martedì, 30 Aprile 2024

ESG: le PMI quotate anticipano l’obbligo

Sommario
ESG PMI

Passi da gigante in Europa per la rivoluzione ESG (Environmental, Social and Governance). Mentre da Oltreoceano arriva la notizia che nello Stato del New Hampshire si propone di renderli un reato – i legislatori dell’UE spingono invece verso gli investimenti sostenibili.

«Un terzo delle PMI è coinvolto», dice Anna Lambiase, CEO di IRTOP CONSULTING, IPO Partner di Borsa Italiana. «Ormai le valutazioni e l’analisi di scelta dei prodotti e delle opportunità/rischi di investimento e finanziamento si basano non solo su parametri tradizionali finanziari e di gestione, ma includono la valutazione di tematiche ambientali e sociali».

Che cosa sta accandendo quindi in Europa? Grazie all’accordo raggiunto tra Consiglio e Parlamento dell’Unione in merito al Listing Act, per le imprese che si affacciano a Mercati regolamentati sarà obbligatorio includere informazioni sulla performance ambientale nei prospetti. Una novità che procede nel solco della Corporate Sustainability Reporting Directive entrata in vigore a gennaio 2023 (tutti i dettagli qui). La normativa, che ha introdotto l’obbligo di stilare bilanci di sostenibilità già dal 2024, per alcuni grandi enti di interesse pubblico, prevede un’introduzione graduale che si concluderà nel 2029 (anno fiscale 2028). Ma le piccole e medie imprese italiane non stanno certo ad aspettare.

Anna Lambiase, CEO di IRTOP CONSULTING

La mancata compliance ai parametri ESG è già un fattore di svantaggio?

«Sicuramente: si tratta di un fattore distintivo e di competitività sul Mercato dei capitali, proprio perché rappresenta un criterio di selezione nelle policy di investimento. Oggi risulta fondamentale, benché ancora non obbligatorio, monitorare e rendicontare la sostenibilità attraverso la gestione dei rischi ESG: è diventata centrale nelle relazioni con il Mercato di riferimento e con il sistema finanziario sulla base dell’evoluzione dell’industria bancaria e dell’asset management».

Osserviamo a livello europeo una serie di novità in campo normativo per la corporate sustainability: cosa cambia per le imprese?

«La prima tematica di riferimento è legata all’obbligatorietà del bilancio di sostenibilità per le PMI quotate a partire dall’esercizio 2026. Negli anni abbiamo assistito ad un’evoluzione della normativa: si è partiti da una sorta di volontarietà, per poi arrivare necessariamente all’obbligo. Questo aspetto non può che portare a un progressivo cambio di mentalità: la rendicontazione è fondamentale per tutte le imprese che beneficiano della finanza sostenibile e tutte le imprese quotate in generale. La consultazione aperta a Bruxelles sugli standard di rendicontazione per le PMI sottolinea proprio questo aspetto.

I dati dell’Osservatorio ECM ESG evidenziano come le società in fase di IPO su Euronext Growth Milan (leggi di più qui) rendicontano volontariamente la sostenibilità. Il numero di società che redigono report o bilanci di sostenibilità è aumentato del 12%: sono oggi 73 rispetto alle 54 del 2022. E va sottolineato come questo dato sia ancora più significativo, se consideriamo che ci sono 7 società che sono state oggetto di OPA e hanno effettuato il translisting sul Mercato principale. In generale, la percentuale di soggetti che dichiara un’esperienza di rendicontazione non finanziaria almeno biennale è del 73% rispetto al 56% precedente. La capitalizzazione complessiva di queste aziende è pari a 3 miliardi di euro…».

A quali settori appartengono?

«Prevalentemente ai settori Technology Services, per il 24%, Producer Manufacturing, per l’11%, e Fashion, per il 10%. Con 13 regioni di provenienza, la Lombardia è al primo posto con il 38%, seguita dal Lazio con il 13% e la Campania, all’11%».

Quali modalità di reporting sono le più adottate dalle imprese presenti sul segmento EGM?

«Come framework di riferimento, abbiamo verificato che gli standard GRI siano il principale metodo, utilizzato dall’82% del campione; altro elemento importante è l’aumento della percentuale di società che adottano processi di stakeholder engagement all’interno del loro modello di business».

Crede che questo campione sia rappresentativo del resto delle piccole e medie imprese italiane, quelle non quotate?

«Sì, ritengo che questo trend sia legato a un’evoluzione generale delle PMI, e non solo di quelle quotate. C’è sicuramente un’esigenza legata alle fonti di capitale, siano esse equity, cioè capitale di rischio, oppure capitale di debito. Anche gli istituti di credito stanno affinando i processi di valutazione del rischio di affidamento valutando le imprese che rendicontano la sostenibilità. In secondo luogo la compliance ESG è correlata alla domanda proveniente dalla supply chain, specie nelle filiere internazionali».

