Europa alle prese con una decisa diminuzione delle forniture di energia, che fa aumentare i prezzi e contribuisce a far salire l’inflazione, mettendo a rischio la ripresa economica e danneggiando le famiglie e le aziende. «Più che con una decisa diminuzione delle forniture ci siamo trovati alle prese con un brusco rialzo dei prezzi che non ha coinvolto solo l’Europa», puntualizza Massimo Nicolazzi, professore di Economia delle fonti energetiche all’Università di Torino. «Si tratta di capire se il fenomeno sia strutturale o meramente congiunturale. Il mercato al momento sta scommettendo sulla temporaneità. Il gas che verrà ad aprile lo si può comprare oggi alla metà della cifra del gas di oggi. E il prezzo del petrolio è a sua volta in backwardation, con il petrolio di domani che costa meno del prezzo di quello di oggi».
Difficile fare previsioni ovviamente, ma proviamoci…
«Andiamo incontro ad anni di presumibile volatilità dei prezzi e di forte necessità di impegno pubblico per la mobilitazione dell’investimento necessario per la transizione. Dove andiamo e con che passo sarà in funzione dei soldi disponibili, della tecnologia e del consenso. E distribuire in maniera socialmente non regressiva i costi della transizione sarà la condizione del consenso. Per ora un segnale importante viene dal G20 di Roma, da dove anche grazie all’autorevolezza della Presidenza sono venuti l’unanime riconoscimento politico della necessità di mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi centigradi e insieme la condivisione dell’obiettivo di raggiungere net 0 emissions “by or around mid century”. Vero che nulla è stato deciso sul come arrivarci e che dunque manca la condivisione di una roadmap; ma la condivisione politica ne è comunque la necessaria se pur non sufficiente premessa».
Questa crisi energetica, se così si può chiamare, è dovuta a una combinazione di fattori
«Posso azzardare qualche ipotesi. Per il petrolio Russia e Opec hanno di concerto mostrato una forte capacità di controllo dei volumi prodotti e questo ha contribuito a tendere al rialzo il prezzo. Per il gas è stata la tempesta perfetta. Il Brasile che per siccità vede crollare la produzione elettrica e deve sostituirla importando gas; il vento in Mare del Nord che si affievolisce facendo crollare la generazione eolica, anche qui sostituibile solo con generazione a gas; i cinesi che si rimettono a fare i cinesi e a consumare gas come e anzi più che ai tempi prima del Covid-19; qualche manutenzione straordinaria sulle linee e qualche guaio agli impianti; e così a seguire. Un cocktail forse (e sperabilmente) irripetibile che ha fatto schizzare i prezzi al cielo. E che ci ha anche fatto constatare come il mercato del gas, grazie soprattutto al gas naturale liquefatto, si stia globalizzando. Tutti a esorcizzare la crisi europea, ma nel frattempo i rigassificatori europei restavano, se non vuoti, largamente sottoutilizzati. Il gnl (gas naturale liquefatto) va via nave dove lo porta il prezzo. Ed è andato massicciamente in Asia anziché da noi. Il che indica solo che gli importatori asiatici erano disposti a pagarlo più di noi».
I mercati dell’energia sono da sempre soggetti a periodiche crisi di approvvigionamento, ma nella situazione attuale ci sono dei nuovi aspetti che la caratterizzano: molti dei fattori che contribuiscono allo squilibrio derivano dall’impatto del cambiamento climatico che porta temperature più estreme e dagli sforzi per limitarlo passando all’energia pulita. Come si può difendere sia l’economia sia il clima?
«Tendiamo ormai a mettere a carico del cambiamento climatico anche le nostre emicranie, il che rischia di diventare controproducente. Non vedo nell’oggi alcun significativo nesso causale tra cambiamento climatico e andamento dei prezzi dei combustibili fossili. E su economia e clima mi permetta di ricorrere a una metafora molto semplificatrice. Si immagini un treno che parte dalla stazione 2021 con destinazione 2050. A ogni stazione intermedia il treno deve scaricare fossili e caricare almeno l’equivalente di energia e generazione rinnovabili per tenere alimentata la sua caldaia (o, se vuole, il suo ciclo economico). Che cosa succede se alla stazione 2024 non trovo rinnovabili da caricare, o comunque ne trovo meno di quanto programmato? Posso non scaricare i fossili e arrivare a piena velocità alla stazione 2025 (evitando anche tensioni sui prezzi dell’energia) dopo aver però emesso in atmosfera tutto l’emettibile e aver accelerato il global warming. Oppure posso procedere a scartamento ridotto, che è virtuoso, però implica una qualche tensione sui prezzi e perciò, anche qualche turbolenza sociale e politica. O siamo tempestivi nell’investire in decarbonizzazione (e IEA ritiene che per esserlo dovremmo spendere su base annua il 400% di quanto spendiamo oggi) oppure se non alla 2024 in qualche altra stazione ci toccherà di sbattere nell’alternativa. E non potremo affidarci alla scienza, perché la scelta sarà prerogativa del politico»
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha parlato anche di nucleare…
«Al vertice hanno più o meno deciso di studiare i mercati, raccomandato di aiutare i consumatori più indigenti e, infine, di lavorare a misure di contenimento dei prezzi. Insomma non hanno deciso. Più in generale e anche con riferimento al nucleare la parola magica oggi è tassonomia. L’elenco dei progetti e settori ritenuti sostenibili. La tassonomia non è ancora approvata perché non vi è accordo sull’includervi gas e/o nucleare. Chi non è nell’elenco virtuoso non ha accesso a fondi comunitari e in pratica, magari via ESG, neanche a finanziamenti privati. L’esclusione del gas significherebbe in pratica rendere pressoché impossibile finanziare nuove infrastrutture di importazione e lo stesso vale o quasi per il finanziamento della generazione nucleare. Poi soprattutto per il nucleare ricordiamoci che la decisione di costruire una centrale nucleare non è della Presidente della Commissione ma dei singoli Stati nazionali (e dunque magari qualche Paese, Francia giusto per non far nomi, probabilmente se lo finanzierà comunque)».
