domenica, 19 Maggio 2024

Streaming market: rende ancora investire?

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Sono finiti i tempi in cui Spotify o Netflix detenevano il “monopolio” dei rispettivi servizi di streaming, ora il mercato è molto più differenziato e competitivo e, non da meno, il consumatore consapevole delle possibilità. Il risultato? Tagli al personale, aumenti delle tariffe e cambiamenti nelle offerte o nelle strategie di marketing. Ed è così che l’appeal di alcuni dei colossi del mercato sta scemando. Una domanda nasce: i servizi di streaming hanno bisogno di reinventarsi per mantenere una solida presa sui consumatori? O il declino è inarrestabile?

Negli ultimi anni, il mercato in questione è cresciuto esponenzialmente. Questo ha portato a un aumento della concorrenza tra i fornitori di servizi di streaming, che cercano di attirare e mantenere i clienti con contenuti originali, tariffe competitive e funzionalità avanzate, come la personalizzazione dell’esperienza di visione. Tuttavia, l’aumento della concorrenza ha anche portato a una pressione sui margini e a una maggiore necessità di innovazione e differenziazione. Per mantenere una posizione di leadership, i servizi di streaming dovranno continuare a investire nella creazione di contenuti originali e nella tecnologia per offrire un’esperienza utente sempre più personalizzata.

Analizziamo meglio questo mercato, partendo dal fenomeno Netflix e tutto ciò che ne è derivato. Nata nel 1997 come azienda di noleggio di DVD e videogiochi, dal 2008 ha attivato un servizio di streaming online on demand, accessibile tramite apposito abbonamento, che è divenuto presto il suo business principale. Una mossa visionaria, che ha dato il via ad un’importante escalation nel settore audiovisivo. La svolta vera e propria però prende piede nel 2013, quando il gruppo entra nel settore della produzione presentando la sua prima serie: House of Cards – Gli intrighi del potere. Il suo primo vero grande successo: il resto è storia.

A 10 anni da quel momento, però, molte cose sono cambiate. Al momento del suo lancio Netflix era la novità, l’unico protagonista detentore del monopolio del mercato. Ora la concorrenza è feroce e, a contendersi l’attenzione del pubblico, spiccano colossi che farebbero impallidire chiunque. Giganti del calibro di Disney (82,7 miliardi di dollari di fatturato nel 2022), Apple (394,3 miliardi di dollari) e Amazon (513,9 miliardi di dollari). Aziende che, a differenza di Netflix, possono vantare entrate plurimiliardarie ma diversificate, il che vuol dire che consentono una maggiore flessibilità e margine di manovra. E le conseguenze nel comparto sono adesso tangibili.

Il 2022 è stato infatti l’anno in cui per Netflix tutto è cambiato, l’anno che ha ridefinito il percorso dell’azienda. I primi segnali d’allarme sono scattati quando, nella presentazione dei risultati del primo trimestre 2022, la società ha annunciato di aver perso, per la prima volta nella sua storia, abbonati. E il numero non era esiguo, ma ammontava a circa 200mila utenti. Il boom da pandemia era ufficialmente passato e le azioni sono crollate sulla prospettiva di una nuova e più forte perdita di abbonati per il trimestre successivo (possibilità avveratasi con la perdita di un milione di abbonati nel Q2, la metà tuttavia di quanto previsto). Poco dopo, la piattaforma ha annunciato il licenziamento di 150 dipendenti. Mentre ad aprile il titolo crolla a Wall Street perdendo il 35,1%, affondato dal timore di un cambio delle abitudini dei consumatori.

Nonostante ciò e nonostante sia stato spesso accusato di prediligere la quantità alla qualità, spinto da alcune serie di successo come Mercoledì (con la regia di Tim Burton), Netflix ha comunque chiuso l’anno a segno più, almeno per quanto riguarda i ricavi, con un fatturato di 31,6 miliardi di dollari. «Il 2022 è stato un anno difficile – si legge nella lettera agli azionisti – con un inizio accidentato, ma un finale più brillante. Riteniamo di avere un percorso chiaro per riaccelerare la nostra crescita dei ricavi. Continuare a migliorare tutti gli aspetti di Netflix, lanciare la condivisione a pagamento e costruire la nostra offerta pubblicitaria».

Ed ecco quindi svelato come intende muoversi l’azienda. Il vaso di Pandora è stato aperto, ed è evidente ora più che mai la necessità di un cambiamento. I segnali negativi devono infatti servire come punto di svolta. Le guerre tra piattaforme stanno entrando in una nuova fase in cui l’obiettivo primario non è più la mera crescita di fatturato. Ma gli abbonati, e rendere il business redditizio e allo stesso tempo finanziariamente sostenibile.

Per fare ciò, Netflix si è concentrato su tre aree principali che hanno interessato la pubblicità, gli account condivisi e i contenuti. Ed è con questi fronti aperti, che il gruppo affronta il 2023, che si preannuncia ricco di cambiamenti. Tra i quali anche le dimissioni di Reed Hastings, co-fondatore e CEO dell’azienda da 25 anni. Un momento che ha segnato la fine di un’era e l’inizio di un un nuovo capitolo, o meglio, di un nuovo Netflix: studiato per competere in un mercato saturo di concorrenza, che sembra aver raggiunto il suo apice. Ma diamo la parola ai numeri per avere un quadro completo: secondo Ampere Analysis il valore complessivo della spesa in contenuti audiovisivi a livello globale nel 2021 è stato di 220 miliardi di dollari. Mentre secondo Statista, il business dello streaming video varrà 101 miliardi di dollari entro il 2024.

