giovedì, 28 Marzo 2024

Gli orologi sono ancora beni da investimento?

Sommario
orologi

Corre più veloce del tempo il mercato degli orologi. La dimensione globale ha raggiunto i 71,1 miliardi di dollari nel 2022. Guardando al futuro, si prevede che raggiungerà i 98,6 miliardi di dollari entro il 2028, con un tasso di crescita (CAGR) del 5% nel periodo 2023-2028 (dati  IMARC Group). Per quanto riguarda il segmento luxury, invece, dopo i 27,19 miliardi di dollari generati nel 2021 e i 28,43 miliardi stimati nel 2022, si pensa si possano sfiorare i 33,07 miliardi di dollari nel 2026, con un CAGR del 3,9%. Solamente in Italia, il business degli orologi da polso vale 2 miliardi di euro (nel 2022), cifra che sfiora i livelli pre-covid e segna un +9% sul valore del 2021.

Il mondo dell’orologeria è un settore economicamente forte. Anche grazie alla sua ampia offerta per tutti i tipo di consumatori (variabile a seconda di preferenze e di budget). Il 2022 è stato un anno di cambiamenti e trasformazioni. Nonostante il calo del 5,6% nella quantità di orologi acquistati, è però aumentato il valore degli acquisti, con un incremento del 3,9%. Inoltre, dopo la crisi pandemica, che ormai non causa più troppe problematiche al retail, si è registrato un conseguente rallentamento del canale online con un aumento delle vendite “fisiche” del 74,3% in valore e del 63,6% in quantità. Parallelamente, il segmento delle gioiellerie ha ripreso il suo ruolo di principale veicolo di commercializzazione degli orologi, con un incremento del 62,7% in valore e del 47,2% in quantità.

Per l’anno in corso, la propensione all’acquisto di orologi è prevista in aumento. Il design (32%), la marca (29%) e il prezzo (24%) rimangono i driver di acquisto più importanti. Passando al fronte tecnologico, invece, in particolare il segmento degli smartwatch ha evidenziato una crescita sia a livello di conoscenza di categoria di prodotto sia a livello di possesso da parte dei consumatori. Tuttavia, c’è ancora confusione tra i consumatori riguardo alle diverse tipologie di “prodotto da polso” con funzioni “smart”. Nel 2022 sono stati acquistati circa 2,3 milioni di smartwatch, con il canale online che rappresenta il 37,8% degli acquisti, seguito dal canale fisico dell’elettronica (26%). Solo il 3,3% degli smartwatch sono stati invece acquistati in orologerie tradizionali.

Come si posiziona il mercato nostrano rispetto a quello estero?

«Come consumo è uno dei più ricettivi, che ha generato più volume», dice Marcello Borsetti, Presidente di Assorologi nonché Direttore Commerciale di Citizen Watch Italy. «Probabilmente perché il consumatore italiano per cultura, per Dna, si è sempre dimostrato interessato all’accessorio. All’italiano piace vestire bene, piace la cravatta, piace la giacca, ed è sempre piaciuto l’orologio. Il nostro è un mercato dove da sempre si è costruita la tendenza. Conosce quindi il concetto di gusto e lo applica nelle sue scelte, per cui è sempre stato molto selettivo. Ne deriva che storicamente il nostro mercato è stato uno dei primi per volumi di orologi venduti. Ed è spesso stato il mercato di riferimento per molte aziende quando si è trattato di sviluppare le produzioni o di intercettare le tendenze.

I brand, le case orologiere hanno sempre guardato con interesse a ciò che succede in Italia. Poi negli ultimi anni ci sono stati Paesi che in termini di volumi hanno superato l’Italia. Per esempio Hong Kong, la Cina o gli Stati Uniti. Parliamo però di nazioni o molto più grandi della nostra e con bacini di potenza molto superiori. O con dinamiche e possibilità di spesa particolari o maggiori della nostra. Nonostante ciò l’Italia resta un mercato di riferimento importante per la selettività, l’attenzione e i riscontri che il consumatore fornisce alle aziende quando si parla di prodotto».

Quali possono essere le previsioni a breve, medio termine?

«Come tutti i mercati anche quello dell’orologio si inserisce nell’ambito di una situazione economica globale, ma anche locale, particolare. Per l’incerta situazione macroeconomica e per le dinamiche che oggi in qualche modo contraddistinguono il comportamento del consumatore e quello di acquisto è difficile riuscire a fare delle previsioni. Non possiamo prevedere cosa succederà al potere di spesa dell’italiano medio nei prossimi sei mesi o quale sarà il suo umore o, ancora, quali saranno gli eventi che potranno incidere su questo. Il nostro mercato risente dell’economia generale e dei comportamenti dei consumatori. Io comunque sono positivo e confido che il business si manterrà forte e riuscirà a superare qualunque momento anche non semplice.

