martedì, 30 Aprile 2024

Ricerca volano per l’economia, ecco le eccellenze

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Scienza e innovazione per cambiare rotta e crescere con più decisione. Le performance economiche e sociali del Paese sono influenzate dalla ricerca scientifica più di quanto si immagini. Un rapporto che, se potenziato al meglio, è in grado di garantire competitività in ogni comparto. «Serve valorizzare il patrimonio di conoscenze che ogni disciplina ha sviluppato. L’unica soluzione è lavorare tutti insieme al meglio, per “plasmare” e consegnare alle nuove generazioni quello che sarà il mondo del futuro», dice Maria Chiara Carrozza, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (la prima donna), nonché ex ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sotto il Governo Letta.

Quali sono le prospettive della ricerca scientifica italiana?

«Ci sono sfide urgenti e ormai non più rimandabili. Riguardano il futuro più prossimo del nostro Pianeta: favorire la transizione ecologica, l’approvvigionamento energetico e alimentare, la lotta all’inquinamento, la necessità di colmare i divari socioeconomici, di mitigare gli impatti climatico-ambientali, solo per citarne alcuni. Sono temi trasversali e molto complessi, che richiedono il contributo di competenze diverse. Il mondo scientifico può fare molto, soprattutto se riuscirà ad avere un approccio collaborativo».

Di quali risorse dispone la ricerca, tra finanziamenti pubblici, project funding ed eventuali altre entrate?

«Il Fondo ordinario (FOE) assegnato dal Ministero al CNR, il cui bilancio è stato risanato dall’attuale gestione, per il 2023 era poco più di 646 milioni di euro. Ad esso si aggiungono ulteriori risorse del MUR finalizzate al finanziamento di specifiche attività progettuali, quali ad esempio l’impegno del Paese sulle grandi infrastrutture internazionali (circa 62 milioni di euro nel corso dell’anno passato). Infine, il CNR mostra una rilevante capacità attrattiva su fondi competitivi a livello nazionale e internazionale, oltre a numerosi accordi a supporto della competitività delle imprese. Complessivamente le risorse attivate con questi strumenti sono state pari ad oltre 390 milioni di euro nell’ultimo esercizio, con una percentuale di mezzi propri pari al 33% delle entrate totali. Il costo del personale, secondo l’indicatore ufficiale parametrato alle entrate nette dell’Ente, è al 65%, ben al di sotto del limite dell’80%.

Oggi nel nostro Paese il mondo della ricerca ha di fronte la straordinaria opportunità offerta dal Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza, che mette a disposizione risorse, investimenti e persone. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, ad esempio, è impegnato in numerose progettualità su temi trainanti quali l’intelligenza artificiale, la tutela della biodiversità, l’agritech, la biomedicina, la biorobotica, e gestisce finanziamenti che, nel triennio, superano complessivamente gli 800 milioni di euro. Una grande responsabilità, che l’Ente si sta impegnando a gestire con con l’obiettivo di innescare un processo di rinnovamento e sviluppo di cui possa beneficiare tutto il Paese, con un impatto economico e sociale che potrà essere valutato solo dal prossimo anno».

Il CNR ha da poco festeggiato il suo centenario. Come si è evoluto e in quale forma ha contribuito alla crescita del Paese nel trasformare la scienza in sviluppo?

«In questi 100 anni di storia, celebrati con un ampio programma di iniziative ed eventi organizzati in tutta Italia, il Consiglio Nazionale delle Ricerche si è via via posto al servizio del Paese realizzando la missione che gli è propria: coordinare e stimolare l’attività nazionale nei vari ambiti della ricerca scientifica e delle sue applicazioni tecnologiche. Già in questa frase dello Statuto istitutivo si intravedono le principali caratteristiche dell’Ente, che poi rappresentano i suoi punti di forza: la presenza capillare in tutto il Paese, il fatto di poter contare su una rete scientifica multidisciplinare e trasversale, l’intensa attività di cooperazione scientifica a livello internazionale.

Negli anni, poi, la comunità ha assolto questo compito anche sviluppando settori di ricerca del tutto innovativi. Pensiamo alla nascita della moderna informatica con gli studi intrapresi da Mauro Picone, alla biologia cellulare di cui fu pioniera una giovane Rita Levi Montalcini, al contributo di Renato Dulbecco nel campo della genetica… e così via. Ma le sfide continuano. Quelle attuali le abbiamo racchiuse nelle dieci parole chiave scelte per le celebrazioni del Centenario: transizione digitale, sostenibilità, biodiversità, energia pulita, economia circolare, scienze della vita, one health, patrimonio culturale, pace e diplomazia scientifica».

Quali sono le prospettive della ricerca CNR per il quinquennio 2022-2026?

«Siamo al centro di un vasto programma di riorganizzazione dell’Ente. Il “Piano di rilancio”, che punta a realizzare un nuovo modello di organizzazione e programmazione della ricerca in linea con quella europea. Un progetto che trae ispirazione da modelli come l’European Research Council, la principale e più prestigiosa agenzia europea rivolta al finanziamento dell’eccellenza scientifica, che basa la propria attività su “panel” di valutazione che rimandano a una ripartizione in ambiti disciplinari costantemente aggiornata e adeguata ai principali trend della ricerca.

