domenica, 3 Novembre 2024

Al via la volata verso il cambiamento, ma il precariato resta in sella

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Il lavoro sportivo, in Italia, si avvia verso una nuova stagione. C’è però ancora tanta strada da fare.
Tra il 2023 e il 2024, infatti, ci sono state diverse novità normative, adottate per regolare un settore fondamentale per l’economia nazionale. Lo sport è infatti in grado di movimentare decine di miliardi di euro. Ha inoltre notevoli ricadute sul piano sanitario – visto l’impatto dello sport sulla salute – e sociale. Si tratta quindi di un comparto molto redditizio. Nonostante ciò gli addetti lottano ogni giorno contro una grande mole di difficoltà.

La pandemia di Covid19, con le sue conseguenze, ha messo a nudo la fragilità del settore sportivo. Chiusure e riduzioni dell’attività hanno provocato una grave crisi che ha colpito l’universo dello sport anche ai livelli più alti della piramide.

L’impatto economico

Il quadro generale sulla dimensione economica del settore sportivo è dato dal “Rapporto sport 2023”, realizzato dall’Istituto di Credito Sportivo (ICS) e da Sport e Salute. Il mondo dello sport genera annualmente 22 miliardi di euro, che sono pari a circa l’1,3% del Prodotto Interno Lordo (PIL) nazionale, a fronte di una spesa pubblica pari a 4,7 miliardi, ovvero lo 0,5% della spesa pubblica complessiva.

I numeri da sapere

Lo sport ha significative ricadute anche dal punto di vista occupazionale. Secondo un report Eurostat, gli occupati del settore sportivo sono 135mila, lo 0,6% dei lavoratori totali in Italia. Se si allarga lo sguardo anche all’indotto, lo sport genera lavoro per oltre 400mila persone (ovvero l’1,65% dell’intera forza lavoro del Paese).

A garantire il funzionamento dell’ecosistema sport, però, sono principalmente i volontari. Tra le 15mila imprese private e gli 82mila enti non profit del settore si stima che ne siano impiegati circa 900mila. Il personale sportivo è per la maggior parte giovane e molto qualificato. Il 32% dei lavoratori sportivi è in possesso di una laurea, mentre il 56% ha un diploma di scuola secondaria. Dal punto di vista demografico, oltre un terzo di chi lavora nello sport ha meno di 29 anni.

lavoro sportivo numeri

A quali condizioni

Ci sono diversi aspetti critici che riguardano il lavoro sportivo, spesso caratterizzato da una vasta e diffusa precarietà. È frequente il ricorso a forme di collaborazione solo formalmente autonoma (come nel caso della Collaborazione Coordinata e Continuativa, Co.Co.Co) con compensi che non superano i 10mila euro l’anno e che non prevedono tutele né dal punto di vista assicurativo, né sotto il profilo previdenziale.

D’altra parte, chi lavora nel mondo dello sport si trova frequentemente a dover svolgere attività i cui confini non sono ben definiti. Un ruolo tende spesso a sfumare nell’altro e i singoli operatori si trovano spesso sovraccaricati di mansioni da svolgere, anche molto diverse tra loro. La ridotta dimensione di gran parte delle imprese sportive – il 97% delle società operanti nello sport conta meno di 9 addetti – è un indizio in tal senso.

Tra le altre forme di collaborazione più adoperate nel settore sportivo c’è quella occasionale. Prevede che nel corso dell’anno il lavoratore non percepisca compensi superiori ai 5mila euro. Esistono naturalmente anche forme di lavoro subordinato, che però non garantiscono tutele.

Queste fattispecie rientrano sotto la problematica più generale dello scarso riconoscimento di cui soffre il lavoro sportivo. Quest’ultimo, infatti, non viene inquadrato al pari delle altre professioni e non può produrre redditi superiori ai 10mila euro annui. Questi, peraltro, non vengono nemmeno considerati ai fini fiscali come redditi da lavoro. A vivere in questo limbo di indeterminatezza, precarietà e scarsa tutela è una platea piuttosto ampia di lavoratori di vario genere. Ne fanno parte tecnici, istruttori, massaggiatori, arbitri, dirigenti, addetti di varia natura che garantiscono il funzionamento di palestre, associazioni e società sportive, sia dilettantistiche che professionistiche.

