martedì, 23 Aprile 2024

Calcio e Borsa: una storia travagliata

Il fenomeno della quotazione delle società calcistiche in Borsa si è sviluppato a partire dagli anni ’80 in Inghilterra e ha per origine quel radicale cambio di paradigma che, proprio in quegli anni e nel decennio successivo, ha reso le squadre di calcio delle vere e proprie società di capitali a scopo di lucro. La prima a quotarsi in borsa fu, nel 1983 il Tottenham, allora guidato dal visionario presidente Irving Scholar, uno dei principali fautori della finanziarizzazione del mondo del calcio. Fu anche uno dei primi sostenitori della fondazione della Premier League, nata nel 1992 come cartello dei club inglesi in grado di imporre ai colossi televisivi pagamenti più elevati per i diritti di trasmissione delle partite. In Italia, l’apertura a questo fenomeno avvenne più tardi, dopo che, nel 1996, fu rimosso il divieto dello scopo di lucro e nel 1997 la borsa valori fu privatizzata. Il primo club italiano a quotarsi è stata la Lazio, nel 1998, seguita nel 2000 dalla Roma e nel 2001 dalla Juventus, gli unici tre del nostro campionato.

Fin da subito, a livello internazionale, l’evento della quotazione dei club si è accompagnato allo sviluppo di nuove esigenze di diversificazione delle attività di gestione, con esiti diversi nei vari paesi europei. L’obiettivo di questa diversificazione è ridurre la forte influenza dei risultati agonistici sul valore dei titoli, influenza che, secondo la maggior parte degli studi, interviene soprattutto in caso di risultati negativi.

In generale l’espansione orizzontale della gestione ha comportato la crescita di attività parallele a quella sportiva legate all’immagine del club, al merchandising, e, soprattutto nel calcio inglese, ha portato a un modello di club legato a uno stadio di proprietà e alla vendita dei biglietti. Da questo punto di vista, un esempio virtuoso è il Manchester United, che ha saputo sviluppare le sue attività collaterali adeguatamente, con proventi commerciali che nel 2019 hanno coperto il 44% del fatturato e uno stadio tra i più capienti al mondo, producendo anche risultati moderatamente positivi in borsa.

Al di fuori di queste eccezioni, però, la breve storia del calcio in borsa è stata ampiamente travagliata, e gli esempi negativi, anche al di fuori dall’Italia, tendono a prevalere su quelli positivi, a partire dallo stesso Tottenham di Scholar, che nel 1993 dovette fronteggiare una grave crisi causata in gran parte dalle ingenti spese derivanti dalle attività collaterali, e che portò alla fuoriuscita dal club del presidente.

 Storicamente i titoli delle società calcistiche sono considerati rischiosi e imprevedibili, proprio perché, come evidenziato da studi di settore, tendono ad essere più legati ai risultati sportivi che all’andamento generale del mercato. In più, anche guardando ad esempi positivi, come ad esempio Ajax in Olanda e Borussia Dortmund in Germania, che sono state in grado negli ultimi anni di generare quasi sempre notevoli flussi di cassa positivi, o lo stesso Manchester United, si nota che il premio al rischio di mercato è stato, fatta eccezione per alcuni periodi, nullo o negativo. Queste le principali ragioni per cui, dopo la fase di entusiasmo della fine degli anni ’90 e dei primi anni 2000, dal 2009 a oggi il numero di società europee in borsa è sempre sceso, con l’avvio di una fase di delisting che ci porta alla situazione attuale, con 24 club quotati in Europa, di cui 3 in Inghilterra, 3 in Italia, 1 in Francia e Germania, e neanche uno in Spagna.

Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".