venerdì, 29 Marzo 2024

Le elezioni in Turchia di oggi rappresentano il test più importante per il Presidente Recep Tayyip Erdogan. Inflazione e crescita economica sono alcuni dei principali temi su cui si confrontano il leader del partito AKP e il suo principale sfidante, il socialdemocratico Kemal Kiliçdaroglu.

Sulla carta, la Turchia ha registrato una crescita del 5,6 percento nel 2022 e ha beneficiato di un ruolo da attore internazionale, ma questo non si traduce in una facile vittoria per il Presidente uscente. Ad erodere le possibilità di successo c’è un tasso di inflazione al 55 percento. La corsa dei prezzi al consumo ha accelerato con la fine della pandemia a discapito della disparità sociale.

A favore di Erdogan gioca la decisione di raddoppiare il salario minimo. La mossa è a tutto beneficio della sua base elettorale di conservatori, nazionalisti rurali e classe operaia, che vedono nello Stato un arbitro economico.

Sull’attuale presidente incombono ancora gli effetti nefasti del terremoto dello scorso 6 febbraio. Quasi 2,7 milioni di sfollati sono ancora in attesa di una sistemazione. A pesare maggiormente sono state la gestione fallimentare dei soccorsi e le polemiche sugli insufficienti controlli al settore edile.

Kemal Kiliçdaroglu, capo del Partito CHP, potrebbe avere qualche chance di vittoria. I sondaggi indicano un testa a testa tra i due candidati. Nel caso in cui nessuno dei due candidati raggiunga il 50 percento dei voti al primo turno, è previsto un ballottaggio due settimane dopo.

Due programmi a confronto

I due candidati si presentano con programmi in antitesi tra loro. Erdogan promette di mantenere i tassi di interesse ai livelli correnti, per favorire la crescita economica. Il controllo sulla Banca Centrale turca permette al Presidente di inserire questo impegno nell’agenda elettorale.

Il programma di Kiliçdaroglu punta al ripristino del ruolo del Parlamento, depotenziato nel 2017. In campo economico, il piano prevede un ritorno alle politiche monetarie ortodosse e all’indipendenza della Banca Centrale. Il che potrebbe portare a un possibile rialzo dei tassi.

Ascesa e declino dell’economia di Erdogan

La traiettoria politica di Erdogan sembra sovrapporsi quella dei flussi di capitali internazionali, che hanno raggiunto e poi lasciato la Turchia.

L’arrivo al potere nel 2002 ha coinciso con la fine del programma di austerità suggerito dal Fondo Monetario Internazionale. Questo ha permesso al leader del partito AKP di beneficiare di un periodo di ripresa economica e di disoccupazione in calo. Dopo la crisi del 2008, i capitali internazionali hanno alimentato il boom edile turco.

Questo periodo di crescita ha portato al risveglio dell’inflazione, superiore al 5 percento dal 2011. Dal 2013, la fuga dei capitali esteri ha fiaccato la crescita economica. Le proteste di Gezi Park dello stesso anno e il tentativo di colpo di stato del 2016 hanno impresso una spinta autoritaria al Governo.

Le misure sull’assistenza sanitaria e sulle infrastrutture hanno garantito il consenso ad Erdogan. L’aumento della qualità di vita è stato mantenuto al costo dell’indipendenza delle politiche monetarie della Banca Centrale. Il taglio dei tassi a fronte dell’aumento dell’inflazione ha portato a due crisi della lira turca nel 2018 e nel 2021. A gennaio 2013 il cambio lira turca dollaro era a 1,8. Dieci anni dopo, il valore sfiora le 19 lire turche per dollaro. ©