Ogni Stato membro ha una realtà energetica diversa e una propria percezione dell’attuale crisi dei prezzi, con divergenze sulle cause, sugli effetti, sulla durata e su come affrontarla. Come si fa a mettere tutti d’accordo?
«Non ci si riesce se non mediando al ribasso. Si riesce ormai a prendere impegni severi (net 0 2050…) solo per scadenze alle quali si è ragionevolmente certi di non esserci».
In molti Paesi dell’Unione Europea, Italia compresa, il problema principale è il gas: più del 20 per cento dell’energia elettrica prodotta è ottenuta da quello naturale (da noi circa il 40 per cento). E quasi tutto questo gas è importato: quasi il 90 per cento proviene da Paesi non membri, di cui quasi la metà (il 43,6 per cento nel 2020) arriva dalla Russia. Uno dei problemi è che proprio la Russia negli ultimi mesi ha ridotto i flussi di gas che riforniscono l’Europa. Le motivazioni addotte sono di aver avuto maggiori richieste dai Paesi asiatici e non, come qualcuno pensa, che possa averlo fatto allo scopo di fare pressioni per ottenere l’attivazione del Nord Stream 2?
«Non mi risulta. I metanodotti sono gli artefici dell’ultima fattispecie di matrimonio indissolubile: quello tra un giacimento e un mercato. I tubi non possono cambiare direzione e i giacimenti da cui la Russia esporta in Cina sono diversi da quelli da cui esporta in Europa. Negli ultimi mesi Gazprom ha consegnato in Europa per intero i volumi cui era contrattualmente obbligato e ha rifiutato alcune richieste di volumi aggiuntivi. La ragione ufficiale era che dovevano riempire con priorità i loro stoccaggi e quella attribuita era legata a Nord Stream 2. Possiamo inutilmente dibatterne all’infinito. Ora comunque è arrivata la dichiarazione russa che finiti gli stoccaggi loro si dedicano a quelli europei. È bastata la parola per far venir giù del 15% il prezzo da un giorno all’altro. Vedremo…».
Quando il Nord stream 2 sarà a pieno regime, la Russia si troverà in una posizione particolarmente forte e potrà dettare i suoi termini a un mercato europeo alla disperata ricerca di gas naturale…
«L’Unione Europea se esclude il gas dalla tassonomia in pratica incorona la Russia come futuro unico fornitore via tubo e dunque non mostra timore… Fuor di scherzo, non sono particolarmente preoccupato. I ricavi da esportazione di idrocarburi sono una componente essenziale del bilancio federale russo e i russi non possono perciò permettersi di fermare le forniture. Il mercato poi, come accennavo, si sta globalizzando. I contratti di lungo termine indicizzano il prezzo in relazione alle variazioni di altre commodities. Una volta erano petrolio o suoi prodotti e adesso sempre più il prezzo del gas venduto sui mercati spot. Il russo che vende sulla base di un contratto long term non è perciò un price maker ma un price taker e i price makers sono i mercati asiatici e/o gli hubs europei».
In altre parti del mondo la crisi energetica è più legata al carbone. In particolare in Cina, il primo Paese per consumo di questo combustibile fossile. Quali sono le ragioni?
«Ne bastano due. La prima è che il carbone è il fossile meno caro e la seconda è che ne sono ricchi. La Mongolia, in particolare, è una gigantesca miniera…».
Per l’Italia c’è il pericolo di restare senza forniture? Che cosa succederebbe?
«Si resta senza forniture se non si hanno i soldi per pagarle. Poi ci possono essere difficoltà temporanee. Ma è più facile che sia per problemi tecnico/infrastrutturali che per mancanza di materia prima».
La situazione ha messo a nudo la fragilità dei rifornimenti globali mentre i Paesi spingono per passare dai combustibili fossili a fonti di energia più pulite, un cambiamento che molti investitori e governi stanno cercando di accelerare. La transizione però non è una cosa che si fa dall’oggi al domani. E nel frattempo che si fa?
«Si cerca di arrivare puntuali alle stazioni del treno. Come spesso ripeto un processo energetico a dirlo è semplice. Ci vogliono una fonte e un convertitore che trasformi l’energia in lavoro utile. Solo che se cambi fonte devi cambiare anche il convertitore, fornelli di casa inclusi. In un mondo di quasi 8 miliardi di persone la questione può farsi complessa. E chiamarla Rivoluzione è sbagliato. Non sarà la presa del Palazzo d’Inverno, ma un lungo percorso, stazione per stazione, di progressiva decarbo-nizzazione». ©