Ecco, uno degli obiettivi che si realizzerà con il Piano di rilancio è quello di assegnare un nuovo ruolo agli attuali Dipartimenti tematici dell’Ente. Saranno strutture di indirizzo scientifico e di supporto e coordinamento rispetto alla rete degli Istituti di ricerca, senza carico amministrativo. Attuare questo modello permetterà al CNR di “recuperare” quel ruolo centrale che aveva anche in passato, ma in una nuova prospettiva: sia rispetto alle altre organizzazioni e strutture  pubbliche e private con le quali collaboriamo, a partire dalle Università – con le quali abbiamo attivato un programma di joint chairs – sia nell’ottica di attrarre e trattenere una nuova generazione di giovani brillanti, dall’Italia e dall’estero».

Una vasta rete di collaborazioni con i privati contribuisce alla ricerca del CNR. In che modo questa sinergia influenza il Mercato?

«Sempre grazie al PNRR, sta cambiando l’interazione con il mondo privato. I finanziamenti elargiti con bandi a cascata, infatti, permettono di sperimentare nuove forme di partenariato e di attivare progetti specifici di technology transfer. Questo è un punto di svolta fondamentale, perché significa dare la possibilità al mondo scientifico di implementare la capacità di networking, specialmente con soggetti privati ad alto contenuto tecnologico, scambiare competenze e, in ultima analisi, contribuire alla crescita di competitività del nostro Paese. Oltre a questo, il CNR ha una consolidata collaborazione con il mondo dell’industria attraverso accordi quadro, convenzioni e una crescente attività di licensing. Ne sono esempio i numerosi accordi di licenza e di valorizzazione attivati.

Operazioni importanti in quanto, oltre a generare un ritorno economico, permettono di valorizzare e di mettere a frutto le tante conoscenze sviluppate nell’ambito della ricerca. Certo, permangono alcune carenze strutturali, evidenziate anche nell’ultima Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia, prodotta dal CNR e presentata proprio poche settimane fa nella nostra sede centrale di Roma. In particolare, mancano strumenti che permettano di rapportarsi in maniera rapida e flessibile con il mondo imprenditoriale: penso a misure per rendere più agevoli e veloci la brevettazione, la tutela della proprietà intellettuale e la prototipizzazione».

Quali sono i progetti di cooperazione di maggiore impatto?

«Con Eni abbiamo all’attivo una collaborazione decennale: negli anni sono stati sviluppati progetti e innovazioni in diversi ambiti riferiti al grosso tema della transizione energetica: energia solare, fito-depurazione di acque e suoli contaminati e il riutilizzo della CO2, bio-carburanti avanzati e a bassa impronta carbonica, energia da moto ondoso, fusione a confinamento magnetico. Tecnologie che sono al centro della mobilità del futuro, dell’economia circolare, della decarbonizzazione e dell’elettrificazione. Molte di queste attività sono localizzate nel Sud Italia.

Ad esempio a Gela e Metaponto, città che ospitano due centri di ricerca Eni-CNR rispettivamente dedicati a ricerche nell’ambito della fusione a confinamento magnetico, e a studi sull’ottimizzazione delle risorse idriche in agricoltura e nelle zone colpite da siccità; a Lecce, sede dell’Istituto CNR-Nanotec, in cui si svolgono ricerche sull’analisi dei processi climatici legati alla destabilizzazione della criosfera artica e in particolare del permafrost; e a Portici (Napoli), nel polo di ricerca agrario del CNR dedicato allo studio di tecnologie per ridurre l’impatto in ambito agricolo e produrre biocarburanti da biomasse di scarto. A oggi sono stati registrati 24 brevetti per tecnologie proprietarie, segno di una collaborazione viva e produttiva».

L’Italia quale ruolo ha a livello mondiale nella produzione di brevetti e pubblicazioni?

«In termini di pubblicazioni l’Italia vanta aree scientifiche di assoluta eccellenza. Tra queste appaiono le scienze della vita e la biodiversità, che secondo recenti rapporti identificano il Paese ai primi posti tra i Paesi UE non solo in termini quantitativi, ma anche secondo altri parametri importanti nel mondo scientifico, come il numero di citazioni. L’ultimo rapporto Clarivate posiziona l’Italia al decimo posto nel Mondo per numero di scienziati altamente citati e individua anche altre aree in cui il nostro Paese è forte, come la medicina clinica e l’ingegneria. Dal punto di vista della brevettazione, è interessante vedere la crescita di domande di brevetto italiane richieste negli ultimi anni all’European Patent Office (EPO). Un indicatore positivo, perché proteggere i risultati della ricerca è il primo passo per gestire quella “catena del valore” da cui scaturisce l’innovazione tecnologica.