La guerra dello streaming non risparmia neanche la musica, e Spotify ce lo conferma. Pioniere nel settore dello streaming musicale, il gruppo si accinge a licenziare il 6% della sua forza lavoro, 600 dipendenti circa, perchè non sarebbe più in grado di sostenere costi così elevati. «Per allineare maggiormente i nostri costi – ha dichiarato il CEO Daniel Ek – abbiamo preso la difficile ma necessaria decisione di ridurre il nostro numero di dipendenti. Negli ultimi mesi abbiamo fatto uno sforzo notevole per contenere i costi, ma semplicemente non è bastato. Quindi, anche se è chiaro che questo percorso è quello giusto per Spotify, non lo rende affatto più facile, soprattutto se pensiamo ai numerosi contributi che questi colleghi hanno dato».

Lanciata nel 2008, la piattaforma è riuscita in pochi anni a rivoluzionare il mondo della musica, proponendo un servizio differente che ancora nessuno offriva, garantendo agli utenti l’accesso legale a una vasta libreria di contenuti musicali con la modalità di ascolto in streaming, grazie agli accordi con le varie case discografiche. Il suo business model è finanziato dagli abbonamenti, dalle pubblicità mostrate a chi non è abbonato e dagli acquisti musicali in negozi partner. Ma oggi anche per Spotify vale lo stesso discorso di Netflix, anche per quanti riguarda la concorrenza dei maggiori competitor: Amazon Music e Apple Music in primo luogo. O ancora YouTube music, Tidal e Deezer.

Oggi si potrebbe affermare che Spotify corra a due velocità, nel senso che se da una parte ha chiuso il 2022 con un fatturato di 11,7 miliardi di euro, utenti premium abbonati in crescita a 205 milioni e con la vertiginosa cifra di 489 milioni di utenti attivi mensili a livello globale (che usano il servizio gratuito e a pagamento assieme); d’altra parte ha registrato un perdita netta che ammonta a ben 430 milioni di euro. Rosso che l’amministratore delegato Ek ha attribuito a mosse definite «troppo ambiziose», che includono «costi del personale più elevati principalmente dovuti alla crescita dell’organico e ai maggiori costi pubblicitari».

Sicuramente la società svedese è stata vittima (come altre giganti Big Tech) della flessione dell’economia; ma se vogliamo scendere nei dettagli, queste “mosse troppo ambiziose” potrebbero riguardare una serie di accadimenti specifici. A partire dalle folli assunzioni a cavallo tra 2021 e 2022: in un anno il gruppo svedese è infatti passato da 6.617 dipendenti ai 9.800. O ancora dai grandi investimenti su tutta quella parte che riguarda i podcast, dove Spotify ha speso oltre un miliardo di dollari per l’infrastruttura.

Tirando le somme: almeno per il momento Spotify mantiene il suo status di piattaforma leader del settore. Soprattutto per quanto riguarda il numero di abbonati. Lo scorso anno vantava una quota di mercato del 31%. Seguito a debita distanza da Apple Music con il 15%, e da Amazon Music al 13%. YouTube Music invece in quarta posizione, con una quota dell’8%. Ma gli ultimi vacillamenti sono un segnale da non sottovalutare che dovrebbe far stare sull’attenti. Oltre che per il suo catalogo, oggi Spotify si distingue anche per le sue forti strategie di marketing che riescono a coinvolgere gli utenti a condividere la loro musica sui social (Wrapped ne è un esempio lampante), in un effetto domino pubblicitario potentissimo.

Anche la sua comunicazione è accattivante, fresca e diretta. La sua ultima mossa? Sembra che in un prossimo aggiornamento l’interfaccia dell’app sul cellulare sarà rivoluzionata, per renderla più simile al modello Tik Tok. Instagram ci ha già provato senza successo, non resta che vedere se Spotify riuscirà lì dove altri hanno fallito, e se i suoi utenti apprezzeranno. In generale. Il mercato della musica in streaming – dati 2020 – ha generato un fatturato totale di più di 13 miliardi di dollari in tutto il mondo. Il tasso di crescita medio annuo del mercato della musica digitale è circa del 13%. Si stima che il valore salirà a oltre 34 miliardi di dollari entro il 2025.

Dalle serie TV ai film, dalla musica ai podcast, questi servizi sono diventati la forma preferita di intrattenimento per molti. Ma cosa ha in serbo il futuro?
Sul fronte musicale, ad esempio, si spingerà sulla possibilità di ascoltare la musica in alta definizione, mentre per i contenuti video, che già offrono l’accesso a al 4K. sarà implementata la funzionalità 8K.
Non è escluso neanche l’uso tecnologie innovative come la realtà virtuale e la realtà aumentata per creare esperienze di intrattenimento ancora più coinvolgenti. E a proposito di tecnologie innovative, molto probabilmente i servizi di streaming si integreranno sempre di più con l’intelligenza artificiale. Gli algoritmi di AI sono già utilizzati per suggerire contenuti in base ai nostri interessi e alle nostre preferenze. Ma in futuro potrebbero diventare ancora più avanzati, offrendo esperienze di intrattenimento ancora più personalizzate. O ancora, un’ulteriore possibilità riguarda l’espansione in nuovi settori, come l’e-learning. Con l’aumento dell’apprendimento online, i servizi di streaming potrebbero offrire anche contenuti educativi, corsi, tutorial e conferenze, aprendo un nuovo mondo di opportunità per gli utenti. E per il loro business. ©

Articolo tratto dal numero del 15 marzo 2023 de il Bollettino. Abbonati!

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Dopo gli studi universitari in relazioni internazionali e un master in Communication & brand management inizia subito a lavorare nella moda a Milano. Scrive a tempo pieno per diverse testate occupandosi di business, moda, lusso e design. La conoscenza finanziaria maturata nell'editoria e l’occhio per le ultime tendenze sono i suoi punti di forza.