venerdì, 7 Febbraio 2025

Margarone, SPX LAB: «L’Europa fa progressi sui Cloud indipendenti, ma non è abbastanza»

Sommario
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Le infrastrutture cloud sono al centro della trasformazione digitale che sta ridefinendo il panorama tecnologico globale. «La crescente domanda di soluzioni digitali sicure, interconnesse e scalabili, nel contesto della Transizione Digitale che accelererà fino al 2030, sta spingendo l’espansione delle infrastrutture cloud e di una connettività sempre più pervasiva in Italia e in Europa».

La sfida è creare soluzioni che rispondano non solo alle esigenze di sicurezza e privacy, ma anche alle nuove opportunità offerte dall’innovazione tecnologica, in un contesto sempre più interconnesso.

«Sviluppare infrastrutture cloud autonome consentirebbe all’Europa di rafforzare il controllo sui propri dati nel lungo termine, promuovere l’innovazione interna e ridurre la dipendenza tecnologica da soggetti extra-europei», dice Massimiliano Margarone, CEO di SPX LAB.

Panoramica sul cloud computing europeo e italiano

Può darci una panoramica sull’attuale stato del cloud computing europeo?

«Stiamo facendo progressi verso una maggiore indipendenza, ma rimangono sfide significative, in particolare riguardo all’autonomia da paesi terzi e alla competitività su scala globale. Iniziative come GAIA-X, promosse dall’Unione Europea, puntano a colmare questa lacuna, proponendo una piattaforma cloud comune e conforme alle normative sui dati, come il GDPR. Nonostante ci siano visioni divergenti sul futuro di questi progetti, essi rappresentano un passo verso una maggiore sovranità digitale».

E a livello italiano?

«Gli investimenti in infrastrutture cloud sono in aumento, specialmente nel settore pubblico e tra le PMI, grazie anche a incentivi come quelli del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In Italia, la migrazione degli archivi digitali e dei servizi della Pubblica Amministrazione verso il Polo Strategico Nazionale (PSN) e piattaforme cloud qualificate è in corso, inizialmente sotto la supervisione di AgID e ora sotto l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN). Tuttavia, questa trasformazione non coinvolge ancora i livelli applicativi più avanzati, per cui molti strumenti diffusi, come email, videocomunicazione e AI generativa, rimangono gestiti da aziende extraeuropee».

L’importanza di nuove infrastrutture

Perché è cruciale per il Vecchio Continente sviluppare infrastrutture cloud indipendenti?

«È fondamentale sotto diversi aspetti. Attualmente, gran parte dei dati europei è gestita da aziende globali, come AWS, Microsoft e Google, il che ha implicazioni sulla “sovranità digitale” e la protezione dei dati sensibili. Affidarsi a fornitori fuori dall’Europa espone i dati a legislazioni esterne. Sviluppare infrastrutture cloud autonome consentirebbe invece di rafforzare il controllo sui dati nel lungo termine, promuovere l’innovazione interna e ridurre la dipendenza tecnologica da soggetti esterni».

I rischi legati all’outsourching

Quali sono i principali rischi legati all’outsourcing di queste competenze?

«Sono vari, in un contesto di continua modificazione degli scenari geopolitici, soprattutto in termini di sovranità digitale e protezione dei dati. Le legislazioni estere, come il Cloud Act statunitense, nonostante i continui tentativi di convergenza, possono obbligare le aziende a fornire informazioni su richiesta delle autorità, anche se conservati in Europa sotto il regime del GDPR.

Questo rischia di compromettere la privacy dei cittadini e delle imprese europee. Inoltre i dati potrebbero essere esposti a regimi normativi meno stringenti rispetto a quelli dell’Unione Europea. Da un punto di vista strategico, affidarsi a fornitori cloud extra-europei aumenta la nostra dipendenza tecnologica, esponendo le infrastrutture critiche a potenziali minacce geopolitiche e limitando la capacità di controllo su tecnologie strategiche. Un esempio è il cloud lock-in, ovvero casi di dipendenza che si verificano quando un’azienda è così vincolata a un cloud provider da non poterlo più sostituire senza gravi conseguenze».

I fattori legati alla continuità operativa per un cloud europeo

Quanto incidono i fattori legati alla continuità operativa e alla ridondanza in un sistema cloud europeo?

