venerdì, 29 Marzo 2024

DONNE E LAVORO IN ARABIA SAUDITA: NONOSTANTE LE RESISTENZE CULTURALI, AUMENTA LA PARTECIPAZIONE FEMMINILE

Grandi traguardi per l’Arabia Saudita, che raggiunge e supera l’obiettivo di aumentare la partecipazione femminile in vari settori. La natura patriarcale della società, che impedisce alle donne di esercitare a pieno i propri diritti, però resta difficile da scalfire. Se la previsione era portare il tasso di manodopera rosa al 30% entro il 2030, con 422.000 posti di lavoro occupati dall’inizio del 2019, la presenza del gentil sesso nel mondo delle professioni ha toccato il 33% già nel 2020, dopo essere stata di circa il 19% nel 2017, a fronte del 79% di manodopera maschile. «Le donne rappresentano la metà del Regno e vorremmo che diventassero una metà produttiva», ha detto il Principe Ereditario e Viceministro Mohammed bin Salman al-Saud. Tutto questo sta accedendo in una nazione dalla forte identità tribale che costituisce un potente fattore di controllo sociale, influenzando la vita delle donne e la loro libertà di scelta e di movimento. E poi c’è la Shariʿa, la legge islamica che le confina a una sfera del tutto subordinata nella società, mentre molte attiviste sono chiuse in carcere con l’accusa di attentare alla sicurezza nazionale, rischiando pene detentive lunghe e severe, oltre alle torture fisiche praticate secondo il dettame coranico. La discriminazione e la marginalizzazione sessuale sono fortemente radicate in un Paese costruito sulla monarchia assoluta, un regime estremamente repressivo basato sul “sistema del guardiano” (in arabo welayah). Mogli, sorelle e figlie sono legate al wali, il tutore, il “protettore” maschio che esercita un controllo totale su di loro. Nonostante questi fattori di chiusura, qualcosa si sta muovendo nello Stato del Golfo, segno che la battaglia per la libertà e la parità di genere è cominciata. «Le donne sono diventate un partner essenziale ed efficace nello sviluppo del Paese», ha detto Afnan Al-Shuaiby, presidente del consiglio di amministrazione dell’Arab International Women’s Forum. Ma c’è un fattore chiave da considerare: su una popolazione di 30 milioni di abitanti, quasi 11 milioni sono stranieri. Fino a oggi sono stati loro a far funzionare interi comparti dell’economia, commercio in primis. La nuova politica sull’immigrazione dello scorso anno, che obbliga gli imprenditori a pagare cifre consistenti per garantire il permesso di soggiorno ai propri dipendenti e ad assumere un numero minimo di sauditi, ha ridotto di 350 mila gli stranieri occupati. In molti casi, le imprese li hanno sostituiti con lavoratrici donne. Il motivo è semplice: si accontentano di stipendi più bassi degli uomini, pur percependo mediamente il doppio degli immigrati. Questi risultati si inseriscono nella Saudi Vision 2030, il programma di riforme sociali ed economiche avviato nel 2016 con lo scopo di diversificare la produzione di un Paese che dipende ancora in larga misura dal petrolio. L’occupazione femminile e, in generale, i diritti del gentil sesso sono diventati centrali nella strategia di Riad. Questo perché, nonostante le costituzioni vigenti nella maggior parte degli Stati di Medio Oriente e Nord Africa non facciano riferimento a discriminazioni di genere, esistono ancora delle resistenze di natura culturale a tradurre in leggi i principi di uguaglianza. Perciò, anche qualora esistano effettivamente delle normative a difesa della parità, spesso hanno poco riscontro nella pratica. Nel caso delle economie fortemente dipendenti dal settore petrolifero, come l’Arabia Saudita, la scarsa percentuale di forza lavoro rosa sarebbe imputabile anche al fatto che questo segmento impiegherebbe principalmente manodopera maschile. Il comparto pubblico, poi, impiega più donne di quello privato poiché offre loro maggiore flessibilità e, quindi, la possibilità di gestire casa e famiglia in parallelo alla vita professionale, dato che al genere femminile continuano