sabato, 7 Dicembre 2024

Guerra e inflazione: mix tossico per i mercati. Tamburi: cauti su cripto e obbligazioni, investire in azioni e fare più M&A

Parte tutto dal coraggio. Quello di rischiare e di aprirsi al confronto con realtà anche concorrenti, per migliorare e puntare a profitti maggiori. Non solo nella scelta di investimenti ad alto rischio, ma anche nella consapevolezza che fare sistema crei sviluppo e valore aggiunto. Ma a tirare il freno a mano per una ripartenza con un ampio respiro internazionale c’è un retaggio culturale ancora ingombrante. Che rischia di far prevalere dinamiche conservatrici in un mondo che ormai viaggia a velocità progressiste inarrestabili.

«L’imprenditore italiano ha paura di tante cose», dice Giovanni Tamburi, da 33 anni Presidente – e fondatore – della Tamburi Investment Partners S.p.A., gruppo industriale quotato su Euronext STAR di Milano con una capitalizzazione di circa 1,9 miliardi di euro e con un portafoglio di investimenti – diretti e tramite club deal – di oltre 5 miliardi. «Non vuole vendere, ma non vuole neanche fondersi per creare un gruppo più forte. Preferisce il 100% della sua azienda – magari aziendina – che scommettere insieme all’azienda concorrente. Che magari è dall’altra parte della strada e che spesso è più brava in certe cose e meno in altre. Se si mettessero insieme farebbero ben di più per ricerca e sviluppo, innovazione, export, etc».


Ci faccia capire: l’imprenditore teme lo straniero o anche il vicino di casa?

«Non fa differenza. È che assai spesso è felice di starsene nel suo mondo, nella sua aziendina con magari la Ferrari comprata con i soldi dell’azienda. Pensi alle società quotate, dovrebbero essere molte ma molte di più, rispetto al sistema italiano, molte più public company. Poi c’è un’altra cosa importantissima…»

Dica

«L’imprenditore italiano è molto benestante, spesso ricco. Non è come in America dove si va in Borsa per raccogliere soldi che non si hanno. Qui molti imprenditori hanno un valore d’azienda di 100 e un patrimonio personale di almeno altri 100, per cui la molla della necessità finanziaria non c’è quasi mai, tantomeno quella strategica per avere un socio. In altri Paesi, specie fuori Europa, si promuove un’aggregazione perché se ne sente il bisogno, qui molto meno. Di fatto c’è un’ambizione moderata, per fortuna non totale, ma comunque non così alta come potrebbe essere, per cui si finisce per fare troppo poco M&A».

A proposito di Mergers and Acquisitions, mai si era registrato un valore di investimenti così elevato in Italia. Nel 2021, con 705 deal (il 27,3% in più rispetto al 2020 – dati M&A in Italia – Review 2021 e preview 2022), sono stati investiti 85,5 miliardi di euro, il 122,1% in più rispetto all’anno precedente, che aveva impiegato 39 miliardi

«Speriamo che vengano confermati i risultati, il trend è buono, così come quello delle nuove quotazioni sull’AIM, ora EGM, però certamente in un Paese come l’Italia e in un anno come il 2021, avremmo dovuto fare il doppio, il triplo».

La volatilità nei mercati azionari è dovuta a tre effetti concomitanti: i problemi derivanti dalle tensioni sui prezzi delle materie prime, dalle difficoltà di approvvigionamento in alcune filiere e dall’incertezza pandemica, a cui si associano le tensioni tra Russia e Ucraina con tutte implicazioni geopolitiche; poi ci sono l’inflazione e infine il tapering annunciato dalla Fed. Quali sono i fattori che devono ricevere più attenzione da chi investe nei mercati azionari?

«Se vuole una provocazione credo che il mercato stia approfittando della scusa Ucraina, della scusa inflazione, della scusa approvvigionamenti per far fare quella correzione che era necessaria, visto che eravamo arrivati a dei massimi impensabili, per taluni titoli. Il mercato è furbo, ma se lei facesse un’analisi indietro a 20 anni vedrebbe che tutte le volte che la Fed minaccia di alzare i tassi, i mercati si fermano un pochino. Respirano. Ma non per la paura del tapering. È il ricatto dei mercati sulla Fed. Loro di fatto è come se dicessero “cara Fed stai attenta, noi abbiamo bisogno che tu tenga i tassi bassi, per cui noi che abbiamo alleato tutto il mondo, combattiamo e ti chiediamo di essere molto cauta”. E infatti sono 20 anni che i rialzi sono lenti, esitanti, super motivati. E, poi, se vuole un’altra scommessa…».

Certo, continui

«I famosi 4 rialzi, o 5 che alcuni dicono per il 2022… se saranno due o tre sarà tanto. Saranno molto timidi e sempre conditi da spiegazioni molto ben ponderate, quasi da essere comunque pronti a rettificarli. In fondo se si guardano le minute della Fed per tutte le decisioni degli ultimi anni si trova una cautela a volte eccessiva, una paura di osare. I media si divertono a parlare di “falchi, colombe…” però la realtà è che i mercati si sono dimostrati, da anni, più forti della Fed».

