giovedì, 25 Aprile 2024

Aziende agricole rosa in crisi Donne in Campo – Cia, Terenzi:«Eppure sono il traino per la transizione verde»

Le agricoltrici traino della transizione verde. Promotrici della sicurezza alimentare, custodi di biodiversità e sostenitrici della tutela di paesaggio e territorio, le oltre 200.000 imprenditrici agricole italiane si candidano a essere capofila nella costruzione e nell’attuazione della transizione ecologica e sostenibile. «Ad oggi sono 207.991 le aziende agricole rosa, con un calo annuo dell’1,1% pari a 2.400 imprese in meno» dice Pina Terenzi, presidente di Donne in Campo – Cia. Ecco perché servono investimenti per il miglioramento e lo sviluppo dei servizi sociali e digitali nelle aree rurali: ospedali, presidi territoriali sociosanitari per una rete di assistenza diffusa, asili e scuole, banda larga diffusa. Elementi che favoriscono la crescita dell’imprenditoria femminile, aiutando le donne nel lavoro di cura e sostegno ai familiari, minori, anziani, disabili, per poter strutturare le proprie aziende e creare valore aggiunto per il territorio.

Il nuovo governo come può sostenervi?

«L’impegno multifunzionale delle imprese agricole va premiato e incentivato con risorse ad hoc, fornendo ai cittadini e alle comunità una serie di servizi fondamentali. Basti pensare agli agri-asili, alle fattorie sociali e didattiche, agli agriturismi, che offrono conoscenza, inclusione e integrazione, turismo e benessere. Sono tutti strumenti che promettono anche formazione per gli agricoltori del futuro. È necessario sostenere queste imprese, impegnate a ricucire gli strappi tra la sostenibilità economica e quella ambientale e sociale. In quest’ottica serve rendere stabile il Bonus Donne in Campo e in generale rafforzare gli strumenti di credito, ma anche favorire l’accesso alla terra da parte delle donne che, a tutte le età, e a volte dopo la crescita dei figli, desiderano impegnarsi in agricoltura».

Quale sarebbe il vantaggio?

«La difficoltà delle imprenditrici è quella che, dovendo essere a disposizione della famiglia, a sostegno di minori, anziani e disabili non possono concentrarsi a creare il valore aggiunto per l’accrescimento della propria azienda. Queste strutture faciliterebbero il lavoro femminile in termini di tempo, qualità e resa e poi se la donna investe in un luogo, questo vuol dire famiglia e comunità rurale».

Cosa vi aspettate dal nuovo PNRR?

«Chiediamo che parte delle risorse del Recovery vengano utilizzate per finanziare, sostenere e diffondere le esperienze di cui alcune già avviate, come la costruzione di filiere sostenibili, la produzione di fibre vegetali per tessuti e piante tintoree per le colorazioni naturali, ma anche finanziando progetti di ricerca per lo studio di nuove fibre vegetali per bioplastiche ed altri materiali.
E ancora, occorre avviare un reale incremento della produzione di erbe officinali per erboristeria e industria farmaceutica e lavorare per costruire vera aggregazioni di prodotto. Cerchiamo di utilizzare queste risorse oltre il loro primo uso. Le fibre vegetali, per esempio, saranno il futuro per gli agricoltori ma anche per le case di moda made in Italy. I fondi dovranno servire anche per migliorare i servizi nelle aree rurali, garantendo i presidi sanitari, ma anche rilanciando la rete dei Consultori familiari che hanno svolto un ruolo strategico nei territori a sostegno delle donne e della famiglia, garantendo e sostenendo anche il diritto delle stesse alla maternità».

Quali sono i vostri obiettivi?

«Ricostruire il primo anello della catena della moda Made in Italy 100% ecologica, rafforzare il sistema produttivo italiano, produrre materiali non inquinanti, creare nuova occupazione femminile e giovanile. Un impegno che si può allargare anche “alla produzione di piante per l’industria farmaceutica ed erboristica” così come “alla riforestazione e al ripristino della biodiversità” del settore vivaistico su territori degradati, alla cura e alla manutenzione del paesaggio, sostenuto da un piano di formazione per gli operatori, in linea con le strategie Biodiversity e Farm to Fork dell’Unione europea».

Cosa si può fare per l’ambiente?

«Le nostre aziende devono impegnarsi ad incrementare l’assorbimento di CO2 nella biomassa vegetale e nel suolo, nella produzione di energie rinnovabili per autoconsumo e produzione energetica. E poi è necessaria la formazione per il settore vivaistico sul recupero della biodiversità, come anche progetti di rigenerazione del suolo. In particolare, la formazione sul valore del patrimonio culturale e paesaggistico, è una leva economica cruciale, insieme al rilancio delle reti di imprese e cooperazione».

L’ultimo rapporto di Unioncamere dice che il Covid ha interrotto la crescita di imprese femminili, soprattutto le attività delle under 35, stoppando una rincorsa che andava avanti da sei anni…

«Sì, c’è stata una regressione, soprattutto per le aziende agricole del centro sud: questo è un dato preoccupante. Dobbiamo attivarci anche perché l’agricoltura è il primo anello che ci condurrà alla transizione ecologica».

Esiste una differenza tra agricoltore uomo e donna?

«Gli agricoltori sono tutti uguali, la differenza è nella visione e nel confronto quella delle donne porta qualcosa in più perché siamo diverse e riusciamo a vedere le cose da un altro punto di vista e questo è un arricchimento. Dobbiamo essere più presenti nelle istituzioni e nei tavoli che contano. Insieme e uguali. La divergenza è forte anche in altri paesi d’Europa non solo in Italia, ma credo che con uno sforzo di tutti potremo farcela. Bisogna partire dai bambini e insegnare loro che non c’è differenza tra uomo e donna nei lavori come nello sport, nella vita. Ciò che ci distingue è solo un fattore fisico, estetico, l’equità è fondamentale più dell’uguaglianza».