giovedì, 28 Marzo 2024

Riforma dello sport: come cambiano tasse e regole

Sommario
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La riforma del lavoro sportivo sarà presto legge. Nessun rinvio per il testo approvato nella scorsa legislatura, solo una rifinitura. Le regole cambieranno profondamente, con una razionalizzazione dei contratti e della tassazione. L’obiettivo è quello di inquadrare meglio i lavoratori dello sport nel sistema fiscale, permettendo non soltanto alle associazioni di pagare regolarmente i propri dipendenti, ma anche allo Stato di raggiungerli con gli aiuti necessari in caso di necessità.

Un intervento che si è reso fondamentale dopo le difficoltà emerse in pandemia per un intero comparto: quello dello sport dilettantistico. Da una parte quasi tutte le attività di questo settore sono rimaste chiuse per l’intera durata dell’emergenza. Dall’altra i lavoratori, spesso inquadrati in contratti di collaborazione, si sono ritrovati senza la possibilità di ricevere dallo Stato l’aiuto di cui necessitavano.

Eppure lo sport rappresenta per l’Italia un giro d’affari miliardario. Nel 2021 il fatturato del settore ha toccato i 78,8 miliardi di euro, pari al 3% del PIL dell’intero Paese. Un balzo notevole dopo il disastroso 2020 pandemico, che aveva visto il settore contrarsi fino a toccare solo 66,6 miliardi totali. Siamo ancora lontani dai quasi 100 miliardi raggiunti prima della pandemia, ma la ripresa sta avvenendo pur con gli intoppi che la crisi energetica causa, specialmente ai gestori di impianti energivori, come le piscine. L’impiantistica è la componente che ha perso il maggior quantitativo di fatturato dall’inizio della pandemia. Se nel 2019 il giro d’affari era di 6,2 miliardi di euro, nel 2020 ha perso ben il 63% del proprio valore scendendo a 2,3.

Oltre a essere importante per il sistema economico del nostro Paese, lo sport coinvolge anche un numero di persone molto più elevato di qualsiasi altro settore: oltre 35 milioni gli italiani. Nello specifico tra i 15,5 e i 20 milioni ne praticano almeno uno. E poi ci sono gli addetti: 750 mila tra istruttori, medici e personale sanitario, amministrativo e dirigenti.

L’Italia punta sullo sport dal punto di vista economico anche ospitando grandi eventi. Un settore falcidiato dalla pandemia ma in piena rinascita. Tutti i riflettori in questo senso sono puntati sulle Olimpiadi Invernali di Milano e Cortina del 2026. Un progetto che il nostro paese ha fortemente voluto intraprender, ad esattamente due decenni da quelli di Torino. L’evento attrarrà risorse nel comparto sport per 1142 milioni di euro, con un afflusso di denaro nei settori adiacenti di 1026 milioni. L’effetto che gli investimenti e l’evento stesso avranno sul PIL nei prossimi anni potrebbe avvicinarsi ai 3 miliardi di euro in totale.

L’occupazione seguirà questi trend da vicino. A beneficiarne sarà proprio il lavoro sportivo, dove potrebbero crearsi oltre 9000 posti di lavoro in più. A questi andranno ad aggiungersi un aumento legato all’indotto calcolabile in circa 3700 addetti in più. L’aumento di reddito stimato da questo salto dell’occupazione sarà di oltre 300 milioni di euro, di cui 225 soltanto nel settore sportivo. 

Una buona parte del sistema sportivo italiano è composto dallo sport di base, con oltre 94 mila associazioni, con milioni di partecipanti e 97,5 milioni di euro di ricavi nel 2021. Ogni anno gli eventi organizzati da queste associazioni sono circa 300.000, un business che la pandemia aveva abbattuto ma che ha saputo rialzarsi già a partire dal 2021.

In questo ambiente spicca il lavoro femminile: il 35% dei dirigenti sono donne, un tasso doppio rispetto a quello degli sport di vertice. Si tratta di un mondo quasi interamente inquadrato in ambito dilettantistico. Il professionismo è una rarità legata soltanto agli sport più conosciuti e ai livelli più alti. E anche quando un determinato movimento raggiunge fama nazionale, spesso ci vogliono anni prima che riesca a passare ai contratti professionistici. L’esempio più recente è il calcio femminile, che pur con la spinta di molte società maschili, che hanno investito abbondantemente in alcune realtà, ha dovuto aspettare la stagione in corso per passare definitivamente a una dimensione professionale, con tutti i vantaggi che ne derivano.

La frammentazione della legislazione e la tutela dei diritti dei lavoratori sportivi sono quindi diventati, dopo la pandemia, temi sempre più pressanti. Si è così resa necessaria una svolta nel lavoro sportivo.

«Avevamo già tentato una riforma nel 2017 e nel 2018, per introdurre almeno i contributi, ma senza successo», dice Giampaolo Duregon, Presidente di ANIF Eurowelness, l’Associazione Nazionale Impianti Sportivi e Fitness, che negli ultimi mesi ha lavorato assieme ai governi che si sono susseguiti per riformare profondamente il lavoro sportivo. «Ora però le cose sono cambiate».

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La pandemia ha costretto a chiudere migliaia di impianti, e ora la crisi energetica minaccia la ripresa. Qual è la situazione dello sport italiano nel 2023?