Se invece tornerà un po’ di serenità, superando lo shock dell’inflazione e dei costi dell’energia che negli ultimi mesi hanno un po’ tenuto banco e messo in stand-by più diversi consumatori, e se ci saranno segnali di stabilità d macroeconomica sono piuttosto confidente che anche il nostro mercato risponderà benissimo. Ma questa confidenza viene da un dato certo, che è ciò che è successo al nostro mondo, al mondo dell’orologio, negli ultimi anni. Abbiamo superato sia la pandemia, sia gli ultimi 12 mesi caratterizzati da eventi imprevedibili e forti. Le tensioni internazionali dovute alla guerra in Europa orientale, tutto ciò che ne è conseguito in termini di difficoltà logistiche e di approvvigionamento di prodotti, nonché la conseguente spinta inflazionistica.

Abbiamo avuto anche un cambio di governo, che è sempre un nuovo elemento che destabilizza o mette in stand by i mercati, in particolare il nostro. Ecco, nonostante questi eventi, negli ultimi anni il mercato dell’orologio è sempre riuscito ad attraversarli a gonfie vele, mostrando di riuscire comunque a catturare l’interesse del consumatore. Per questo motivo sono sicuro che riuscirà a fare bene e mostrare delle buone performance anche in futuro, indipendentemente dalle situazioni. In ogni caso mi aspetto comunque dei buoni risultati».

Se ci sono state, che difficoltà ha incontrato il comparto negli ultimi anni?

«Il settore è tornato al livello pre-covid, ci è tornato grazie al fatto che l’orologio ha mostrato di avere contenuti di valore che sono riusciti a coinvolgere i consumatori anche nei momenti più difficili. Il nostro è anche un mercato molto articolato, per canale distributivo, per la presenza di tanti marchi ma, soprattutto, per il fatto che si caratterizza per un ampio ventaglio di gamme prezzo. Un orologio si trova a 20/50 euro così come a 200/300 mila euro. Per cui i consumatori che sono coinvolti vanno veramente dalla fascia più commerciale (che viene definita mass market), a quella di segmento più alto, che si rivolge al lusso. Di sicuro soprattutto nell’ultimo anno, anno e mezzo, chi ha sofferto un po’ di più è stato il mercato di massa.

Ovvero quella fascia in cui rientrano le persone che hanno patito di più la spinta inflazionistica. Quelle che per necessità o, anche semplicemente, per timore hanno rivisto il loro comportamento d’acquisto e budget familiare, magari tagliando spese non ritenute indispensabili come gli orologi. Tutto è dipeso soprattutto dalla variabile esogena, in questo caso la spinta inflazionistica. Questa ha impattato sui budget familiari e sicuramente ha intaccato la propensione all’acquisto, ponendo qualche dubbio sul futuro e generando comportamenti conservativi o di riparo».

Quali sono i punti di forza del settore?

«Il prodotto, ma alla fine non parliamo del prodotto in sé, ma di un un mondo: quello dell’orologio. Un mondo che possiede contenuto di valore, e per contenuto di valore intendo cultura, tradizione, innovazione, capacità costruttive, capacità di realizzare oggetti di pregio, capacità di generare nuove tecnologie, capacità di rivolgersi sia al passato ripercorrendo la tradizione ma anche al futuro anticipando le tecnologie.

Di questo settore fanno parte marchi che hanno un vissuto una storicità, dei contenuti incredibili. Ma anche aziende capaci di sviluppare gli aspetti distributivi, le relazioni con i consumatori offrendo servizi come quelli all’acquisto o servizi di garanzia. In questi anni tutti questi elementi sono stati quelli che ci hanno permesso di attraversare le tempeste perfette come quelle generate dal Covid-19 o da tutti gli eventi internazionali e nazionali e dall’inflazione. Anche adesso che la situazione tanto semplice non è, tutte queste caratteristiche continuano a muovere e a dare vivacità al comparto. E i risultati testimoniano proprio questo».

In che modo impatta la contraffazione sul business? Anche in termini economici

«La contraffazione è un grande tema. Perché è presente e impatta, e impatta purtroppo anche in modo rilevante. Questo fenomeno ha fondamentalmente due aspetti. Il primo riguarda chi realizza che immette sul mercato prodotti contraffatti. Sono persone che evadono tutte le regole e leggi. Senza dimenticare che spesso oltre la contraffazione ci sono anche i mercati di riciclo o comunque aziende alimentate da fondi di provenienza dubbia. Chi opera in modo attivo nella contraffazione evade tutte quelle che sono le leggi sulla contribuzione e sulla tassazione. Il ché significa che toglie alla società risorse, mangiandosi un pezzo di mercato e non pagando le tasse. Per cui c’è tutto questo mondo.

