venerdì, 29 Marzo 2024

Risparmiare sull’energia ed essere “green”? Si può già fare

Sommario

Produrre e consumare energia a chilometro zero può sembrare un’idea del futuro, ma è già realtà. A renderlo possibile sono le Comunità energetiche, organizzazioni locali sempre più diffuse in Europa. «Sono uno strumento con una finalità anzitutto sociale. L’idea è quella di creare una comunità che condivida la produzione e il consumo di energia. L’impatto è particolarmente rilevante se utilizza energia rinnovabile», dice Lorenzo Cuocolo, avvocato e Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l’Università degli Studi di Genova.

Il funzionamento è semplice. «Innanzitutto, ci vuole un soggetto che abbia un sito su cui installare impianti rinnovabili, tipicamente fotovoltaici. Se consuma meno dell’energia che ricava, può costituire una comunità energetica per reimmettere in rete l’ammontare di energia non consumata. Su tutto quello che viene prodotto e consumato nella stessa fascia oraria in cui viene prodotto dalla comunità energetica c’è un incentivo di 110 euro al KiloWattora per venti anni: in pratica, un risparmio in bolletta del 20-30%». Una prospettiva particolarmente allettante, ora che la guerra manda alle stelle il costo dell’energia. In più, «il PNRR destina circa 1,2 miliardi di euro alle comunità energetiche in comuni sotto i 5.000 abitanti, che in Italia sono circa l’80%». In pratica, un margine di espansione enorme.

Lorenzo Cuocolo, avvocato e Professore ordinario di diritto pubblico
Qual è il framework normativo per le comunità energetiche in Italia?

«Esiste già una disciplina legislativa italiana derivante da una direttiva europea, la Red II del 2018, che è già stata recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legge 199 del 2021. Tuttavia, deve essere ancora completamente attuata, perché siamo in attesa di due decreti che dovranno essere adottati da Arera (l’autorità di regolazione dell’energia) nei prossimi mesi. Abbiamo attualmente un regime transitorio sperimentale, che però prevede già la possibilità di costituire comunità energetiche».

Quali vantaggi potrebbero derivare dai prossimi sviluppi legislativi?

«Al momento le comunità sono circa una trentina in Italia, ma vanno ancora a marce ridotte. Entro qualche mese dovrebbero partire le comunità energetiche di seconda generazione, che presenteranno alcune novità molto interessanti. La prima è la potenza di ciascuno degli impianti che fanno parte della comunità energetica. Al momento la massima consentita è a 200 KiloWatt, mentre con il nuovo sistema arriverà a un megaWatt, aprendo nuove possibilità in termini dimensionali. C’è da precisare che la soglia non riguarda la potenza dell’intera comunità energetica, ma quella di ogni singolo impianto che ne fa parte: non c’è un limite legislativo al totale degli impianti. In più, se fino a ora tutti i soggetti che fanno parte delle comunità energetiche devono essere allacciati alla stessa cabina di bassa tensione, cosiddetta secondaria, con la nuova normativa i soggetti che fanno parte della comunità potranno essere allacciati alla stessa cabina primaria di media tensione. Per dare qualche numero, l’intera città di Milano ha una decina di cabine primarie. Ciascuna di esse copre una media di circa 40/ 50.000 persone. Anche per questo, per ora si parla di comunità energetiche che coprono poche centinaia di persone, mentre in futuro potrebbero coprirne alcune migliaia».

Quali sono i vantaggi principali di questa modalità per l’utente e il fornitore?

«I vantaggi sono principalmente economici e ambientali. Quello economico deriva dal risparmio in bolletta, quello ambientale dal fatto di produrre energia da fonti rinnovabili e non fossili. In più, la necessità di infrastrutture è praticamente nulla, in quanto l’energia viene immessa nella rete esistente.  Poi c’è un terzo vantaggio, che è quello sociale, che dipende da come la comunità energetica è costituita e distribuisce i suoi benefici. A livello giuridico è di solito un’associazione o una fondazione a partecipazione, quindi è un soggetto giuridico che ha una sua configurazione precisa e uno statuto che regola i rapporti tra i membri. Gli incentivi vanno alla comunità come soggetto giuridico, che poi li deve distribuire tra i vari membri. Nella distribuzione dello sconto, si può introdurre una componente sociale, che però resta alla disciplina della singola comunità energetica».

L’infrastruttura è già pronta ad accoglierle o servono migliorie prima?

«Non dovrebbero servire molte innovazioni. Quello che va specificato è che la condivisione di energia prodotta è solamente virtuale, proprio per evitare la costruzione di nuove infrastrutture. Altrimenti fornire energia a tutti i membri della comunità significherebbe costituire una rete dedicata che colleghi gli utenti alla fonte. Tutta l’energia in surplus è messa in rete, ma si calcola con dei software quanto è stato consumato dai membri della comunità in quella fascia oraria e su quel quantum viene concesso l’incentivo. Questo semplifica le cose notevolmente».

Esistono anche costi di installazione per l’utente?

«No, anche se è opportuno distinguere tra produttore, consumatore e prosumer, cioè colui che produce e consuma al tempo stesso. Per il semplice consumatore, il costo di installazione è di fatto nullo».

Non permane il classico problema della produzione “a stantuffo” tipica delle fonti rinnovabili?

«Certo. Infatti, l’altro aspetto sociale importante è che tutti i membri della comunità devono impegnarsi a consumare il più possibile nel momento in cui l’energia viene prodotta. Quindi, se io sono un consumatore che prende la sua energia da un impianto fotovoltaico, dovrò tendenzialmente concentrare i miei consumi di giorno, tenendo anche conto della presenza di un incentivo consistente».

È possibile ampliare queste iniziative su larga scala?

«Sì. E più che dagli impianti sarà reso possibile dalla normativa, in quanto i vincoli sono al momento soprattutto di questa natura, più che tecnici. Dopodiché, le previsioni dicono che in Europa entro il 2050, il 53% della popolazione consumerà quasi esclusivamente energia prodotta sul posto. Insomma, i margini di sviluppo sono enormi».

Da dove verranno gli investimenti per permettere una simile espansione?

«A livello teorico ci sono tre strade. La prima vede i cittadini che si mettono insieme dal basso per attivare un impianto. È una cosa abbastanza realistica per piccole realtà, ma su larga scala è inverosimile. La seconda è che prenda l’iniziativa un soggetto privato, come Enel, Iren o altre società simili, attraverso forme di partnership pubblico-privata. Queste si accollano, magari con finanziamento bancario, il costo della realizzazione dell’opera, e poi nello statuto della comunità energetica regolamentano la distribuzione degli incentivi in modo tale da rientrare nei costi e ottenere un profitto. L’altro scenario invece è quello dell’intervento pubblico. I comuni dovrebbero prendere l’iniziativa finanziando, come missione pubblica per contrastare il caro bollette, la costituzione di comunità energetiche con fondi pubblici».                                         ©

Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".