giovedì, 5 Dicembre 2024

NFT e fan token: Serie A e Serie B unite su nuovi business

nft calcio

Il calcio è in crisi e le società cercano nuovi business per colmare i vuoti nelle casse lasciati da una doppia emergenza: il Covid-19 da una parte, la mancanza di pubblico dall’altra. Si cercano nuove strategie per aumentare i ricavi e i fatturati, a cominciare dalle intuizioni tech: non sorprende, quindi, che diversi club di Serie A e Serie B stiano spingendo sugli NFT. «Gli stadi sono vuoti da anni, dall’avvento delle pay-tv. il Covid-19 ha amplificato il problema e in tanti ora preferiscono guardare le partite da casa. Anche perché ormai si gioca a tutte le ore», dice Andrea Merighi, consulente finanziario assai attento al connubio finanza-sport, con una predilezione per il calcio.

Il calcio, soprattutto quello italiano, deve far fronte a due emergenze. La prima è l’invecchiamento del pubblico. Secondo il report 2021 di StageUp e Ipsos, i tifosi sono diminuiti del 2,6% rispetto al 2020, passando da 25,3 milioni a 24,6 milioni. I tifosi tra i 14 e i 34 anni, che guardano ogni partita della propria squadra, oggi rappresentano il 36%: nel 2001-02 erano il 49%. E poi ci sono le voragini di bilancio…

«Le squadre sono aziende da non aiutare: la Juventus ha chiuso il bilancio in perdita, ma ha i soci che ripianano. Un’azienda normale sarebbe già stata messa in liquidazione. Il Chievo non ha pagato l’Iva dal 2013, fino al fallimento però è stata considerata un’azienda in bonus. Tutto questo, alle imprese normali, non viene concesso».

Gli NFT possono salvarlo?

«Nascono sull’onda delle criptovalute, chi più e chi meno importanti/verosimili, ci sono portali che sono una truffa. I giovani si stanno avvicinando alle criptovalute e si possono avvicinare agli NFT, certo. Ma è difficile pensare che possano aumentare sensibilmente il pubblico giovane. Chi investe sugli NFT è perché ha i soldi per farlo, a prescindere dall’età. E i giovani in Italia, di soldi, non ne hanno tantissimi. Nascono più che altro per andare a coprire una mancanza di redditività, più che coinvolgere fasce anagrafiche più basse. Magari il giovane lo compra perché è collegato alla maglia o all’evento, a un videogioco, ma è un’operazione prettamente finanziaria. Non credo che il nostro calcio abbia il pensiero che i giovani non vadano allo stadio, non ha una visione così lunga».

Secondo lei sono una bolla?

«Secondo me sì, perché portare gli spettatori allo stadio non è il fine. Il fine è solo economico-finanziario: è un modo, nato nel 2020, per creare un senso di appartenenza attraverso qualcosa di nuovo. Le grandi società avranno grandi margini, le piccole no: è come se un club creasse una nuova criptovaluta per consentire ai tifosi di usufruire dei servizi. Le squadre con scarso seguito avrebbero un bacino di utenza basso che i profitti sarebbero zero. NFT collegati a Cristiano Ronaldo e Messi, che hanno grande seguito, hanno un senso. Altrimenti no. Adesso tanti club hanno i loro NFT, anche in Serie B: è una moda, lo fanno tutti, ma non ci sarà grandissimo ritorno. È come fare l’asta delle magliette a fine partita per donare il ricavato: se lo fa la Juve ha un ritorno. A meno che…».

Andrea Merighi, consulente finanziario

A meno che?

«Se ci sarà un portale unico o un ente unico che creerà NFT e li diversificherà, allora la bolla potrebbe non scoppiare. Ma è difficile».

L’Inter ha lanciato, recentemente, una maglia con un QR Code, in edizione limitata. Ha senso?

«Sì, perché apre un mondo di comunicazione. Se io lego l’NFT a una maglietta, quella diventa unica e originale. Tra i collezionisti c’è un mercato importante. Ma c’è di più. Io ho una maglietta indossata da Michel Platini, in tanti mi chiedono se sia originale. L’NFT mi dà la possibilità di dire è originale, diventa una garanzia, il certificato di un’opera d’arte. Potrebbero trasformarsi in atti notarili: tramite la blockchain ho la tracciabilità».

E per quanto riguarda i fan token?

«I fan token sono come una tessera punti, li accumuli e poi fai parte di una serie di eventi. Questo può essere un elemento per fidelizzare i giovani e farli partecipare». 

Insomma per salvare il calcio serve altro: la Superlega?

«La Superlega non è la risposta. Ci guadagnerebbero solo i grandi club, grazie a diritti tv e sponsor. Che le big giochino sempre tra di loro può diventare noioso. Per salvare il calcio, le società dovrebbero diventare imprese come tutte le altre. Ci sono squadre, come Lecce e Napoli, che hanno optato per esempio per l’autoproduzione delle divise: quella è una scelta intelligente».

E ridurre gli ingaggi e investire sul settore giovanile

«In diversi club il rapporto salario/fatturato è del 67%. Fuori dal mondo. Un’impresa normale porterebbe i libri contabili in tribunale molto prima, si consideri che quando quel rapporto supera il 40% si è considerati a rischio default. Bisogna riformare i settori giovanili, con persone qualificate. E a livello salariale occorre darsi una calmata: i club, e i calciatori devono capire che vivono in un mondo reale, non possono percepire stipendi stellari, altrimenti le società sono destinate a fallire. Il calcio deve tornare un po’ sulla Terra: coinvolgere i giovani. Anche i procuratori dovrebbero essere pagati solo dai calciatori, non dovrebbero ricevere commissioni dai club: altrimenti è normale che il loro interesse sia sempre quello di muovere i loro assistiti, giocando sempre al rialzo».

Gli NFT fuori dal calcio, funzionano meglio in altri sport?

«Hanno una loro ragione dove ci sono grandi numeri, a prescindere dallo sport. Può beneficiarne la Formula 1, che è contingentata, non è frastagliata: c’è l’evento, ci sono tot gare all’anno. Il concetto principale è quello dei grandi numeri, più che di sport. Come successo in Asia: in India, attraverso XDress, che è una società di fashion digitale, si sono creati NFT legando una coppia di atleti, con card e gadget speciali. Un’operazione che ha coinvolto la stella del cricket Shoaib Malik e la tennista Sania Mirza, legati sentimentalmente. In India il cricket è lo sport nazionale, nel Paese vive un miliardo di persone. Non mi stupisce che il tutto abbia funzionato: è una questione di grandi numeri».

Simone Vazzana

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