Essere più sostenibili e soprattutto rendicontare la propria sostenibilità in modo trasparente può aiutare nel passaggio ai listini maggiori?

«Sicuramente in un processo di translisting dal mercato EGM a quello principale il tema della sostenibilità è centrale; in operazioni di aumento di capitale, gli investitori richiedono il presidio ai rischi di sostenibilità anche al fine del rispetto delle policy di investimento, tendenzialmente legate all’articolo 8 del regolamento SFDR. Nei portafogli dei principali asset manager nazionali ed internazionali sempre più il requisito della compliance rispetto alle tematiche ESG diventa obbligatoria.»

Gli ultimi settori quanto a redazione di bilanci di sostenibilità sono quelli di salute e trasporti, mentre il primo è quello tecnologico. Trova sia un dato significativo?

«La ripartizione settoriale è correlata alla diversificazione dell’intero listino azionario. Il settore tech è più sensibile a questa tematica, altri comparti come gli Health Services si sono sviluppati negli ultimi anni sul Mercato dei capitali e rappresentano tutt’ora un numero limitato di aziende nel segmento».

Qual è il ruolo dello stakeholder engagement e in cosa consiste?

«Noi abbiamo rilevato come il 79% del campione, in crescita rispetto al 67% del 2022, adotti processi di “stakeholder engagement” nel proprio business model. Si tratta di uno strumento di ascolto delle priorità degli interlocutori con i quali l’azienda si confronta; questo processo avviene con survey aziendali sulla rilevanza delle principali variabili legate ai parametri ESG. Si tratta di un confronto costruttivo, che aiuta l’azienda a migliorare il suo processo di gestione delle variabili rilevanti per costruire un processo che risponda a tutti gli operatori, non soltanto ai dipendenti o ai capital markets, tenendo conto di tutte le dimensioni in cui l’azienda opera. In genere lo stakeholder engagement viene elaborato anche grazie a un confronto settoriale e alla individuazione dei KPI ESG di benchmark».

Come evitare il rischio di Greenwashing quando si comunica con gli stakeholder?

«Intanto, consideriamo che questi processi di analisi della sostenibilità sono orientati proprio a ridurre i rischi e a monitorarli nella modalità più trasparente possibile. È importante che, prima ancora della comunicazione verso l’esterno, vi sia una presa di coscienza e l’impostazione di una strategia di sostenibilità che parta proprio dall’attività stessa dell’azienda. Innanzitutto occorre identificare i propri veri obiettivi di sostenibilità e illustrarli in modo trasparente, mostrando i principi generali a cui questi si riferiscono e le ragioni che hanno portato a scegliere ogni specifico obiettivo. Rispetto ad obiettivi prefissati, l’azienda deve riuscire a studiare un percorso migliorativo nel medio-lungo termine anche facendo riferimento ai Sustainable Development Goals stabiliti dalle Nazioni Unite. Il nostro Osservatorio evidenzia che il 63% delle aziende ha preso in considerazione l’impatto che la propria attività può avere sugli obiettivi di sviluppo sostenibile».

Con Milena Prisco e Mia Rinetti, dello studio legale Pavia e Ansaldo, avete pubblicato il volume IPO Sostenibile – Linee Guida per la Raccolta di Capitali delle PMI. Quali sono i punti chiave comuni a ogni quotazione sostenibile?

«Il concetto di IPO sostenibile si basa su tre principi fondanti: innanzitutto, una buona governance quali la nomina di un consigliere munito di deleghe ESG, la creazione di un comitato ESG, l’adozione del codice etico o la nomina di un organismo di vigilanza. Altri fattori importanti sono la correlazione della remunerazione dell’amministratore delegato agli obiettivi di sostenibilità e una policy ESG approvata dal CDA. Il secondo elemento è la trasparenza nel reporting, che significa la redazione di un bilancio di sostenibilità o la dichiarazione non finanziaria, secondo gli standard EFRAG, la relazione d’impatto per le società benefit elaborata annualmente e una due diligence ambientale.

Al momento dell’ammissione al capital market, è importante approfondire tutti i temi legati ai fattori ESG nel business model, in particolare in relazione all’analisi e il monitoraggio dei rischi. Il terzo principio fondante di un IPO sostenibile, forse il più importante, è l’utilizzo delle risorse derivanti da un’operazione di quotazione in Borsa. È fondamentale indicare in quale modalità i capitali raccolti saranno utilizzati nel raggiungimento di obiettivi ESG, correlati agli obiettivi di crescita aziendale. Questo significa che gli elementi legati alla sostenibilità devono essere integrati nel piano industriale in coerenza con lo sviluppo del modello di business». ©

📸 Credits: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 1 aprile 2024 de il Bollettino. Abbonati!

Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".