Jerome Powell durante la conferenza stampa, dopo l’aumento dei tassi di un altro 0,25%, ha detto che il sistema bancario americano è solido e resiliente, nonostante i tre crac di marzo e il salvataggio di First National Bank di domenica sera. Ieri la realtà ha però smentito il presidente della Fed: PacWest Bancorp si mette in vendita e cede il 58% a Wall Street, la canadese Td Bank non vuole più sposarsi con l’americana First Horizon che perde il 36%. In scia Western Alliance Bancorp crolla del 58% e viaggiano in profondo rosso anche Zions Bancorporation, KeyCorp, Valley National Bancorp e Comerica. Nonostante quello che sostiene Powell, che fa capire che forse a giugno ci sarà una pausa sulla stretta monetaria, il 48% degli americani teme per i propri depositi bancari, recita un sondaggio Gallup.
Davanti a questa crisi dilagante di fiducia, le parole di Christine Lagarde, dopo aver anch’essa alzato i tassi di uno 0,25%, sembrano passare in secondo piano. Tutto più o meno scontato, compresa la promessa che non fa una pausa la Bce. New York negativa, tra dati contrastanti su costi salariali e leggero aumento delle domande di disoccupazione, e Piazza Affari segue, cedendo circa lo 0,6%. Per Apple ricavi visti in calo del 5% con utili previsti in discesa del 10%, ma Cook potrebbe offrire 90 miliardi di dollari al mercato tra dividendi e buy-back. Così domani potrebbe tornare il segno verde sul Nasdaq e non solo.
E se l’inflazione scendesse da sola?
Il Global Supply Chain Pressure Index è sceso a -1,32 ad aprile, il livello più basso dal novembre 2008, per cui le pressioni globali sulla catena di approvvigionamento – alla base dei primi rincari – hanno continuato a diminuire grazie al miglioramento dei tempi di consegna nell’area dell’euro. Non a caso da settimane l’inflazione sta calando. E se i prezzi dunque scendessero da soli senza ulteriori nuove strette? La storia insegna che nelle altre otto occasioni in cui l’inflazione ha superato il 5% dal 1960 ad oggi, ci sono voluti in media tre anni perché tornasse a scendere sotto il 3%.
La nostra Luis Vuitton
La Francia in Borsa mette in mostra il cuore del made in France, da Louis Vuitton ad Hermes fino a Kering. A Piazza Affari la nostra Louis Vuitton è Ferrari, che dopo una trimestrale da record grazie all’aumento dei prezzi, tocca i massimi storici – miglior titolo a Milano – salendo di circa il 5% a 265 euro. Superati tutti i limiti di velocità. L’intuizione di Sergio Marchionne, che nel 2015 decise di quotare in Borsa il Cavallino con la sigla Race, si è rivelata una delle più azzeccate della storia della finanza. Il prezzo di collocamento fu intorno ai 60 euro. Otto anni dopo la performance è positiva per ben oltre il 300%.
In retromarcia
Il resto della galassia Elkann non brilla, da Stellantis fino a Iveco e Cnh, che soffrono per i timori di recessione soprattutto in America. In fondo al listino Leonardo, che presenta una trimestrale con buoni ordini però il risultato operativo è sotto le attese, per cui quasi -6%. Ovviamente giù ancora le banche, dopo il rimbalzone di ieri. BancoBpm risente anche dello stop a operazioni di M&A, almeno per ora, da parte di UniCredit.
Occhio allo Spread
Lo spread Btp-Bund sale del 2,6% sopra i 190 punti base, perchè la Bce ha effettuato appunto il suo settimo rialzo consecutivo di tassi e poichè ha rivelato l’intenzione di interrompere da luglio il reinvestimento della liquidità dalle obbligazioni in scadenza acquistate. Questo significa che il supporto ai titoli di stato italiano sparirà, con inevitabili rischi di un aumento di costi da interessi sul debito per lo Stato. In un discorso del 16 febbraio, il Chief Economist della Bce, Philip Lane, aveva spiegato che una riduzione del bilancio pari a 1 trilione di euro nell’arco di tre anni potrebbe ridurre l’inflazione di 0,3 punti percentuali. Si tratta quindi – secondo Hsbc Global Research – di un’entità più o meno pari all’impatto inflazionistico che avrebbe un aumento dei tassi di 100 punti base. ©