«Sono cruciali per garantire la resilienza e la sicurezza delle infrastrutture digitali. La continuità operativa, elemento fondamentale nell’attuale scenario applicativo, implica la capacità di mantenere i servizi attivi anche in caso di incidenti o malfunzionamenti, un aspetto fondamentale per le aziende che dipendono da sistemi IT per le loro operazioni quotidiane. La direttiva NIS 2 sottolinea l’importanza di misure tecniche e organizzative per gestire i rischi, evidenziando la necessità di piani di backup e ripristino in caso di disastro. La ridondanza, invece si riferisce alla duplicazione dei componenti critici del sistema, anche dislocati su territori diversi, assicurando che, in caso di guasto, ci siano risorse alternative pronte a subentrare, per il recupero tanto dei dati quanto delle funzionalità, quindi è un concetto legato strettamente a quello di continuità».

Quali sono le tecnologie chiave che devono essere sviluppate o potenziate per supportare le infrastrutture cloud europee?

«Innanzitutto, l’intelligenza artificiale gioca un ruolo cruciale nell’ottimizzazione delle operazioni e nella gestione dei dati, migliorando l’efficienza e la sicurezza, sviluppando le capacità di gestire e prevenire gli attacchi informatici. Poi c’è l’internet delle cose (IoT), che consente il monitoraggio in tempo reale delle infrastrutture, raccogliendo dati critici per una gestione proattiva. È essenziale anche continuare a investire in connessioni a banda larga, con una particolare attenzione ai rischi che si potrebbero avere con l’impiego di tecnologie prodotte all’estero. Si tratta di garantire la velocità e l’affidabilità necessarie per operazioni sicure, svolte in tempo reale e che consentano di connettere il 100% del territorio. In questo ambito, è necessario porre attenzione anche alla standardizzazione delle architetture IT per facilitare l’interoperabilità e la scalabilità del sistema, rendendo le soluzioni cloud più accessibili e integrate.»

Competenze tecniche dell’Europa

L’Europa dispone delle competenze tecniche necessarie per gestire e far crescere un’infrastruttura cloud su larga scala?

«Sì, esistono le competenze tecniche sia a livello di progetto sia di sviluppo, ma ci sono alcuni aspetti da affrontare nella realizzazione del cloud nazionale, a diversi livelli dello stack tecnologico. Le aziende pubbliche e private europee stanno investendo in soluzioni nazionali, garantendo che i dati rimangano sotto giurisdizione locale e rispettando normative rigorose come il GDPR. Tuttavia, l’adozione delle tecnologie cloud è eterogenea tra i vari Stati membri, con alcune nazioni più avanzate di altre.

La Commissione Europea sta incentivando progetti attraverso finanziamenti e regolamenti per migliorare le competenze e l’infrastruttura. Inoltre, la crescente domanda di servizi cloud avanzati richiede un continuo aggiornamento delle competenze tecniche e una visione strategica a lungo termine per i fornitori, ma anche per le aziende. A livello applicativo, l’avvento di strumenti pervasivi, come OpenAI, amplifica la questione del trattamento continuo di dati sensibili da parte di altre piattaforme. È a maggior ragione necessario creare delle alternative tecnologiche sviluppate dai Paesi membri.»

Le necessità per arrivare all’obiettivo

Crede che sia necessaria una regolamentazione più stringente?

«Sì, con l’aumento della digitalizzazione e della dipendenza dai servizi cloud, la sicurezza dei dati e la protezione delle informazioni sensibili diventano priorità fondamentali. E aumentano ancor di più la loro criticità con l’avvento di strumenti sempre più avanzati come l’intelligenza artificiale generativa. Una regolamentazione chiara e rigorosa può garantire che le aziende rispettino standard elevati di sicurezza, privacy e trasparenza. Normative come il GDPR hanno già dimostrato l’importanza di proteggere i dati dei cittadini europei. Tuttavia, è essenziale che la regolamentazione non ostacoli l’innovazione: deve essere flessibile e adattabile alle nuove tecnologie emergenti. La cooperazione tra Stati membri è cruciale per creare un quadro normativo uniforme che favorisca la fiducia degli utenti nei servizi cloud. Solo attraverso una legislazione efficace possiamo garantire che le infrastrutture cloud siano sicure, resilienti e pronte a sostenere la crescita economica e sociale dell’Europa nel lungo termine».

Quali vantaggi economici potrebbero derivare dalla creazione di infrastrutture cloud europee indipendenti?

