Mondo dello spettacolo in ginocchio. La riapertura nelle zone gialle dei teatri il prossimo 27 marzo non potrà essere che una giornata simbolica. Difficile immaginare di ripartire con una tournee in un periodo dell’anno in cui le stagioni teatrali notoriamente vanno verso la fine e in un Paese in cui bisogna recuperare l’entusiasmo del pubblico. All’orizzonte dunque una festa, ma alle spalle un intero comparto, quello dello spettacolo dal vivo in grande sofferenza ormai da un anno. «Registriamo perdite enormi. Rispetto al 2019, siamo nell’ordine del 77% di media per quanto riguarda gli incassi e del 79% di ingressi. Dati che dimostrano, purtroppo, come la ripresa non sia proprio dietro l’angolo» dice Carlo Fontana, Presidente Agis, Associazione Generale Italiana dello Spettacolo.
In merito alla riapertura, perché l’Associazione Teatri Italiani Privati frena l’entusiasmo ritenendo impossibile una riapertura senza la certezza di un sostegno economico e operativo?
«Comprendo le ragioni. Le limitazioni previste dal Dpcm sono effettivamente di difficile sostenibilità. Detto ciò ritengo che la scelta del 27 marzo fatta dall’esecutivo, su indicazione del Comitato Tecnico Scientifico, rappresenti un primo ed importante segnale per tutto il comparto. La chiara dimostrazione di quanto stiamo sostenendo da tempo, e cioè che i luoghi di spettacolo sono spazi sicuri». La chiusura forzata ha toccato tutti i settori».
Chi ha sofferto di più secondo lei?
«Mi verrebbe da dire che stilare una classifica sarebbe come combattere una “battaglia tra poveri”. La chiusura, infatti, ha causato danni ingenti a tutto il comparto. Per non eludere la domanda e stando anche ai recenti dati della SIAE, i concerti di musica leggera, per la mole di spettatori, possono essere considerati tra i più penalizzati».
Con il vecchio Governo si è fatto portavoce di una petizione diretta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nella quale ha chiesto una strategia per la ripartenza dello spettacolo. In pochi giorni ha raccolto oltre 27mila firme. A che punto è oggi la sua petizione?
«La petizione si è conclusa ed abbiamo consegnato oltre 27 mila firme al Ministro. I numeri sono straordinari ed evidenziano la voglia da parte del pubblico di tornare a frequentare i luoghi di spettacolo. Con Franceschini abbiamo da tempo un rapporto proficuo, e certamente il suo sostegno, come dimostrato dall’incontro con il CTS che ha portato alle possibili riaperture, non è mai mancato».
Il Ministro Franceschini dunque ha dimostrato sostegno?
«Assolutamente, lo accennavo prima. Su questo punto abbiamo accolto favorevolmente le sue parole, che proprio qualche giorno fa, in Senato, ha ribadito come da parte del Governo vi saranno ulteriori sostegni fino al ritorno alla normalità».
Quali sono le proposte per il settore dello spettacolo dal vivo al Governo?
«Il tema prioritario è il recupero del rapporto con il pubblico. Per essere agevolato sarà importante individuare misure che incentivino la domanda. Ecco perché la prima proposta non può che essere la defiscalizzazione delle spese culturali. Inoltre, nel nuovo Decreto Sostegni non può non esserci la previsione di nuovi strumenti economici che accompagnino il riavvio, che non sarà un passaggio semplice. Ancor prima, per agevolare le riaperture al pubblico, la necessità di prevedere all’interno del piano vaccinale una forma di priorità per tutti quei lavoratori dello spettacolo (penso ad attori, cantanti, strumentisti a fiato e danzatori) che non possono indossare la mascherina nello svolgimento delle loro mansioni. Infine, l’esigenza di una riforma complessiva del comparto, a partire dalla definizione di nuove norme sul lavoro nello spettacolo». Pubblica amministrazione e giustizia sono le riforme più urgenti».
Saranno sufficienti per il rilancio del settore e utili per i vari aspetti del comparto (allestimento spettacoli, concessioni, accesso ai fondi)?
«Purtroppo no. Ma dal confronto avuto in sede di consultazioni con il Premier Draghi (per la prima volta un Presidente incaricato ha incontrato una delegazione del mondo dello spettacolo) è emersa, da parte di quest’ultimo, grande attenzione e sensibilità. Ho dedotto che la sfida è molto più ambiziosa».
C’è una stima su quanto bisognerà spendere nell’adeguare le strutture alle riaperture?
«E’ molto difficile quantificarlo. Parliamo ovviamente di cifre ingenti che, necessariamente, dovranno essere accompagnate da un supporto da parte dell’esecutivo attraverso norme ad hoc. Si pone anche il tema di un abbattimento del digital divide, ma confidiamo che su questi temi gli strumenti offerti dal Next Generation Eu potranno essere di straordinaria importanza».
Non c’è il rischio che le strutture spendano per poi essere richiuse nuovamente, si percepisce questa paura?
«Non possiamo ragionare in termini pessimistici su questo punto. Questo periodo, così difficile e traumatico, dovrà necessariamente terminare. Su questo dobbiamo essere uniti da uno spirito di sano ottimismo».
I film passano su piattaforma: si è fatto di necessità virtù. Un po’ si è lavorato: un’esperienza positiva?
«Hanno certamente aiutato e sono stati di supporto. Ma non soltanto i film, anche musica lirica e teatro. Ma, ovviamente, parliamo di strumenti complementari: lo spettacolo non può essere snaturato, e deve essere rappresentato nei luoghi a lui deputati, siano essi cinema o sale teatrali. L’esperienza in sala è ben altra cosa».
Nel vecchio Recovery Plan Italia la missione 1 “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” aveva a disposizione un tesoretto di 46,1 miliardi di euro, di cui 8 per turismo e cultura. Una cifra soddisfacente?
«Direi di no, nonostante ci sia stata qualche limatura nel corso del tempo. Pensi, per fare un esempio, che in una precedente bozza si quantificano le risorse riservate ai settori cultura e turismo, senza peraltro citare lo spettacolo, in 3,1 miliardi. Ossia l’1,48% del totale, veramente inaccettabile».
L’investimento sulla cultura è uno strumento strettamente connesso allo sviluppo socio economico del Paese?
«E’ del tutto evidente. Numeri alla mano, numerosi studi lo hanno dimostrato. Solo per citarle un dato, una nostra indagine, condotta insieme ad Impresa Cultura Italia – Confcommercio, ha evidenziato che per ogni euro investito nell’organizzazione di un evento culturale se ne attivavano nel territorio di riferimento 5 di valore aggiunto, ossia di ricchezza finale che rimane nel territorio».
Si parla tanto di digitalizzazione: come sarà possibile che interagisca con l’arte? Quali sviluppi per il futuro, l’Italia da che punto parte per essere la passo con gli altri paesi?
«Indubbiamente da questo punto di vista soffriamo come Paese, e bisogna ammetterlo anche come settore, un ritardo. Se c’è una cosa che la pandemia ci ha insegnato è stato proprio quello di capire quanto un ammodernamento tecnologico sia necessario ed urgente. Innovazione e cultura possono e devono tranquillamente interagire. Questo è ciò che il futuro ci chiede».