sabato, 4 Maggio 2024

Il paradosso delle piccole e medie imprese italiane

Sommario
piccole e medie imprese

Un paradosso che rallenta l’economia. Le piccole e medie imprese italiane macinano fatturato: a oggi rappresentano il 4,78% del tessuto imprenditoriale del Paese e il 38% del valore aggiunto (Fonte: Osservatori Digital Innovation). Eppure, lamentano ancora intoppi normativi e difficoltà burocratiche lungo la strada, specie quando si tratta di quotarsi. «Per le PMI manca una normativa organica e chiara», dice Andrea Filippo Mainini, avvocato junior partner di Mainini & Associati. Nel senso di una semplificazione va, in parte, il disegno di legge Competitività dei Capitali, al momento a metà del suo iter parlamentare, nell’attesa dell’approvazione definitiva da parte del Senato. «Il giudizio del mercato è sicuramente positivo, perché il testo contiene modifiche che semplificano l’accesso al capitale e anche il rimanere sul mercato stesso».

La norma contiene una serie di importanti misure a sostegno del mercato dei capitali: un aspetto cruciale, nel momento in cui le PMI rappresentano i soggetti più colpiti dal tightening delle condizioni creditizie. Di fronte alla scarsità e alle difficoltà di accesso al credito bancario, l’imprenditore deve guardare ad altre forme di finanziamento in capitale di rischio. Un’opzione spesso lasciata da parte per una questione di mentalità, ma che mette a rischio la resilienza e l’attrattività del comparto per gli investitori. «Il disegno di legge trae spunti da alcuni studi fatti dal Governo proprio in merito alla competitività del settore», prosegue Mainini. «La fotografia della realtà che ne emerge mostra che ultimamente, purtroppo, ci sono stati molti delisting. E, anche se alcuni erano legati ad acquisizioni, quindi poi finalizzati a permettere all’investitore privato di controllare la società, molte altre fuoriuscite sono avvenute per mancanza di volontà di rimanere quotate».

Quali sono gli aspetti più positivi contenuti nel testo normativo?

«Ritengo che l’intervento più utile sia stato quello sull’educazione finanziaria. È un elemento essenziale, da cui la scuola e qualsiasi altro tipo di formazione in Italia non possono prescindere. Questo perché si possono legiferare tutte le norme per facilitare l’accesso al mercato, ma se per primo l’imprenditore non crede in questi strumenti, le regole restano lettera morta. L’aver previsto, all’interno della Commissione del Senato, di affiancare all’educazione civica anche quella finanziaria nella programmazione e il coordinamento delle attività di formazione, permette, secondo me, sia alle nuove generazioni, sia a studenti un po’ più avanzati, di apprezzare a fondo le potenzialità di una forma di finanziamento alternativa come quella della quotazione. Un’informazione particolarmente utile nel contesto attuale, in cui i tassi d’interesse bancari sono altissimi. Va ricordato che, di fatto, l’accesso alla quotazione è per le società un modo alternativo al sistema bancario per ottenere capitale».

Andrea Filippo Mainini, Mainini & Associati

Tra 2022 e 2023, Borsa Italiana ha visto parecchi delisting: sono stati già 8 nell’anno in corso e 23 nel precedente. In che modo il ddl si attrezza per far restare le imprese sui listini e portarne di nuove?

«Sulla scorta della legge finanziaria, che da anni prevede un credito d’imposta del 50% sui costi sostenuti dalle aziende nella quotazione, il ddl semplifica le procedure di ammissione alla negoziazione e consente alcuni istituti giuridici, non previsti dal codice civile. In parte, dunque, modifica la lettera dello stesso codice. Ad esempio, la possibilità di sottoscrivere titoli di debito non dovendo sottostare alle limitazioni che imporrebbero di non emettere obbligazioni per un controvalore superiore al doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato. Un limite previsto dal Codice, che nel ddl va a mancare. Oppure, per quanto riguarda il limite dell’offerta fuori sede, laddove si apre anche a operazioni di sottoscrizione per importi superiori ai 250mila euro. Grazie a queste misure, anche la PMI ha una facilitazione ulteriore nel recuperare i capitali.