«La situazione sta migliorando, ma rimane complessa. Veniamo da anni difficili, prima la pandemia e poi la crisi energetica. Per affrontare il Covid-19 abbiamo presentato ottanta emendamenti, ottenendo aiuti importanti. Soprattutto per i collaboratori e gli addetti, che sono stati sostenuti con sussidi tra gli 800 e i 1200 euro al mese nei periodi di chiusura. Di questo hanno giovato anche i centri sportivi, perché ha impedito una fuga di addetti dal settore. Per le società sportive purtroppo abbiamo ottenuto poco dallo Stato. I centri hanno avuto qualche migliaia di euro per la sanificazione sotto forma di credito di imposta.  Per quanto riguarda l’energia il discorso è stato diverso.

L’impatto dell’aumento dei prezzi è stato peggiore della pandemia, quando non c’era incasso, ma venivano azzerate anche le spese. La crisi energetica, soprattutto in un momento di ripresa come questo, ha raddoppiato, in certi periodi anche triplicato le uscite, mentre le entrate rimanevano a livelli più bassi del 2019. Sono stati efficaci i sostegni sia alle piscine, che sono i maggiori consumatori di energia, sia ai centri sportivi».

Uno scenario complesso, nel quale avete comunque deciso di insistere su una riforma del lavoro sportivo, perché?

«È raro che i datori di lavoro si occupano della contribuzione, noi lo abbiamo fatto perché ritenevamo che fosse importante a livello etico.  Era una questione aperta dal 2018 e non poteva non chiudersi. È una questione di progresso, di umanità. I collaboratori smettono finalmente di essere invisibili, e noi abbiamo dimostrato che questa riforma è sostenibile anche per le piccole associazioni sportive.

La riforma è necessaria per tre ragioni. Prima di tutto per i lavoratori. Non possono continuare ad esistere lavoratori senza welfare come era nella normativa precedente. In secondo luogo, per i gestori che erano continuamente sottoposti a contenziosi da parte delle autorità. La vecchia normativa prevedeva contratti senza contribuzione, ma spesso questi finivano per essere contestati. L’autorità trattava oltre 200 collaboratori dello sport come se fossero dipendenti, trascinando i gestori degli impianti in inutili battaglie legali. Infine perché dare al lavoro svolto dagli operatori sportivi il giusto valore, miglior il prodotto offerto, oltre a provocare una maggiore affezione degli insegnanti al proprio lavoro, diminuendo le possibilità che possano lasciarlo per impieghi meglio normati».

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Quali sono i dettagli della riforma?

«Quando il Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha presentato l’attuale riforma ci siamo impegnati a modificarla con più di 10 emendamenti. L’obiettivo era quello di diminuire l’impatto economico sui gestori. Posso dire ora che ci siamo riusciti. Prima non avevamo niente e ora abbiamo ottenuto una riduzione dal 33%, che era la proposta iniziale, al 25% dei contributi previdenziali per i primi cinque anni di contratto. Due terzi di essi sono pagati dal centro sportivo, il restante invece dal collaboratore. Quindi un istruttore che percepisce 1000 euro al mese pesa sulla società sportiva per 82,5 euro. Questo tenendo conto che non ci saranno contributi per collaborazioni pagate meno di 5000 euro all’anno. Abbiamo ritenuto che fosse giusta una mossa di questo tipo anche per l’enorme valore sociale che lo sport ha. Sia nell’avviamento dei giovani all’attività sportiva, sia per quanto riguarda i risparmi che permette nella spesa sanitaria».

Quali sono i suoi effetti sulla vita dei collaboratori e quelli sulle finanze delle società sportive?

«La tassazione a carico del lavoratore parte dai 15 mila euro all’anno. Per natura del settore, difficilmente si lavora molte ore in un solo centro, quindi solo il 15% dei collaboratori circa supera questa cifra. A questo si aggiunge l’INAIL, per cui abbiamo chiesto che non si applichi una percentuale superiore al 2%. Questo in ragione del fatto che, essendo il personale sportivo qualificato, composto spesso da laureati in scienze motorie o da ex atleti, gli infortuni risultano rari. Configurato in questo modo, il peso economico è sostenibile sia dalle piccole associazioni sia dalle medie e dalle grandi, un nostro obiettivo fin dalla prima ora della riforma».

Quali sono le prospettive per il futuro del settore: siete più ottimisti o più pessimisti?

«Superata la crisi Ucraina Russia, speriamo che il settore sportivo possa tornare finalmente ai livelli del 2019. Alcuni, come i più grossi centri polivalenti, ce l’hanno già fatta, mentre le palestre sono le attività che stanno soffrendo maggiormente. Le chiusure ripetute e la diffidenza verso gli spazi chiusi e affollati che la pandemia ha creato le penalizza ancora oggi. La speranza è che non ci siano altri grandi eventi nefasti in vista.

Ci sono 20 milioni di italiani coinvolti nella pratica sportiva, e i centri sportivi dovrebbero poter tornare a vivere con decoro, anche se potrebbero essere necessari aumenti nei prezzi. Il low cost da 20 euro al mese difficilmente saranno sostenibili, è più probabile che si vada verso i 60 o 100 euro al mese. Ma si riprenderà, anche perché è una necessità sociale. Lo sport produce salute, oltre a formare i giovani, e queste sono le molle che spingono il settore verso il futuro».

Articolo tratto dal numero del 15 febbraio 2023 del il Bollettino. Abbonati!

Attento alle tendenze e profondo conoscitore della stampa estera, è laureato in Storia del giornalismo all’Università degli Studi di Milano. Dinamico, appassionato e osservatore acuto, per il Bollettino si occupa principalmente del mondo dello sport legato a quello finanziario e del settore dei videogiochi, oltre che delle novità del comparto tecnologico e di quello dell’energia.