovation.
«La transizione energetica è una sfida di grandissima rilevanza strategica. Impegnarsi vuol dire anche intraprendere una profonda trasformazione tecnologica», dice Giacomo Silvestri, Presidente di Eniverse, il Corporate Venture Builder di ENI che punta sulle competenze interne e le tecnologie proprietarie dell’azienda per dare vita a nuove iniziative imprenditoriali per supportare la transizione energetica.
Intanto, il Governo starebbe pensando alla cessione del 4% di ENI, per un valore pari a 2 miliardi di euro.
I benefici dell’Open Innovation
«L’innovazione è uno dei tanti motori di questa sfida e l’Open Innovation permette di accelerare e creare maggiore valore in questo percorso». Le nuove tecnologie rappresentano un’importante leva competitiva di business e un acceleratore della transizione verso gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050, in accordo con i principi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima.
Eppure, non sono molte le aziende che possono sostenere gli investimenti in ricerca e sviluppo necessari a brevettare nuove tecnologie. I processi di R&D, Research and Development, sono diventati sempre più rischiosi e costosi a causa della globalizzazione: tra le sue conseguenze, si annovera un ciclo di vita dei prodotti che è divenuto più breve. Di conseguenza, la ricerca rivolta solamente all’interno dell’azienda, tipica del modello della Closed Innovation, non è sufficiente a dare una svolta al mondo, secondo Henry Chesbrough, economista e Faculty Director del Garwood Center for Corporate Innovation in California.
In questo contesto l’Open Innovation, modello basato sulla ricerca di innovazione esternamente all’azienda, può dare un contributo fondamentale alla transizione energetica e digitale. Infatti, il sistema prevede che le aziende possano ricorrere a risorse che arrivano dall’esterno. Per Chesbrough, che questo modello lo ha inventato, i benefici permetterebbero alle aziende di superare i timori riguardo alla tutela della proprietà intellettuale sulle nuove tecnologie con brevetti e altre certificazioni.
Arrivano buone notizie
Aprirsi a Startup, università, fornitori, inventori, programmatori, consulenti e a tutta quella galassia di soggetti che puntano sull’innovazione diventa un aspetto chiave. Come lo è scambiare conoscenze in modo mirato, arrivando anche a generare spillover, cioè effetti positivi in ambiti economici differenti rispetto all’attività economica target.
In questo senso, arrivano buone notizie. Infatti, sono sempre più le imprese che decidono di aprirsi a strumenti e competenze tecnologiche, soluzioni e idee che provengono dall’esterno, invece di fare esclusivamente affidamento su risorse interne. Questo modello richiede però una profonda revisione dei processi aziendali e dei profili lavorativi, al fine di mutare la stessa cultura d’impresa.
Come valorizzare l’Open Innovation
L’obiettivo? Valorizzare nel breve e medio termine, l’innovazione tecnologica. Per realizzare questo target, ENI punta su market incubation per tecnologie che non sono ancora a livelli di maturità adeguata, market validation con interazioni con il Mercato, business building attraverso la realizzazione di nuove ventures, che ricevono supporto nella fase di scale up. Una strategia che si fonda sulla collaborazione con realtà esterne, come Startup e società tecnologiche, università e alleanze con partner strategici per dare vita a nuove imprese.
Eniverse lavora in collaborazione con la Scuola di ENI per l’Impresa, che supporta la crescita di Startup innovative e sostenibili (Joule) e a ENI Next, società che investe nelle realtà tecnologiche dalle maggiori prospettive di crescita futura. La collaborazione è aperta, il criterio di scelta riguarda la possibilità di creare tecnologie game-changer per la transizione in pochi anni. Infatti, l’ecosistema è disegnato per accogliere le proposte all’avanguardia che arrivano da realtà medio-piccole con un forte potenziale in ottica futura.
Le parole chiave della collaborazione sono diminuzione dell’impronta di carbonio nella produzione di energia, sostenibilità ed economia circolare. Joule offre anche un percorso formativo, composto da programmi gratuiti a supporto dei giovani imprenditori che vogliono intraprendere un business Green. Fino a oggi, Joule ha fatto scouting su più di 700 Startup e ne ha supportate 60 ogni anno, erogando 500 ore di formazione e mentoring per i nuovi imprenditori, grazie al coinvolgimento con 70 esperti. Inoltre, nel 2021-2022 ha attivato 16 collaborazioni con aziende e altre realtà.