«Garantirebbe una maggiore sovranità digitale, consentendo alle aziende europee di gestire i propri dati senza dipendere da fornitori esterni, riducendo così i rischi legati alla sicurezza e alla privacy, in un contesto geopolitico in continua evoluzione. Ricordiamo che durante la pandemia, con una diffusione improvvisa del lavoro remoto, i servizi cloud furono portati al limite, con rischio disconnessione da parte delle aziende fornitrici, per lo più extra-europee. Un’infrastruttura cloud autonoma stimolerebbe inoltre la competitività locale, favorendo l’innovazione e la crescita di startup e PMI, che potrebbero accedere a risorse avanzate senza ingenti investimenti iniziali, oltre all’attrattività di investimenti esteri.Infine la standardizzazione dei servizi cloud potrebbe anche ridurre i costi operativi per le aziende, migliorando l’efficienza e la produttività».

Le barriere economiche per lo sviluppo del cloud europeo

Quali sono le barriere economiche principali che impediscono lo sviluppo di data center su larga scala in Europa?

«In primo luogo, i costi elevati di investimento iniziali rappresentano un ostacolo significativo; la costruzione e l’allestimento di strutture moderne e lo sviluppo di Software As A Service (SAAS)  richiedono capitali ingenti. Inoltre, i costi operativi, inclusi quelli per l’energia e la manutenzione, sono in continua crescita, rendendo difficile per le aziende sostenere tali spese a lungo termine. La frammentazione normativa in Europa aumenta ulteriormente i costi di conformità, complicando il panorama per gli operatori del settore. Le diverse legislazioni nazionali possono generare confusione e ostacolare l’implementazione di strategie transnazionali».

Quale ruolo può giocare la sostenibilità nella progettazione di nuovi data center in Europa?

«È cruciale: influenza non solo l’impatto ambientale, ma anche la competitività economica. Innanzitutto, l’adozione di fonti di energia rinnovabile è fondamentale per ridurre l’impatto sulle emissioni di CO2. Le normative europee, come il codice di condotta per i data center, incentivano la trasparenza e la responsabilità ambientale, promuovendo l’efficienza energetica in tutti i settori, compreso il cloud».

L’urgenza di un’autonomia europea

Quanto è urgente per l’Europa crearsi una maggiore autonomia digitale rispetto a colossi come gli Stati Uniti e la Cina?

«È estremamente urgente. La crescente dipendenza dalle tecnologie estere, o una carenza di normative adeguate, potrebbero esporre l’Europa a rischi significativi in termini di sicurezza, privacy e proprietà dei dati. Gli attuali eventi geopolitici pongono dei dubbi sulla vulnerabilità delle infrastrutture digitali europee, rendendo evidente la necessità di costruire un ecosistema tecnologico autonomo e resiliente.Inoltre, investire in infrastrutture cloud e data center locali non solo migliora la sicurezza dei dati, ma stimola anche l’innovazione e la competitività delle PMI europee.

La Commissione Europea ha già avviato iniziative come la Bussola Digitale 2030, puntualmente recepite dai Paesi membri, compresa l’Italia, per promuovere la trasformazione digitale, ma è fondamentale accelerare questi sforzi. Creare un ambiente digitale europeo forte e indipendente non solo protegge i cittadini, ma favorisce anche uno sviluppo economico sostenibile, garantendo che l’Europa possa competere efficacemente nel panorama globale».

Se dovesse fare una previsione, crede che l’Europa possa diventare un attore competitivo nel settore del cloud entro il 2030?

«Credo che debba farlo. La crescente domanda di soluzioni cloud sostenibili e sicure offre all’Europa l’opportunità di attrarre investimenti significativi. Il sostegno crescente alle startup può inoltre accelerare la riduzione del gap, grazie allo sviluppo di soluzioni innovative, non solo di tipo tecnologico, legate ai servizi offerti e la sicurezza, ma anche di processo e metodo.Il sostegno della Commissione Europea, attraverso programmi come Horizon Europe e Europa Digitale, e la spinta addizionale del PNRR, sta incentivando l’innovazione e la ricerca nel settore. La cooperazione tra Stati membri e aziende private è essenziale per superare le sfide normative e infrastrutturali». ©

📸 Credits: Canva pro

Numero del 1 novembre 2024 de Il Bollettino. Abbonati!

Imparare cose nuove e poi diffondere: è questo il mio obiettivo. Proprio questo mi ha portato ad approfondire il mondo del web3, della finanza digitalizzata e delle crypto. Per il Bollettino mi occupo di raccontare una realtà ancora poco conosciuta in Italia, ma con un grande potenziale.