giovedì, 28 Marzo 2024

ACCORDI DI ABRAMO: IL CONFLITTO TRA ISRAELE E PALESTINA CONGELA L’INTESA

Gli Accordi di Abramo tremano sotto i colpi del conflitto israelo-palestinese. Gli attacchi aerei a Gaza e l’assalto alla moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, il terzo luogo più sacro dell’Islam, ha provocato un’ondata di proteste filo-palestinesi in tutto il Medio Oriente fino all’Africa, mettendo a dura prova le relazioni dei governi arabi con lo Stato ebraico. «Israele sta mettendo i suoi amici e alleati in una posizione difficile e imbarazzante. Questo ci riporterà presto al punto di partenza», ha detto Abdulkhaleq Abdulla, professore di scienza politiche negli Emirati. L’obiettivo degli accordi diplomatici, siglati lo scorso anno, era il riavvicinamento e la normalizzazione dei rapporti tra Israele e mondo arabo. Fino a quel momento solo Egitto (1979) e Giordania (1994) avevano firmato trattati di pace con Tel Aviv. Il Paese voleva ridisegnare la sua posizione in una regione da sempre ostile, potendo contare su un valido aiuto nel contenimento dell’Iran e stabilendo nuove relazioni commerciali, ma l’aggravarsi del conflitto sembra avere momentaneamente congelato l’intesa. Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco, che hanno regolarizzato le relazioni con Israele nel 2020, hanno rivolto severe critiche alle politiche semitiche. Oggi lo Stato ebraico è posto davanti a una grande sfida: ottenere l’accettazione di una regione che vede con sfavore l’occupazione violenta dei territori attorno a Gaza.

È la peggiore escalation del conflitto dal 2014. Eppure fino allo scorso anno lo scontro sembrava quasi dimenticato e la questione palestinese rimossa dalle relazioni tra Tel Aviv e mondo arabo in netto miglioramento. Tanto che a settembre Trump aveva definito quella serie di normalizzazioni diplomatiche «l’alba di un nuovo Medio Oriente». Certo, nessuno dei quattro Paesi protagonisti degli accordi era mai stato coinvolto in uno scontro diretto con Israele, eppure quello del 2020 sembrava davvero un punto di svolta. Ora il riaccendersi delle tensioni potrebbe mettere di nuovo tutto in discussione.

Sul processo di pace Biden ha mostrato da subito molto distacco: è il primo presidente Usa in trent’anni a non aver promesso una soluzione rapida del conflitto, assumendo un atteggiamento più equilibrato rispetto al predecessore. Diviso tra la forte instabilità politica, con Netanyahu che rischia di dover lasciare la guida del Paese e il tiepido sostegno degli Usa, Israele aveva visto le cose complicarsi ancor prima dello scoppio delle violenze. Adesso tre dei quattro firmatari degli Accordi di Abramo (Emirati, Bahrain e Marocco) hanno apertamente condannato gli scontri, e negli Stati Uniti cresce la pressione all’interno del partito democratico in favore dell’intervento per contenere gli attacchi semitici. Quella che per Trump era l’«intesa del secolo», rischia invece di trasformarsi nella parentesi di una pace mancata.

Mentre lo Stato ebraico cerca di contenere e ridurre le capacità militari di Hamas, nel suo discorso al Parlamento arabo, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha condannato le azioni di Tel Aviv, definendole «terrorismo di stato organizzato e crimini di guerra», e per questo punibili dal diritto internazionale. Abbas ha rivolto anche un appello agli Stati Uniti perché intervengano per porre fine all’aggressione contro il suo popolo, per fermare l’escalation di violenza e per raggiungere un soluzione politica basata su decisioni di legittimità internazionale. Secondo il capo di stato, la sicurezza e la stabilità saranno raggiunte quando l’occupazione terminerà con Gerusalemme Est come capitale. «Siamo pronti a lavorare con il Quartetto per arrivare a una pace giusta e duratura che garantisca i diritti del popolo palestinese alla libertà e all’indipendenza, in conformità con quanto approvato dal diritto internazionale», ha detto il presidente.

Intanto, il sentimento diffuso tra gli abitanti dei territori occupati è che i ripetuti attacchi diretti ai civili abbiano il razzismo come principale movente: ebrei di estrema destra che picchiano persone innocenti, tra cui donne e bambini, vandalizzando case e negozi arabi, ne sono la prova. «Le mie figlie, la nostra auto e la nostra casa sono state prese di mira da una folla ebraica anti-araba. Le mie figlie hanno subito lesioni fisiche e sono rimaste traumatizzate, ma le ferite più profonde sono quelle emotive, che nascono dalla consapevolezza di un razzismo rimasto nascosto per anni», ha detto Wadih Abu Nasser, Console Onorario di Spagna a Haifa e analista politico. «La disintegrazione dello Stato civile nel caos e nella sfiducia reciproca dovrebbe essere un chiaro segnale per Israele che il sistema discriminatorio basato sull’ideologia della superiorità non durerà per sempre e dovrà essere rivisto», ha spiegato il professor Sari Nusseibeh, già presidente dell’Università Al-Quds di Gerusalemme. ©

Nata e cresciuta in Brianza e un sogno nel cassetto – il mare. Ama leggere e scrivere ed è appassionata di comunicazione. Dopo la laurea magistrale in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, entra nella redazione de “il Bollettino” con un ricco bagaglio di conoscenze linguistiche acquisito durante il percorso scolastico. Ai lettori italiani porta notizie che arrivano da lontano – dall’Asia al mondo arabo.