I problemi degli atleti

Non ne sono esclusi gli atleti, dal momento che lo status professionistico è riconosciuto in Italia soltanto a calcio, basket, ciclismo, golf e pugilato. In tutte le altre discipline – ma anche per quelle citate, al di sotto dei livelli più alti – per molti sportivi anche di livello superiore risulta impossibile vivere del proprio sport, se non in casi eccezionali, come l’ingresso nei Gruppi Sportivi dell’Esercito. Uno degli esempi maggiormente esplicativi di questa situazione è l’atletica leggera, che ha portato tanta gloria all’Italia agli ultimi Giochi Olimpici di Tokyo, ma nella quale risulta difficile perfino potersi allenare.

Ai problemi più noti, come la carenza di infrastrutture sportive e lo stato di abbandono od obsolescenza di una parte di esse, vanno sommate anche le condizioni complicate in cui sono costretti a lavorare i tecnici delle associazioni sportive. Se a questo si somma lo status dilettantistico degli atleti, che comporta tra le conseguenze il non potersi dedicare pienamente alla pratica agonistica, ma anche la mancata copertura previdenziale e l’assenza di adeguate tutele assicurative diventa evidente la difficoltà per gli sportivi. Un infortunio, oltre a mettere a rischio la carriera agonistica, può diventare un problema molto grave da affrontare anche dal punto di vista economico.

Lavoro sportivo Atletica

Anche loro soffrono

Questo accade nel dilettantismo, ma anche i dipendenti delle società professionistiche non sono esenti dai rischi della precarietà e delle difficoltà economiche. Basti pensare al calcio: in Serie C, l’ultima delle categorie professionistiche maschili, la maggioranza dei calciatori percepisce cifre che non superano di molto i 30mila euro lordi l’anno.

Nel caso dei calciatori della terza serie italiana, la componente della precarietà è fortissima. I contratti sono annuali e, come dimostrano i numerosi fallimenti societari di diverse squadre degli ultimi anni, non c’è nemmeno la certezza di percepire lo stipendio, con tutte le conseguenze del caso. Nel caso di fallimento della società per la quale si è tesserato, vi è poi il forte rischio di non trovare una nuova squadra nella stagione successiva.

Su circa 1600 calciatori tesserati nella scorsa Serie C, un centinaio sono attualmente senza squadra. Rischiano i calciatori ma anche i componenti dello staff tecnico, tutti i vari addetti che garantiscono il funzionamento delle società professionistiche e perfino i dirigenti.

La pandemia ha assestato in tal senso un colpo decisivo. Le chiusure e le restrizioni legate al Covid19 hanno colpito duramente il mondo dello sport, facendone emergere drammaticamente la fragilità, riducendo in maniera significativa, e talvolta azzerando, i ricavi di società e associazioni sportive. Indeterminatezza normativa, fragilità economica, scarsità di investimenti pubblici, ritardo infrastrutturale: queste sono le caratteristiche di un settore che, a dispetto del valore economico generato, fatica a sopravvivere, così come chi vi lavora.

lavoro sportivo arbitri

Il 2023 è l’anno zero

Qualcosa però sembra essersi mosso, spinto probabilmente dall’aumento della sensibilità collettiva sullo sport. Il 2023 potrebbe infatti essere definito l’anno zero per lo sport italiano anche dal punto di vista occupazionale. Il 1° luglio è entrata definitivamente in vigore la cosiddetta Riforma dello Sport. Si tratta di un insieme di interventi normativi pensati per fare ordine nel mondo dello sport e costituire una base per ricostruire il settore. L’iter legislativo è iniziato nel 2019, quando con la legge numero 86 il Parlamento ha delegato il Governo a intervenire per disciplinare lo sport italiano.

Nel frattempo, lo sport è stato riconosciuto anche dalla Costituzione: con apposita riforma, infatti, all’articolo 33 del testo costituzionale è stato aggiunto un comma specifico. Questo stabilisce il riconoscimento da parte dello Stato del “valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”.

