martedì, 16 Aprile 2024

WNBA e gender pay gap: atlete a stelle e strisce costrette a emigrare all’estero

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WNBA

Brittney Griner, stella del basket femminile detenuta in Russia per possesso di olio di cannabis, riappare in pubblico. Dopo mesi di detenzione pre-processuale e appelli da ogni ambiente cestistico, l’atleta americana affronta un processo che potrebbe costarle 10 anni di carcere. Per chi si fosse perso le puntate precedenti, la notizia di una campionessa di pallacanestro arrestata nel Paese più contrapposto agli USA fa scalpore. Per chi, invece, conosce le difficoltà finanziarie in cui la Women’s National Basketball Association e le sue giocatrici versano, il caso Griner è fin troppo comune. La vita delle leggende del basket femminile è una vita senza requie: per guadagnare cifre consistenti bisogna giocare tutto l’anno e alternarsi tra America ed Europa in cerca di uno stipendio accettabile.
Come si è arrivati a una situazione così problematica nella lega che dovrebbe racchiudere il meglio del mondo cestistico femminile?

WNBA: le dimensioni del gender pay gap

Per comprendere il fenomeno non possiamo che partire dai numeri. In media, una giocatrice della lega professionistica di pallacanestro femminile USA guadagna 120,600 dollari all’anno. Brittney Griner, otto volte All-Star e vincitrice di numerosi altri premi individuali, dovrebbe essere ben sopra la media, a logica. E infatti è così: detiene uno dei 10 migliori stipendi nella lega, 227,900 dollari a stagione.

Il paragone con la NBA, che contribuisce a sovvenzionarne le operazioni, mette la WNBA in una prospettiva inquietante: in media, un giocatore della lega maschile raccoglie 5,4 milioni a stagione. Se consideriamo il wage gap americano, notiamo che a una donna spetta circa l’82,3% del salario annuale di un uomo. Una media che la WNBA contribuisce a peggiorare: gli atleti NBA guadagnano 44 volte tanto i loro corrispettivi in rosa. Non è tutto. Se esaminiamo i rookie, lo stipendio atteso dalla prima scelta al Draft femminile di quest’anno, Rhyne Howard, è di 75,556 dollari annui. Quasi 150 volte in meno delle già discusse controparti maschili.
Non è infrequente che i tifosi provino ad addebitare questo distacco alla netta distanza di mercato tra basket maschile e femminile. Qui, però, il contesto si complica, perché la differenza in Europa diventa molto meno netta.

Il ruolo dell’Europa e dei suoi stipendi

Quasi tutte le stelle americane hanno giocato in Europa e in Russia. Solo a Ekaterinburg, la città in cui Brittney Griner ha speso quasi 8 anni di pallacanestro, hanno giocato campionesse come Diana Taurasi e Candace Parker. Il motivo è presto detto: la Russia paga meglio. 1,5 milioni all’anno stimati per Diana Taurasi (ritenuta da molti una delle migliori cestiste di sempre) sono la cifra più alta presumibilmente percepita in Russia. Considerando che il massimo per un uomo nello stesso paese è stimato essere 4 milioni, il gap è nettamente meno evidente – anche se ugualmente problematico. Non è una sorpresa che, a questi ritmi, le giocatrici considerino la WNBA un retropensiero: la stagione è più corta, prettamente estiva e meno remunerativa.
Verrebbe da chiedersi come il giro d’affari della lega americana sia tanto risicato. Per un ragionamento del genere, però, sarebbe utile avere dei numeri, che il campionato femminile non rende pubblici. Tocca fare delle stime: economisti parlano di 70 milioni all’anno. Pochissimo. Il commissioner NBA Adam Silver, interrogato sulla questione, si è limitato a notare che la WNBA confeziona una perdita stagionale di 10 milioni di dollari.

Quali soluzioni hanno a disposizione le giocatrici?

Le soluzioni sono due. Da un lato, le giocatrici americane hanno chiesto in numerose occasioni di dividere i proventi in maniera equiparabile all’NBA (dove circa il 50% del ricavo complessivo spetta di diritto ai giocatori tramite il salary cap). Anche nella WNBA, infatti, è presente un sindacato delle giocatrici, e a esso l’associazione ha promesso la metà del proprio guadagno purché determinati target finanziari vengano raggiunti. Quali target? Anche questa informazione, come tante, non è mai stata resa pubblica. Nemmeno alle giocatrici, a loro dire, che si limitano a rilevare che qualunque fosse l’obiettivo preposto, dev’essere stato mancato: il promesso 50% dei soldi guadagnati dalla lega non è mai finito nelle tasche di chi in WNBA ci gioca.
Tocca quindi l’altra soluzione: andarsene. Diana Taurasi è stata tra le prime a saltare una stagione statunitense senza fare mistero delle ragioni: “Si tratta del mio lavoro. Perché non dovrei guadagnare più che posso?”.
Liz Cambage, australiana, ne ha saltate ben 5. La nostra Cecilia Zandalasini, vincitrice di un titolo con Minnesota, ha preferito giocare in Turchia e poi a Bologna.
La Griner, però, ha continuato a fare la spola. Russia-USA, USA-Russia. E la sua attuale condizione di detenuta mette tutto il movimento di fronte alle proprie responsabilità. Il gender pay gap è un tema centrale in tutto il mondo, ma il basket americano ha portato questa manchevolezza a un estremo. Estremo che, in questi mesi, ha rivelato solo alcuni dei potenziali pericoli che ha sempre nascosto.

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