Il governo di Pechino stringe sulla sicurezza nel mondo del lavoro. Una mossa, però, non senza polemiche: i detrattori sostengono che la nuova legge – entrata in vigore lo scorso settembre – si limita a imporre la sistematica chiusura dei siti produttivi e il rafforzamento dei controlli. Nel dettaglio, tra le novità introdotte dalla terza revisione – che segue quelle del 2009 e del 2014 – vi è un aumento della sanzione minima da 200 mila a 300 mila yuan per le aziende inadempienti e il valore massimo passa da 20 milioni di yuan a 100 milioni. «I principali membri alla guida di una unità produttiva o commerciale che vengano meno al dovere di prevenzione previsto dalla legge, ricevono un’ammenda pari al loro reddito annuo in caso di incidente grave», si legge nel testo della norma. A cambiare sono anche i tempi della sanzione: le imprese in cui si rileveranno violazioni verranno multate nell’immediato, in concomitanza con l’emanazione dell’ordine di rettifica. «La pena pecuniaria potrà essere imposta su base giornaliera fino all’effettiva risoluzione da parte del datore di lavoro», ha comunicato ai media nazionali Guo Linmao, membro della commissione affari legislativi del Comitato Permanente.
I NUMERI – Se uno slogan governativo cinese recita: «La sicurezza prima di tutto», il costante calo delle morti bianche (31.6% in meno rispetto al 2020) conferma l’importanza che lo Stato attribuisce al benessere nelle aziende. La Accident map di China Labour Bulletin – ONG che fornisce prospetti dettagliati e in tempo reale degli incidenti professionali nel Paese asiatico – riporta 361 infortuni dall’inizio dell’anno. Gli ultimi casi riguardano il settore minerario e quello delle costruzioni, entrambi fonte di preoccupazione per Xi Jinping, che nel 2018 aveva istituito un ministero apposito per le emergenze.
IL RUOLO DEI SINDACATI – «Sarà anche necessario stabilire un sistema di gestione e controllo per gradi, che preveda la partecipazione proattiva di vari attori, sindacati compresi. I loro membri hanno il diritto di prendere parte alle indagini sugli incidenti professionali e devono essere consultati per stabilire e implementare un sistema di responsabilità per la sicurezza destinato a tutti coloro che svolgono un mestiere, anche nei settori emergenti», ha spiegato Guo Linmao.
SINDACATI E GIG ECONOMY – Gli impiegati della gig economy – la cosiddetta “economia dei lavoretti” precari e flessibili – nel 2018 erano già stati coinvolti in una massiccia campagna di reclutamento da parte della Federazione dei Sindacati Cinesi (All-China Federation of Trade Unions, ACFTU), l’unica rappresentanza legale nella Repubblica Popolare. E all’inizio di ottobre, sulla scia dei recenti sforzi del Partito volti a regolare le multinazionali del Paese, la municipalità di Pechino ha emesso delle linee guida per incoraggiarne la sindacalizzazione, fornendo loro controlli sanitari periodici e servizi di assistenza all’infanzia. Le organizzazioni municipali sono intervenute per salvaguardare i gig workers in più occasioni. La federazione della città sud-orientale di Xiamen ha recentemente richiesto alle aziende un vero e proprio “promemoria per la stanchezza”, che arrivi nella app dei fattorini del food delivery per ricordare loro di fare una pausa ogni quattro ore. Nel 2017, a Shanghai, un quadro era stato inviato sotto copertura a documentare le condizioni di lavoro precarie e la mancanza di protezione sociale nel settore delle consegne a domicilio. A novembre di quell’anno venne istituito il primo sindacato dedicato ai rider – che oggi conta 20.000 membri – e venne fornita loro una serie di servizi gratuiti, tra cui l’assistenza legale.
QUALCHE PERPLESSITÀ – Che gli impiegati accettino di svolgere un ruolo più attivo, comunque, è tutto da vedere: se il compito principale dell’ACFTU è quello di garantire l’armonia dei rapporti professionali, i report di attivisti e ONG denunciano spesso personale inadempiente in caso di infortuni ed evasivo dinanzi a richieste di chiarimento, pronto a scaricare la responsabilità sui governi locali. ©
Sara Teruzzi
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