Nel nostro Paese un importante supporto viene offerto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che ha messo a disposizione una serie di strumenti per potenziare il trasferimento tecnologico nelle istituzioni pubbliche di ricerca: penso ad esempio ai bandi Proof of Concepts, che permettono di innalzare il livello di maturità tecnologica di brevetti appartenenti al mondo della ricerca, o alle recenti misure di potenziamento degli Uffici di Tech Transfer in seno a Università ed Enti. Una nuova spinta, poi, potrà venire dalla recente modifica del Codice della proprietà industriale che – abolendo il cosiddetto “professor privilege” – agevolerà le istituzioni nella protezione e valorizzazione dei risultati della propria ricerca. Ma occorre anche agire sulla “cultura della brevettazione”, sensibilizzando e incentivando la comunità scientifica a proteggere di più e meglio i propri risultati».

In che modo promuovete la sostenibilità economica, sociale e ambientale?

«Siamo un ente di ricerca trasversale e multidisciplinare. Questo significa avere ogni anno migliaia di pubblicazioni su una varietà di temi. È difficile prevedere quali di questi avranno maggiore impatto sulla società, ma ci sono due grandi ambiti nei quali il CNR sta concentrando risorse significative. Il primo è quello della tutela dell’ambiente e della biodiversità, che ha portato alla nascita del National Biodiversity Future Center (NBFC), uno dei cinque centri nazionali dedicati alla ricerca di frontiera istituiti e finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Coordinato dal CNR, tale centro avrà un finanziamento di 320 milioni di euro per tre anni, dal 2023 al 2025, e il coinvolgimento di 2000 ricercatori da 49 istituzioni partner tra università, centri di ricerca, fondazioni e imprese, nel segno della massima inclusività.

Si tratta di un progetto ampio al quale abbiamo aderito nella consapevolezza di lanciare un messaggio concreto per promuovere la gestione sostenibile della biodiversità, che svolge un ruolo cruciale nel funzionamento di tutti gli ecosistemi del Pianeta ed è alla base della vita sulla Terra, con un impatto diretto sul benessere della collettività e del singolo. Inoltre, il CNR guida l’ecosistema italiano dell’Intelligenza Artificiale, un tema rilevante per l’internet del futuro e il Quantum Computing, sul quale investiremo nei prossimi anni. Settori, questi, che inevitabilmente hanno implicazioni anche in contesti vicini a noi. Pensiamo a come l’intelligenza artificiale potrà migliorare la sanità e l’assistenza nelle cure, ma anche la progettazione degli “ecosistemi urbani”, degli ambienti di vita e di lavoro».

Il CNR è stato protagonista del convegno “Creatività femminile e metodologia scientifica”, dove è stata evidenziata la rilevanza dell’attitudine femminile per l’avanzamento della ricerca. Nel Bilancio di Genere 2023 si evidenzia che tra il personale amministrativo del CNR le donne sono il 75%. Nelle dirigenze e direzioni invece solo il 18%. Quali strategie sono state attivate per equilibrare questo gap di genere?

«Favorire il gender balance è un impegno che ho assunto fin dall’inizio del mio mandato come Presidente del CNR. Ridurre la “forbice” evidenziata anche nell’ultima edizione del nostro Bilancio di Genere, richiede la messa in campo di più strumenti e competenze. Per questo motivo abbiamo attivato, in prima battuta, l’istituzione di gruppi di lavoro dedicati, di un Gender Equality Team e di un Gender Equality Officer. Ma il percorso è ancora lungo. In generale è necessario agire su più livelli. Da un lato incentivando la parità di genere nei percorsi di reclutamento e nelle progressioni di carriera, dall’altro integrando maggiormente la dimensione di genere all’interno della ricerca, ad esempio evidenziando l’impatto delle gendered innovation nell’ambito di progetti e attività scientifiche.

Non meno importante, poi, è la sensibilizzazione sul piano culturale. Dal 2022 l’adozione del Piano di Genere è criterio di eleggibilità per accedere ai finanziamenti di Horizon Europe. Questo certamente favorisce una maggiore coscienza, all’interno delle varie organizzazioni, delle problematiche legate all’equilibrio di genere. In parallelo, occorre agire sugli ostacoli che ancora frenano le carriere femminili nel mondo scientifico e accademico. Si parte dal gap salariale fino ad arrivare a implementare misure di welfare per una maggiore conciliazione tra lavoro e famiglia, il sostegno alla natalità e alle pari opportunità. E poi c’è un aspetto ancora a monte: l’orientamento, che deve essere fatto già dai primissimi anni di formazione, raggiungendo le scuole, le famiglie. Una società più equa, in cui l’accesso alle professioni sia garantito paritariamente a maschi e femmine, e in cui c’è diversità di genere, culturale, è una società di maggior successo». ©

Articolo tratto dal numero del 15 aprile 2024 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva

Giornalista professionista appassionata di geopolitica. Per Il Bollettino mi occupo di economia e sviluppo sostenibile. Dal 2005 ho lavorato per radio, web tv, quotidiani, settimanali e testate on line. Dopo la laurea magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale, ho studiato arabo giornalistico in Marocco. Ho collaborato a realizzare in Saharawi il documentario La sabbia negli occhi e alla stesura della seconda edizione del Libro – inchiesta sulla Statale 106. Chi è Stato?