Sortir d’impasse: l’enigma Francia pare trovare soluzione. Nominati i ministri, il nuovo Governo guidato da Michel Barnier si riunisce per la prima volta all’Eliseo, nell’indifferenza pressoché totale dei Mercati. Lo stallo è davvero superato?
Una reazione modesta
L’insediamento dell’Esecutivo fa poco rumore. La notizia è accolta positivamente dalle associazioni industriali. «Ci sono tutte le condizioni per ripartire» ha detto Patrick Martin, Presidente della MEDEF (Mouvement des Entreprises de France), cui fanno eco dichiarazioni simili dal resto del mondo imprenditoriale. Il Mercato, però, non pare impressionato dalle notizie del fine settimana, con Parigi che apre in sostanziale parità con venerdì, per poi scendere e risalire lievemente. Il risultato di fine giornata è un +0,1% non esattamente entusiasmante. Un dato lievemente migliorato solo da un martedì positivo, che chiude a +1,32% dopo un’apertura positiva. Ma anche i volumi, sopra la media, ma senza impennate particolarmente sorprendenti, mettono in rilievo una reazione molto contenuta al superamento della vacanza, durata di fatto 67 giorni.
Le politiche
«Il nostro lavoro è facilitare il compito delle imprese» dice il nuovo Ministro dell’Economia francese, Antoine Armand. 33enne, un curriculum impeccabile che va dall’École Normale Supérieure all’École Nationale d’Administration, sembra il perfetto profilo istituzionale dell’era Macron. Caratteristiche in linea con quelle di un Governo che si potrebbe definire “di establishment”, composto dal centro-destra gollista e repubblicano e da ciò che resta dell’ammaccato campo presidenziale.
A guidarlo, il 73enne Michel Barnier, noto ai più come l’uomo incaricato di negoziare le condizioni di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. E proprio a Bruxelles, Barnier ha costruito buona parte della sua carriera, nei due mandati da commissario europeo e in quello da europarlamentare. Nell’immediato, dovrà affrontare il varo di una legge di bilancio, la prima dalla reintroduzione del Patto di Stabilità, che costringerà la Francia a tagliare le spese. Nel merito dei provvedimenti, Barnier si tiene prudente, in vista della dichiarazione di politica generale del 1° ottobre, ma chiarisce già il no a un aumento delle imposte per i redditi medi e bassi e apre a un’eventuale revisione della tanto criticata riforma delle pensioni, fermo restando però l’innalzamento dell’età di pensionamento a 64 anni.
Fuori d’impaccio?
Resta un fatto, più che un dato, piuttosto evidente tanto dalle proposte quanto dal comportamento dei listini: i nuovi inquilini dell’Hôtel de Matignon non sono dei rivoluzionari. A Macron, insomma, è riuscita l’impresa insperata di convertire un voto di rottura in un Governo di continuità. Ce n’è abbastanza per confortare chi, tra le imprese, temeva le proposte radicali – e costose – del Rassemblement National e degli insoumis. Certo, la vittoria del campo presidenziale arriva a costo di un compromesso estremo: la necessità di contare sul sostegno – o meglio, sulla non opposizione – del partito di Jordan Bardella e Marine Le Pen per ottenere la fiducia in Parlamento. È lontano il ricordo del Front Républicain costituito solo due mesi fa per sbarrare alla destra estrema la strada verso il potere.
E i dubbi relativi alla nuova formazione non sono solo politici. La legislatura in avvio è già densa di sfide: al già citato problema delle pensioni e ad altre questioni interne su tasse, salari e prezzi dell’energia si aggiungono le spinte esterne della guerra in Ucraina e della crescente domanda di integrazione e investimenti a livello europeo. Sulla carta, un negoziatore incallito come Barnier, uso ai tempi e ai modi di Bruxelles, potrebbe essere l’uomo giusto per affrontare questi bisogni. Ma nella pratica, pare legittimo chiedersi se un Governo fondato su un fragile compromesso tra forze politiche tra loro estranee avrà abbastanza ‘corda’ per fare le riforme necessarie, avendo mano libera laddove si richiederà di intervenire. In altre parole: il rischio paralisi è davvero scongiurato?
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