«Fare Open Innovation vuol dire affiancare alla ricerca interna, che ha contraddistinto la nostra azienda nei suoi anni di storia, un’apertura verso l’esterno per accelerare la ricerca di soluzioni per la transizione energetica».
Quali sono i settori maggiormente coinvolti da questo processo?
«Tutti. Bisogna guardare la catena del valore nella sua interezza. Si parte dalle aree più tradizionali per andare a quelle più innovative, come la chimica verde, la bioraffinazione, la riprogettazione delle stazioni di servizio verso una sustainable mobility. L’Open Innovation riguarda tutte le aree di business».
Che cosa si può fare per promuovere il modello di Open Innovation?
«È importante dimostrare che aprirsi all’esterno porta valore all’interno. Recepiamo dal business quali sono i bisogni e li ricerchiamo sul Mercato tra gli attori più disparati. Abbiamo sviluppato un ecosistema molto ampio per dare supporto alle Startup, guardando non solo in Italia, Europa o negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo. In ENI oggi è molto radicata una cultura dell’Innovazione. Non per nulla, collaboriamo sempre di più con i business per supportarli in questa ricerca, dai segmenti dell’agritech alla carbon capture, passando per le wind farm. Credo che oggi sia riconosciuto il valore dell’OI: sempre più business lo stanno toccando con mano».
Quali fattori rendono ENI un asset strategico nazionale?
«ENI ha sviluppato un grandissimo patrimonio tecnologico interno. Abbiamo 8029 tecnologie proprietarie, un numero di brevetti straordinario per quantità e qualità. L’obiettivo di Eniverse è proprio questo, partire dal patrimonio fatto di tecnologie e di persone, quindi competenze, per accelerare la transizione creando valore anche sui mercati esterni e a servizio di altri settori. Siamo un venture builder che valorizza le tecnologie proprietarie, in collaborazione con partner commerciali, tecnologici e industriali con cui costruire queste iniziative che si aprono al Mercato. Parliamo di una realtà molto snella, attualmente i collaboratori sono 10. Abbiamo già valutato 130 tecnologie analizzandone il potenziale. Stiamo studiando 30 dossier, facendo assessment di Mercato e tecnologico, e attualmente siamo nella fase di incubazione, di passaggio cioè dalla singola innovazione alla potenziale costruzione della venture. Prevediamo di raggiungere il nostro obiettivo, che è quello di creare 5 venture, entro la fine del 2025».
Il lancio della prima venture Enivibes come è avvenuto?
«ENI ha sviluppato internamente una soluzione tecnologica di asset integrity, che permette di assicurare il monitoraggio delle pipeline, attraverso un sistema di onde vibroacustiche, che prevede e intercetta ogni cambiamento di flusso dei fluidi all’interno delle condotte. Attualmente è applicata su circa 2.000 km di rete interna, portando risultati straordinari. Una soluzione per l’integrità degli asset, soprattutto di questo genere, rappresenta un valore non solo per ENI ma anche per il Mercato. Partendo da questa tecnologia, abbiamo creato Enivibes. L’obiettivo era partire da questo brevetto proprietario e venderlo ad altre aziende che ne avevano bisogno. A questo scopo, abbiamo anche stretto una collaborazione commerciale con SLB (Schlumberger, ndr), una delle principali realtà che offrono servizi all’industria energetica a livello mondiale».
Quali progetti state portando avanti?
«A distanza di meno di un anno, abbiamo iniziato ad applicare questa soluzione tecnologica anche ad altri settori. Sono infatti allo studio collaborazioni nel settore idrico, del teleriscaldamento e del gas. Il tema dell’integrità degli acquedotti e delle reti per il teleriscaldamento è molto rilevante, per questa ragione stiamo cercando di ampliare ulteriormente la possibilità di generare valore. La società è nata a marzo, abbiamo validato il terzo forecast e chiuderà il primo anno con un fatturato positivo importante, un EBITDA e un profilo di cassa con segno più, oltre a diversi contratti che dovrebbero maturare sull’anno prossimo. Partendo da una tecnologia applicata internamente e portandola all’esterno, abbiamo trovato un Mercato di riferimento molto favorevole, contribuendo a far nascere una realtà positiva anche dal punto di vista del lavoro». ©
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Articolo tratto dal numero del 1 febbraio 2024 de il Bollettino. Abbonati!