venerdì, 26 Aprile 2024

Il piano cinese per il 2022: valorizzare le Borse nazionali e fermare la fuga delle grandi aziende

Il Partito Comunista Cinese ha deliberato: per quotarsi nelle borse internazionali le aziende avranno
bisogno di un’autorizzazione. Non così facile da ottenere, e, soprattutto, revocabile se non soddisfa i
requisiti. La decisione è arrivata dopo un anno alquanto incerto per le aziende dell’alta tecnologia in
Cina. Di fatti, ci si aspettava una mossa da parte del legislatore cinese, per far sì che a rimetterci non
fosse l’economia nazionale in toto. Dopo la stretta che ha colpito le Big Tech, Ant Group e Didi su
tutti, il PCC mette nero su bianco le sue intenzioni.

COSA PREVEDE LA BOZZA

Il Partito Comunista Cinese sembra ambire a un potere di controllo sulle grandi aziende cinesi. Penetrare i mercati esteri, nell’ottica di Pechino, significa sfuggire dal dirigismo statale. Per Xi Jinping, ciò non è ammissibile. A maggior ragione in questo periodo di avvicinamento al XX Congresso, che deciderà se riconfermarlo a capo della nazione.

L’Autorità cinese di regolazione dei mercati si è occupata della stesura della bozza. Il progetto si trova ora all’ultimo passo dell’iter, che precede la sua approvazione. L’azienda che desidera quotarsi in Borse estere dovrà sottoporsi ad un’indagine dell’ente appena citato. Quest’ultimo dovrà visionare il piano di offerta pubblica iniziale (IPO), la sua conformità alle leggi nazionali e il rispetto della privacy. Ultimo aspetto da non tralasciare, che garantisce una certa discrezionalità al regime, è la possibilità di bloccare tutto nel caso in cui fosse messa in pericolo la sicurezza nazionale. Un concetto molto ampio che dice tutto senza dire niente e che permette al partito di regolare a suo piacimento.

L’obiettivo è senz’altro quello di valorizzare le Borse nazionali, evitando la fuga delle grandi aziende cinesi. Inoltre, la volontà di Xi Jinping è anche quella di mettere ordine, ideale confuciano mai passato di moda, in un settore che cresce sempre più vertiginosamente. Al primo posto la nazione, poi, forse, la libertà imprenditoriale.

UNA MANO TUTT’ALTRO CHE INVISIBILE

Nel frattempo, per chiudere il quadro, la mano dello stato acquisisce tratti sempre più nitidi di dirigismo statale. Niente può essere lasciato al fato e il caso Jack Ma, con la sua scomparsa dalla scena pubblica e il crollo di Alibaba, acquisisce un nuovo capitolo. Cinda, una società di stato molto famosa in Cina, controllata dal Ministero delle Finanze, è da poco diventata il secondo azionista di Ant Group. Ora lo Stato detiene il 24% del capitale del braccio finanziario di Alibaba. Dopo aver “spinto” Jack Ma a devolvere 1/3 del suo patrimonio, pari a 15,5 milioni, ad associazioni benefiche in Cina, ora lo stato ne manovra anche le attività dall’interno. Le altre Big Tech sono avvisate.

Manuel Michelacci

LinkedIn Manuel Michelacci

Twitter MMichelacci

Credits: Pixabay

Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “l’esperto risponde”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]