Al momento però le politiche delle banche centrali spingono a un rialzo dei tassi, con eccezione della Bank of China, in questo panorama l’investitore con un profilo di rischio moderato è costretto a comprare obbligazioni decennali fino a scadenza per ottenere rendimenti positivi?

«Onestamente no, questi sono gli anni dell’equity, non delle obbligazioni. Per cui direi: azioni, azioni, azioni. Poi è chiaro che non si può mettere il 100% in azioni… ma se uno pensa che il Nasdaq è sotto del 25% circa dei massimi e che azioni come Amazon hanno circa il 30%, in questi giorni ci potrebbe essere un’occasione per comprare molto interessante. Poi magari ci si chiede: è finito il crollo? Forse no, però non si può pensare di comprare ai minimi. Tip comunque in questi giorni sta comprando azioni proprie e non solo. Sono un pazzo? Forse sì, però sono anni che i nostri risultati sono premiati dagli atti di coraggio».

Beh, lei un po’ il re Mida del settore: negli ultimi 10 anni il ritorno per i vostri soci è stato di oltre il 600%. Oggi come vedete la situazione: ci sono meno incertezze rispetto a due anni fa, la ripresa è ormai una realtà in cui credere?

«Noi siamo abbastanza sereni, tutte queste grandi incertezze non le vedo: ci sono i temi delle materie prime, della logistica, dell’energia. C’è però la situazione dell’Ucraina, su cui è difficile fare previsioni. Però le eccellenze industriali riescono sempre a superare bene questi problemi, trasferendo a valle i maggiori costi. Per cui non credo che sia una situazione tale da rallentare questa ripresa. Abbiamo visto che dopo il Covid-19 c’è stata la ripresa più veloce e più violenta della storia dell’economia mondiale.
Questo vuol dire vuol dire che la forza e la voglia di tutti di consumare e di investire è superiore a qualunque paura. Se si torna indietro di due anni i media, molti economisti e quasi tutti i politici vedevano in questa crisi pandemica il declino finale, il crollo totale, eravamo alla follia assoluta. In realtà non solo non è stato così, ma già dalla fine del primo lockdown si è visto un grande recupero dell’economia.
Un esempio, oltre agli shortage di tanti materiali: a New York e a Londra i prezzi delle case sono arrivati ai massimi di sempre. Quando si diceva che New York si sarebbe spopolata perché sarebbero andati tutti a vivere in campagna, da Londra sarebbero scappati tutti anche per la Brexit e invece e siamo ai record. Per cui io leggo questo momento come di riposizionamento di tante cose, ma non vedo nessuna grandissima crisi o una cosi enorme incertezza».

Mentre osserva con diffidenza il mercato obbligazionario

«Ha già perso tanto. Io di obbligazioni so poco, Abbiamo sempre qualche decina di milioni di liquidità in TIP perché devo tenere un po’ di flessibilità, però bisogna stare attenti: i tassi in qualche modo saliranno, l’inflazione anche temporanea un po’ ne eroderà il valore, per cui magari punterei su obbligazioni convertibili, titoli indicizzati in qualche modo, con cedole buone… credo che oggi se si scommette su società sane, che diano un dividendo che di fatto almeno pareggi il rendimento di un’obbligazione, si possa aver davanti, con le azioni, tutto il tempo per poter guadagnare soldi. Non vedo grandissimi rischi, né alternative all’equity. Molti stanno andando sull’immobiliare, quello certamente è un settore oggi interessante, comprare oggi una casa, che si può godere direttamente o si può affittare – con i mutui all’1% – è certamente un tema da valutare. Non andrei sull’oro».

Perché?

«È improduttivo, se si è bravi e veloci da soddisfazioni di breve termine, è la classica scelta di non scegliere».

E le criptovalute come le vede?

«Non ho le idee chiare su questo tema, a me interessano le aziende, il loro valore aggiunto, la loro crescita. Li si che se si è bravi si può guadagnare in modo solido».

È un interesse che riguarda più i grandi investitori o i piccoli?

«Di tutti, Io credo che in un grande patrimonio oggi si possa mettere qualcosa, perché solo quello che ha fatto il Bitcoin negli ultimi anni dimostra che chi ne è stato fuori ha sbagliato, questo è oggettivo. Per cui se io dovessi consigliare al detentore di un grande patrimonio un cippettino lo metterei, però con tutta l’attenzione del caso, finché non si capisce se è una materia pericolosa. Se noi pensiamo che i Bitcoin perso il 40% in pochi mesi, forse in poche settimane… bisogna stare attenti.
Ma in fondo mi chiedo: perché un investitore o un risparmiatore debba puntare tanto in cose non produttive? Il mondo va avanti con il valore aggiunto che fanno le aziende, le persone intelligenti devono investire prevalentemente in azioni di buone e sane aziende. Il resto è un rischio puro. Dopodiché se uno ha un miliardo di euro e vuole mettere qualche milione in Bitcoin fa benissimo a farlo, perlomeno per togliersi lo sfizio. Però parliamo di sfizi, non parliamo di investire in modo sano e ponderato».

