sabato, 20 Aprile 2024

Il conflitto e le sanzioni rendono la birra più amara

Comparto birra: a causa della guerra perso il 60% del raccolto di mais. Le sanzioni alla Russia e l’aumento di prezzo delle materie prime tagliano le gambe ai grandi player del beverage mondiale. Compreso quello della birra, in difficoltà per diverse ragioni. Innanzitutto, per  l’aumento del costo dei cereali, indispensabili per la produzione della birra. Ovvero orzo e mais di cui l’Ucraina è il quinto produttore mondiale.

Le previsioni, infatti, ipotizzano che il 30% delle aeree agricole del Paese invaso non potranno essere seminate nei prossimi mesi e questo causerà una conseguente perdita del raccolto di mais del 60% nel 2022. A penalizzare ulteriormente il settore c’è anche il rincaro del prezzo dell’alluminio con cui vengono realizzate le lattine, di cui la Russia è una delle maggiori esportatrici, aumentato di oltre il 45%, con un aggravio di costi potenzialmente molto pesante.

«Da una parte la guerra, come ogni avvenimento drammatico, ha portato a una destabilizzazione, influendo sulle abitudini sociali, mentre dall’altra i rincari dovuti agli effetti della pandemia si sono ulteriormente inaspriti», spiega Vittorio Ferraris, presidente di Unionbirrai. «L’aumento considerevole dei costi di packaging e imballaggi, oltre ai rincari sui consumi energetici, hanno avuto un impatto molto forte sui costi di produzione, aggravati dall’aumento del carburante che ha penalizzato i trasporti».

L’Ucraina è tra i maggiori produttori di orzo, materia fondamentale per la produzione della birra. Come incide il rincaro delle materie prime sul vostro settore?

«Al momento non abbiamo ancora un impatto su questo aspetto, ma potrebbe farsi sentire a breve quando gli approvvigionamenti saranno inevitabilmente intaccati dalla guerra in corso».

Un altro problema fondamentale è la carenza mondiale di lattine di alluminio…

«Non solo l’alluminio, ma tutto quello che riguarda il packaging ha già creato problemi enormi sia in termini di costo sia in termini di approvvigionamento purtroppo. Insieme all’alluminio, anche i costi di plastica, carta e vetro sono aumentati in maniera eccessiva e gli approvvigionamenti sono spesso difficili. Con evidenti ripercussioni, quindi sulle spese legate alla produzione».

Come sono cambiati l’import e l’export della birra?

«L’export è al momento un fattore che può essere considerato marginale nel settore della birra artigianale. Esistono in Italia delle eccellenze che vengono acquistate dall’estero, ma i mercati internazionali non sono oggi il primo obiettivo dei birrifici. È ovvio, però, che quanto sta accadendo negli ultimi anni ci ha portati a guardare ancora di più all’interno dei confini, anche perché la birra artigianale è espressione del territorio e pertanto continuiamo a lavorare su questo cercando di creare attorno alle nostre produzioni un consenso territoriale».

Che cosa può fare lo Stato per venire in aiuto del vostro settore?

«In generale c’è tanto che si potrebbe fare. Per ora è riuscito a comprendere solo una delle nostre peculiarità, quella di un prodotto estremamente deperibile che necessita di essere conservato e trasportato senza interrompere la catena del freddo e con una shelf life ridotta, fattori che hanno influito nel periodo del lockdown, causando delle perdite importanti in termini di prodotto. Su questo lo Stato è intervenuto a seguito di un’azione insistente di Unionbirrai, che ha portato a un ristoro che a breve dovrebbe arrivare, volto ad aiutare le aziende sulla base dei quantitativi di birra prodotta nel 2020 e rimasta invenduta».

Che ruolo gioca la digitalizzazione nel vostro settore?

«Fondamentale e diventerà sempre più importante. La pandemia ha dato una spinta ancora maggiore a un fenomeno che era già sviluppato. Sono numerosi i birrifici che si affacciano alla vendita online e sono sempre più importanti anche la promozione e le vendite attraverso i social».

La pandemia ha bloccato anche eventi e feste legate al settore…

«C’è una grande volontà ora però, sia da parte degli operatori di settore sia da quella dei produttori, di ridare vita e riproporsi attraverso gli appuntamenti fieristici. A marzo c’è stato Birra&Food Attraction a Rimini e all’inizio di maggio Cibus a Parma. La determinazione è tanta come anche la volontà di fare bene, speriamo che si vada sempre più verso una normalità in tal senso».

Che estate vi attendete?

«Speriamo sia un’estate rosea come quella dei due anni precedenti. Nonostante le restrizioni, infatti, nel 2020 e nel 2021 il periodo estivo è sempre stato molto attivo e ha salvato il nostro settore. La previsione è ottimistica e nel segno della ripresa. La pandemia ci ha dato la spinta per trovare nuove direzioni per raggiungere il consumatore anche in caso di impossibilità di utilizzare i canali di somministrazione classici e lavorare, quindi, sempre più su un aspetto di fidelizzazione del cliente finale, nonché a radicarsi maggiormente in un territorio e avere così quel riscontro diretto che per un prodotto di filiera corta come la birra artigianale, che deve raggiungere il consumatore in tempi brevi, è fondamentale».            ©  

 Matteo Martinasso