Sono le donne il traino della ripresa del mercato occupazionale post Covid. Un dato che vale non solo a livello internazionale, con un tasso di partecipazione femminile che ha ripreso a correre superando il 50% a soli tre anni dalla pandemia (rapporto The Age of Adaptability 2024 di Manpower). Ma che riguarda soprattutto l’Italia.
Hanno occupato il 40% dei lavori post pandemia
Le donne lavorano ancora troppo poco nel nostro Paese. Risulta occupato il 55% di quelle in età da lavoro, contro il 69 della media Ue, confermano calcoli Eurostat. Ma il 40% dei nuovi posti creati nell’anno e mezzo dopo l’emergenza sanitaria se lo sono aggiudicato loro. Una quota che supera, come svelano le comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, di 2,5 punti la percentuale del biennio 2018-2019.
Non è tutto oro quello che luccica
C’è un altro lato della medaglia. E cioè che nonostante siano state più coinvolte nel mercato occupazionale dal Covid in poi, il loro ruolo resta di nicchia, relegato a mansioni minori e inquadrato con contratti instabili. Lo ha messo in luce anche il rapporto dell’Istituto di analisi delle politiche pubbliche Inapp, Una ripresa… a tempo parziale del 2021. Nel 42% dei casi le donne che hanno trovato un posto nei primi sei mesi del 2021 hanno firmato un contratto a termine (o comunque discontinuo) e per di più part-time. Per gli uomini invece la stessa percentuale si ferma al 22%. A scapito delle loro carriere, che rimangono segnate dalla frammentarietà.
Hanno gli impieghi meno prestigiosi
Un altro esempio chiarisce come la strada verso la parità sia ancora tutta da percorrere. Dopo la pandemia sono stati creati circa 158mila posti di lavoro in ambito tech, spiegano i ricercatori. Ma all’interno del comparto va distinto un settore specifico, che è quello Knowledge-Intensive Services, quindi ad alto contenuto tecnologico. E anche qui il peso delle donne è stato limitato, con soli due quinti delle posizioni aperte occupate da persone di sesso femminile. Che concentrano invece tutta la loro attività nel settore dei servizi, e in particolare nel commercio e nel turismo, proprio dove si produce anche maggiore precarietà.
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