L’Italia ha un problema di disparità. Lo dicono i dati ISTAT, che evidenziano come quasi un decimo della popolazione viva in condizioni di povertà assoluta. Una situazione che la violenta crescita dell’inflazione negli ultimi anni ha aggravato, imponendo una tassa uguale per tutti, ma che pesa proporzionalmente di più sui meno abbienti. Come combattere questo malanno sociale?
Disparità a confronto
Per comprendere la portata del fenomeno, è necessario anzitutto misurarlo: in Italia ben 2,7 milioni di famiglie vivono in condizioni di povertà assoluta, cioè in condizioni tali da non potersi permettere l’acquisto dei beni essenziali (ISTAT, 2022). In termini di individui, questo significa 5,6 milioni di persone attualmente in questo stato, di cui 1,27 milioni sono minori.
Un altro indicatore è quello dato dall’indice di Gini, che misura la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza in un determinato gruppo. Più il dato percentuale è alto, maggiore è la sperequazione. L’Italia ha un coefficiente di Gini sulla distribuzione dei redditi del 34,8% (Fonte: World Bank). È il terzo più alto tra i 27 Paesi dell’Unione Europea – preceduto solo da Lituania e Bulgaria – e di gran lunga il più alto tra le grandi economie europee. I dati parlano chiaro: in Francia, il coefficiente misura il 31,5%, mentre in Germania il 31,7. Questo vero e proprio primato di disuguaglianza ci penalizza sul fronte sociale, creando una spaccatura difficilmente difendibile tra ricchi e poveri. Ma comporta anche un malus per l’intero tessuto economico.
I potenziali rimedi: la tassazione
Affrontare il problema non è semplice, anche perché è difficile sgombrare il campo da tutti gli aspetti ideologici che un tema tanto delicato implica. Ma si può ridurre la disparità nei redditi semplicemente alzando le tasse? In parte sì. Un primo tipo di tassazione associata a maggiore uguaglianza è proprio quella sul reddito: alcuni studi hanno mostrato come un semplice aumento della tassazione media dell’1% sia associato a un decremento dello 0,73% nell’indice di Gini. Un’altra caratteristica rilevante sembra essere la progressività del sistema fiscale: i Paesi dove le tasse sul reddito colpiscono soprattutto e di più i super ricchi sembrano avere una distribuzione più eguale dei redditi. Al contrario, invece, le flat tax (con la stessa aliquota per tutti) non aiuterebbero.
Un’altra possibile soluzione è la patrimoniale, spesso agitata come spauracchio ma mai introdotta nel nostro Paese. Un esempio significativo viene dalla Norvegia: il Paese ha da quasi 40 anni una tassa sulla ricchezza dello 0,85% che si applica a un’ampia fetta della popolazione. Ebbene, secondo uno studio del Fondo Monetario Internazionale, questa tassa sarebbe proprio una delle ragioni del basso coefficiente di Gini (27,7) del Paese.
Altri rimedi
Certo, sarebbe ingenuo illudersi che per superare le disuguaglianze basti tirare la leva fiscale. Si tratta di un problema ampio, causato dall’interazione di fattori diversi, e non si può pensare di risolverlo in un colpo solo. A tal proposito, esistono altri modi per affrontare il problema. Anche se un certo grado di disparità pare essere connaturato alle economie di Mercato, per via delle differenze di istruzione, competenze o caratteristiche individuali, gli Stati possono avere un ruolo significativo nel ridurla, cercando di creare un’uguaglianza nelle opportunità. In primo luogo, questa si ottiene lottando contro i comportamenti discriminatori. Ma un altro aspetto, forse quello più importante, consiste nel garantire un’istruzione pubblica e uguale per tutti, in modo tale da dare anche a chi nasce in un contesto sfavorito i giusti strumenti per crescere economicamente. Un altro fattore su cui, purtroppo, il nostro Paese ha molto da imparare: secondo l’OCSE, nel 2023 abbiamo investito solo il 4,1% del nostro PIL in istruzione, una cifra nettamente sotto la media del 5,1% e in costante diminuzione da anni.
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