Il caso delle plusvalenze “gonfiate” di cui sono accusate 11 società di calcio, fra le quali 5 di serie A (Juventus, Napoli, Samp, Empoli e Genoa), tiene banco anche a campionato concluso. Se da un lato, infatti, c’è da tenere in conto l’incremento del valore di mercato dei calciatori negli ultimi anni, dall’altra bisogna capire come i vari club abbiano approfittato dei prezzi “gonfiati” con l’obiettivo di mettere a posto i bilanci. «Da tempo si discute del fatto che le società abuserebbero dell’utilizzo delle compravendite dei diritti pluriennali, al fine di migliorare le proprie situazioni economiche riuscendo a trasferire nel tempo perdite già realizzate», dice Massimo Collina, esperto in questioni amministrative relative a società di calcio professionistiche, oltre che consulente tecnico di parte della Società Delfino Pescara 1936 Srl. «Il meccanismo è quello delle compravendite incrociate a prezzi più alti rispetto ai reali valori, che solitamente avvengono senza che vi siano saldi finanziari tra le società. Per fare un esempio, la società A vende a B un diritto pluriennale a 10 realizzando una plusvalenza di 9 (valore contabile pari a 1) e acquista da B un diritto pluriennale per 10 che patrimonializza e ammortizzerà in 5 anni (pari alla durata del contratto del calciatore). La società A, così facendo, realizza un utile economico di euro 9 e incrementa il proprio attivo patrimoniale di euro 10, valore che andrà ad ammortizzare negli anni successivi. Ovviamente se i valori reali dei diritti scambiati fossero pari a 10 non ci sarebbero discussioni da aprire, ma se, come è accaduto in passato, i valori sono attribuiti a calciatori che non hanno mai visto un campo di calcio vero e che mai lo vedranno, ovviamente si inizia a discutere di “plusvalenze fittizie”».
Siamo alle porte della sessione estiva di calciomercato e le società iniziano a mettere in chiaro il budget a disposizione per gli acquisti dei calciatori. Una parte viene reperito dalle cessioni di calciatori già in rosa, il cui prezzo è spesso stabilito anche in base alla plusvalenza che si può ricavare dalla loro vendita…
«In materia contabile viene definita “plusvalenza da calciomercato” il maggior valore tra il prezzo di cessione del “diritto pluriennale alle prestazioni di un calciatore” e il relativo valore netto contabile del diritto medesimo. In sostanza la plusvalenza è la differenza tra il prezzo di vendita di un calciatore ed il suo costo di acquisto, al netto del valore già ammortizzato. Quindi, finanziariamente la società introita l’intero prezzo di vendita ed economicamente l’operazione impatta sul conto economico decurtando dal prezzo di vendita il valore patrimoniale con cui è iscritto quel calciatore in quel dato momento».
Le richieste di condanna della Procura Figc per i club coinvolti e per i dirigenti sono state bocciate dal Tribunale poiché si è ritenuto «non attendibile ai fini della dimostrazione di un illecito il metodo con cui la Procura aveva definito il valore dei calciatori coinvolti nelle operazioni sospette». Come si stabilisce quando le plusvalenze sono illecite?
«Il Tribunale Federale ha sancito che il valore di un Diritto Pluriennale è quello che viene fissato dal mercato, ossia dalla trattativa tra società, non essendoci un vero e unico criterio per giungere a una valutazione oggettiva. Conseguentemente tutti gli sforzi della Procura Federale per dimostrare che ad alcune operazioni erano stati attribuiti valori “fittizi” sono risultati vani. Dal mio punto di vista posso sottolineare che la Procura ha svolto il lavoro incappando in diversi errori di ordine tecnico-contabile e, soprattutto, ha avuto la presunzione di giungere a conclusioni standardizzate senza tener conto di particolari situazioni soggettive».
La necessità di far quadrare i conti per rispettare i parametri economici imposti dal Fair Play Finanziario, con l’obiettivo di indurre le società a un auto-sostentamento economico, ha messo la lente d’ingrandimento sui bilanci annuali. Questo meccanismo da i suoi frutti?
«Il “sistema calcio” italiano è sottoposto a un attento controllo da parte di organi federali (COVISOC su tutti, la Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio Professionistiche, organo interno alla Federazione) che arriva ad almeno due visite ispettive annue per ogni società. E tali controlli hanno portato a una sterilizzazione quasi assoluta delle società che falliscono in ambito serie A o B. Rimangono ancora situazioni critiche in Lega Pro, legate soprattutto a proprietà delle società che spesso sono poco solide. In ogni caso le norme sul Fair Play Finanziario hanno contribuito a mettere in sicurezza il sistema. Le manovre sulle “plusvalenze”, se non ostacolate dagli stringenti controlli, consentirebbero di aggirare almeno in parte i paletti fissati».
Ci può quindi essere un modo per impedire le cessioni a prezzi gonfiati?
«Il processo che si è appena consumato è la dimostrazione che attualmente non ci sono strumenti per impedire cessioni (con contrapposte acquisizioni) a prezzi gonfiati. Vanno trovate delle soluzioni con una apposita normativa. Tante sono le idee in campo. Da tecnico interverrei nel porre dei limiti alla possibilità di acquisire diritti pluriennali, magari con una parametrizzazione ai ricavi caratteristici delle singole società, lasciando libera la possibilità di realizzare plusvalenze. Immaginate una società medio-piccola che sopravvive valorizzando i calciatori e che, quindi, deve poter contare sui ricavi derivanti dalla vendita di diritti pluriennali, dovrà essere vincolata negli acquisti di diritti pluriennali sulla base dei suoi effettivi ricavi: non potrà più mettere in campo operazioni di acquisto di tipo fittizio non avendone capienza».
Le plusvalenze vengono realizzate quasi tutte con la compravendita di giocatori tra squadre italiane, raramente a club stranieri, assistiamo a una perdita effettiva del sistema calcio nostrano?
«Se le operazioni non sconfinano nella irregolarità, ossia rimangono in ambiti di operazioni di mercato con valenza tecnico-economica, non vi è alcuna perdita effettiva del sistema».
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