a essere assegnati i ruoli di cura. È chiaro, allora, che le sfide da affrontare sono, sì, di natura economica, ma anche culturale. Per esempio, resta ancora formalmente in vigore il divieto di creare spazi aziendali condivisi, seppure siano ammesse riunioni “pubbliche” alle quali possono partecipare entrambi i sessi. Questa è un’altra ragione che spiega la preminenza maschile nel settore privato: le imprese, infatti, dovrebbero mettere in conto i costi necessari ad assicurare la presenza di ambienti dedicati esclusivamente alle donne. Le riforme di Vision 2030 attinenti più strettamente al mondo delle professioni hanno modificato in parte la legislazione sulla sicurezza sociale stabilendo, ad esempio, la stessa età di pensionamento per entrambi i sessi. È stata anche adottata una legge che proibisce la discriminazione sia nel reddito percepito sia nell’accesso al credito. Esisterebbe, inoltre, il divieto di licenziare durante il periodo di gravidanza o maternità. Una risoluzione del Ministero del Lavoro e dello Sviluppo, entrata in vigore nel 2019, introduce l’obbligo per alcuni negozi al dettaglio di biancheria intima e cosmetici di assumere solo personale femminile. Le saudite possono prestare servizio anche nei turni notturni, ma solo nella sanità, nei trasporti o se esiste una condizione di emergenza che lo richieda espressamente. Infine, in base ai dati della Banca Mondiale, sarebbero in aumento quelle che rivestono ruoli manageriali. «Le donne hanno ottenuto molti diritti nell’ambito della Vision 2030, ma la leadership del Regno punta ancora più in alto: arriveranno ad affiancare gli uomini in vari settori, dalla politica alla sicurezza nazionale, dal sistema giudiziario al turismo, fino all’aviazione. Guardiamo al futuro con rinnovata speranza: la partecipazione è in aumento, ed è una partecipazione qualitativa, non serve solo a fare numero», ha spiegato Al-Shuaiby. Il Principe Ereditario ha confermato che molti degli obiettivi del programma verranno raggiunti prima del 2030 e ha spiegato che si sono già ottenuti buoni risultati nel diversificare le fonti di reddito di Riad, prescindendo dalla ricchezza petrolifera. Il Paese, intanto, si prepara per avviare la Vision 2040, che sarà il palcoscenico della competizione a livello globale. «Il piano nazionale ha avuto un esito eccezionale. Le sfide strutturali che abbiamo dovuto affrontare in questi cinque anni sono state numerose, ma le abbiamo superate grazie all’impegno di tutti, acquisendo preziose esperienze che hanno rafforzato la fiducia nella conquista degli obiettivi prefissati. Ma c’è ancora molto da fare e da lavorare per centrare a pieno il bersaglio», ha detto il Principe. Dalle parole del leader saudita si evince che il petrolio, venuto dopo la fondazione dello Stato, non è così fondamentale per il suo sostentamento e, se costituisce ancora una parte essenziale del reddito nazionale, presto passerà in secondo piano sotto il peso di un’economia forte di investimenti stranieri. Nel prossimo decennio, il Paese punta a procurarsi 420 miliardi di dollari di capitali esteri nei settori del trasporto e delle infrastrutture. Tra l’altro, il comparto minerario saudita dovrebbe attirarne per 1.300 miliardi grazie a una nuova legislazione a favore della trasparenza. Le libertà di genere concesse dal programma sembra facciano da cornice allo scopo centrale di Vision 2030: rispolverare l’immagine dell’Arabia Saudita per attrarre investimenti stranieri e consolidare il potere centrale con il favore della Comunità Internazionale. ©

Nata e cresciuta in Brianza e un sogno nel cassetto – il mare. Ama leggere e scrivere ed è appassionata di comunicazione. Dopo la laurea magistrale in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, entra nella redazione de “il Bollettino” con un ricco bagaglio di conoscenze linguistiche acquisito durante il percorso scolastico. Ai lettori italiani porta notizie che arrivano da lontano – dall’Asia al mondo arabo.