Ma c’è anche l’altro lato della medaglia, che riguarda chi si rivolge alla contraffazione. D’altronde se esiste la contraffazione, se esiste chi produce il prodotto contraffatto significa che esiste pure chi lo compra, il consumatore. Quest’ultimo in moltissimi casi casca in una truffa. Ed è vittima perché non si accorge di acquistare un prodotto non autentico; ma purtroppo in altri casi c’è tanta leggerezza nell’acquisto. Nel senso che il consumatore è cosciente della provenienza non originale del prodotto, però lo compra comunque perché ritiene di averne un vantaggio personale. Ma non è una cosa divertente da raccontare agli amici o di cui vantarsi, non è un gioco, in realtà così facendo sta alimentando un mercato che esce fuori fuorilegge. Sta alimentando una realtà negativa, una realtà per cui c’è anche un forte aspetto culturale.

La contraffazione non è soltanto un qualcosa da combattere ma anche una cosa di cui va diffusa la conoscenza per promuovere la giusta cultura: non comprare contraffatto perché così facendo danneggia la società e alimenti dei business illegali. In sintesi queste sono le due facce di un fenomeno assolutamente negativo per il nostro settore».

Cosa si fa oggi per contrastarla e cosa si può fare ulteriormente?

«Esattamente come i lati del sistema della contraffazione, anche i metodi per contrastarla sono fondamentalmente due. Il primo è attivare tutte le possibilità legali, attivare le forze dell’ordine per fare controlli su tutti i livelli, per intercettare la merce contraffatta per identificare i soggetti che pongono in essere l’attività illegale e intervenire con quelle che sono le regole (ritiri della merce, portare a giudizio i colpevoli ecc.). Dall’altro lato ci sono l’informazione e la cultura. Bisogna raccontare queste cose e farlo in maniera tale che la gente sia consapevole dei danni e del sistema.

Però bisogna anche raccontarle sotto la giusta luce, ovvero come fenomeni negativi, che creano un grandissimo danno all’intera società, togliendo poi qualunque giustificazione a chi dice di non far niente di male acquistando consapevolmente un prodotto contraffatto pensando che non succeda niente di male. Su questo fronte c’è probabilmente più lavoro da fare che sull’altro. Perchè sul primo le autorità sono già attive e si impegnano tanto, anche se si può sempre fare di più. Mentre sul lato culturale c’è ancora più spazio e margine d’azione. Nel momento in cui i consumatori sapranno riconoscere un prodotto contraffatto e saranno consapevoli che acquistarli e venderli sono comportamenti sbagliati e dannosi, allora il fenomeno potrà ridursi esponenzialmente».

Gli orologi sono considerati beni di investimento…

«Direi di si, per il semplice fatto che negli ultimi anni sono molte le persone che si sono rivolte all’orologio non solo per il piacere di possedere un bell’accessorio, ma anche con la consapevolezza che il suo valore venga mantenuto e che magari possa salire. Parliamo di un prodotto che ha centinaia di anni… E se oggi, in un momento in cui si può investire in tutto, dalle criptovalute all’oro, ci sono persone che investono nell’orologio, significa che è una scelta che paga».

Qual è la sua opinione sul fenomeno della rivendita: danneggia in qualche modo il mercato?

«No, non credo. Nel momento in cui il valore è riconosciuto sarà presente sia nel nuovo sia nel vecchio».

Gli smartwatch potranno mai sostituire totalmente, o quasi, i vecchi e più classici modelli?

«Io qua ho la risposta facile perché la storia in qualche modo ha già dato un’indicazione. Quando si presentò sul mercato il primo smartwatch tutti gli orologiai tradizionali e tutte le aziende che lavoravano nel settore si sono poste la stessa domanda con anche una buona preoccupazione. Il timore era appunto che questo nuovo prodotto potesse subentrare all’orologio tradizionale e in questo modo mandare in fallimento o in difficoltà tantissime realtà.

Ma oggi capiamo che quelle preoccupazioni non avevano ragione d’essere, la situazione attuale ha fugato ogni paura. L’orologio tradizionale continua infatti la sua strada. E il consumatore che compra lo smartwatch ha anche orologi tradizionali e viceversa. Di fatto si è allargato il settore e di fatto è aumentata l’offerta e il consumatore si muove in questa offerta. Una persona va a comprare lo smartwatch perché ha bisogno anche di questo ma ciò non significa che un business indebolisce l’altro. Soprattutto se entrambi hanno dei buoni contenuti». ©

Articolo tratto dal numero del 15 Aprile 2023. Abbonati!

Dopo gli studi universitari in relazioni internazionali e un master in Communication & brand management inizia subito a lavorare nella moda a Milano. Scrive a tempo pieno per diverse testate occupandosi di business, moda, lusso e design. La conoscenza finanziaria maturata nell'editoria e l’occhio per le ultime tendenze sono i suoi punti di forza.