Tra gli ambiti in cui la Riforma è intervenuta c’è anche quello del lavoro. Sono stati definiti con maggiore precisione i rapporti di collaborazione ammessi per legge e sono state eliminate le infinite fattispecie intermedie tra lavoratore propriamente detto e volontario nel settore dilettantistico. Per fare maggiore chiarezza, è stato pubblicato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 22 gennaio 2024 un elenco delle mansioni necessarie per lo svolgimento dell’attività sportiva, basato sui regolamenti tecnici delle singole discipline. Il mansionario dà riconoscimento a numerosi addetti, per i quali vengono delineati con maggior precisione anche i confini operativi dei compiti che essi svolgono.

Pochi giorni prima, il Governo ha costituito un nuovo organo: l’Osservatorio nazionale sul lavoro sportivo. Composto da quattordici membri, l’Osservatorio ha il compito di monitorare la corretta applicazione della normativa e vigilare con attenzione sul mondo sportivo, per valutarne le problematiche e per raccogliere dati. Tra i compiti che esso avrà c’è anche la redazione di un rapporto annuale.

Il nuovo CCNL per il lavoro sportivo

Sempre a gennaio è stato firmato il nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per i lavoratori dello sport. Questo è un’evoluzione del precedente denominato Impianti Sportivi e Palestre. Sono diverse le novità che esso introduce, a partire dal superamento del doppio regime contrattuale tra gli occupati prima del 22/12/2015 e quelli successivi a quella data. Gli inquadramenti contrattuali vengono rivisti, con una nuova classificazione dei lavoratori, mentre i salari sono calcolati per tutti su 13 mensilità. Le retribuzioni minime sono state rideterminate al rialzo. Dal punto di vista del welfare, è prevista l’adesione al Fondo di assistenza sanitaria integrativa Est, che riguarda commercio, turismo e servizi affini.

Per quanto riguarda i contratti di apprendistato (già introdotto nello sport con il Decreto Legislativo 36 del 2001), il nuovo CCNL stabilisce tre possibili forme: l’apprendistato scolastico (per gli sportivi compresi tra gli 8 e i 15 anni); quello professionalizzante (che va dai 15 ai 23 anni) e quello per l’alta formazione, per atleti tra i 18 e i 23 anni. I contratti di apprendistato possono avere la durata massima di 3 anni. Durante questo periodo, la società sportiva favorisce la formazione dell’atleta ai fini del conseguimento di una qualifica professionale. Questo permette all’atleta di ottenere qualifiche e competenze che gli possano essere utili una volta terminata la carriera agonistica. In linea teorica, almeno: infatti, i contenuti dei percorsi formativi non sono ancora stati definiti.

Qualcosa si muove anche per il lavoro parasubordinato. La retribuzione minima prevista per i Co.Co.Co è maggiorata del 25% rispetto a quella degli altri lavoratori. In caso di gravidanze, infortuni o malattie prolungate, i collaboratori autonomi hanno la possibilità di mantenere il posto di lavoro per un periodo di 180 giorni. Durante questo periodo, essi non godono però di alcun corrispettivo e non percepiscono nessuna indennità.

lavoro sportivo contratti

Quali prospettive

Si tratta di novità epocali per il settore dello sport, che finalmente inizia a godere di un maggior riconoscimento e di un impianto normativo e contrattuale razionale e ampio. Tuttavia, gli effetti delle novità non daranno immediatamente i loro effetti. Bisognerà aspettare qualche anno per verificarne l’efficacia. Il percorso per il pieno riconoscimento e la piena tutela dei lavoratori sportivi non è ancora giunto al termine. Numerosi aspetti sono da definire e ulteriori tutele da riconoscere a tanti addetti.

Il lavoro dell’Osservatorio nazionale si rivelerà fondamentale per valutare l’efficacia della Riforma. E per studiare i migliori correttivi da applicare. Ciò che è certo è che però lo sport ha imboccato una nuova strada. La Riforma del 2023, l’inserimento dello Sport nella Costituzione, il mansionario e il nuovo CCNL testimoniano la rinnovata sensibilità collettiva e istituzionale. Il 2023 può essere quindi oggi considerato un nuovo punto di partenza. ©

Articolo tratto dal numero del 1 maggio 2024 de il Bollettino. Abbonati!

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