Come vede il controllo di Borsa italiana da parte di Euronext?

«Va benissimo, pensiamo a tutte le banche italiane socie di Borsa Italiana che anni fa hanno venduto per pochissimo, per fare utili in frange del bilancio. Borsa Italiana era delle banche, delle sim e degli agenti di cambio, per cui non facciamo i piagnistei sullo straniero».

Parliamo di Startip, la controllata del gruppo focalizzata sulle startup e il digitale: due temi centrali oggi spinti dalla grande voglia di ripartenza

«Innanzi tutto è la maggio azionista di Digital Magics, il principale incubatore italiano: se ci propongono una società appena nata, che non fattura e chiede di fare i primi vagiti, il posto giusto è Digital Magics, se invece è una realtà che ha due/tre anni e fattura da un milione di euro in su, anche se perde ancora, ma si può sviluppare allora c’è Startip. Talent Garden – nata a Brescia ed oggi è il più grande coworking center d’Europa, dopo 3 aumenti di capitale seguiti da noi, va molto bene. In Startip abbiamo investito 70/80 milioni e ha dato vita a un bouquet di eccellenze nel digitale, nell’innovazione abbastanza unico in Italia».

Che cosa vi aspettate dal PNRR?

«Ci dà la possibilità di intercettare delle cifre immense e, se saremo bravi a fare le riforme, gli investimenti e più che altro a fornire formazione intelligente, potremmo essere uno dei grandi formatori d’Italia e forse d’Europa, cosa di cui c’è gran bisogno».

Poi c’è la sfida degli aggregatori: come sta andando?

«Abbiamo cominciato a fare gli aggregatori vent’anni fa con Interpump, poi lo abbiamo dimostrato bene anche con Amplifon, Alpitour, Prysmian, Sesa, BE, Moncler, OVS, Beta, Chiorino e tante altre. È il nostro mantra da sempre e accelereremo ancora».

Standard Ethics vi ha assegnato il rating di sostenibilità: quanto conta questo aspetto nelle vostre operazioni?

«Lo abbiamo da sempre anche i nostri decaloghi per come fare investimenti. Ovviamente oggi è aumentata l’attenzione. Per esempio quando abbiamo lanciato Itaca, un club deal di 600 milioni sui turnaround, abbiamo proprio dedicato un capitolo alla questione ESG, al fatto che metteremo un’attenzione molto forte su questi aspetti in ogni operazione e ci siamo impegnati nei primi 3-5 anni dall’inizio dell’investimento a migliorare sempre anche nell’ambito della società in cui abbiamo investito».

Ci voleva la pandemia per puntare i riflettori su questi argomenti?

«È la pigrizia di noi tutti, è normale. Molti pensavano “siccome il mondo è sempre andato avanti lo stesso, perché ci si doveva preoccupare”. Invece la pandemia ci ha obbligati a riflettere e per fortuna lo ha fatto».

Il Presidente del consiglio Mario Draghi ha ricordato recentemente l’importanza delle donne nelle scienze. La presenza femminile però nelle materie STEM è ancora bassa, per non parlare di quella nei posti manageriali delle aziende. La percentuale di quote di genere in Italia è scesa nel 2021 al 3% dal 4%: siamo in fondo alla classifica assieme a Germania (3%) e Svizzera (2%) e dietro a Spagna (4%) e Portogallo (6%), contro il 26% della Norvegia, il 18% della Repubblica Ceca e il 14% della Polonia (dati Ewob): qual è l’ostacolo per le donne nel mondo dell’imprenditoria?

«È uno dei temi che ho analizzato attentamente ritenendomi un piccolo innovatore nel campo: credo che purtroppo il primo nemico delle donne siano le donne stesse, nel senso che se uno guarda il numero di laureate in grandi università ogni anno e il numero di quelle che dopo tre anni lavorano ancora, credo che si sia intorno a 1/3. È colpa del sistema che non le aiuta a crescere? In parte sicuramente sì. Che siamo in un sistema maschilista purtroppo è ancora vero, però anche dare la giusta attenzione ai figli, a certi aspetti della famiglia, forse anche la voglia di fare altre cose purtroppo c’è. Io credo che queste statistiche insegnino molto, ma è complicato compiere questa evoluzione: in qualche caso di consigli di amministrazione si vedono persone non preparatissime o persone che sono lì più per il genere che per la competenza e questo non aiuta sicuramente».                                       ©

Antonia Ronchei

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Direttore de il Bollettino dal 2020, giornalista dal 1998. Dopo esperienze nel campo musicale e culturale, mi sono occupata di attualità, politica ed economia in radio, tv e carta stampata. Oggi dirigo un giornale storico, del quale ho fatto un completo restyling e che vede coinvolta una redazione dinamica e capace: ho la stessa passione del primo giorno, ma con un po’ di esperienza in più.