Quanto al rimanere sul mercato, soprattutto per le PMI è prevista la possibilità di passare a una gestione accentrata del regime di dematerializzazione. Si tratta di un regime standardizzato di circolazione delle quote/azioni già ben conosciuto dalle società più capitalizzate. Le PMI conoscono una forma similare di circolazione, che è quella prevista dalla normativa sul crowdfunding. In questo caso, le quote sono gestite da un intermediario centralizzato che le gestisce tutte. Pertanto, il passaggio di quote da un socio all’altro può essere effettuato con annotazione. La quota è dematerializzata ed esiste solamente in forma scritturale, non cartacea. Questa possibilità, che viene garantita anche per le PMI  quotate, va certamente verso una maggiore e più facile circolazione del flottante».

Si prevede anche l’estensione della classificazione delle PMI da 500 milioni di capitalizzazione massima a 1 miliardo. Ma quali sono le implicazioni concrete di questo ritocco?

«È un dubbio che hanno anche gli operatori al momento. Bisognerà vedere più di preciso a legge promulgata. Questo perché il riferimento alla PMI è sempre piuttosto controverso. Tecnicamente, una definizione di PMI viene data a livello europeo. Ma bisogna verificare in tutta la normativa italiana, dove si fa riferimento alle PMI, quando le si cita secondo la definizione di questo ddl ovvero secondo la normativa comunitaria. Tuttavia, bisognerebbe prendere legge per legge e verificare specificatamente quali sono i vantaggi. In generale, però, se si legge la relazione alla norma, non è previsto un minor gettito fiscale. Di conseguenza essa non avrà un impatto a livello di tassazione, sugli obblighi fiscali della società. Sicuramente si può immaginare che garantirà benefici su altri fronti. Ad esempio, semplificazioni per l’accesso al mercato, anche in termini di istituti giuridici. Ma, appunto, si dovrà verificare caso per caso».

Nella norma si consente di accedere allo strumento Patrimonio Rilancio (nato nell’emergenza pandemica per tutelare le imprese in sofferenza) anche alle imprese che si sono formate attraverso fusioni e acquisizioni…

«È uno strumento, a mio parere, utile. Poi, bisogna vedere come viene applicato. Nasce nel 2020, in un contesto economico di crisi esogena, per cui molte società si sono ritrovate in crisi non per colpa loro, ma per una questione di congiuntura, economica e non solo, decisamente complicata. È gestito da Cassa Depositi e Prestiti (CDP), quindi indirettamente sottoposta al controllo dello Stato. Se vogliamo pensare di sostenere aziende che si trovano in situazioni simili è uno strumento necessario. Non si vengono a creare degli “zombie” privi di economicità proprio per il motivo cui accennavo prima: la maggior parte di queste aziende non sono in crisi perché non riescono a stare sul mercato, ma lo sono per l’innalzamento dei tassi d’interesse, dei costi delle materie prime e dell’energia elettrica.

D’altronde, ritengo che, ogni qual volta lo Stato intervenga per garantire sostenibilità finanziaria alle imprese, si tratta sicuramente di un intervento positivo. Poi, purtroppo, gli abusi sono sempre dietro l’angolo. Ma non valuterei uno strumento per l’eccezione, quanto per la volontà principale del Governo».

L’inclusione dei fondi pensione nella lista degli “investitori professionali” è un nuovo tentativo di collegare persone fisiche ed economia reale, come era stato per i Piani Individuali di Risparmio?

«Lo sappiamo tutti, le famiglie italiane sono tra le più patrimonializzate in Europa, se non al mondo, ma hanno patrimoni principalmente immobilizzati. È già stato fatto un tentativo con i PIR, e dopo alcuni anni che sono sul mercato possiamo valutare se sia stato efficace o meno. Tuttavia, questa nuova modifica prevista dal ddl è utile proprio a far sì che si smuovano ulteriori risorse che in altri Paesi, basti pensare agli Stati Uniti, garantiscono un importante volano alle imprese.

D’altro canto, sono all’ordine del giorno i casi di fondi pensione stranieri che comprano non solo società quotate, ma anche PMI italiane. Perché in realtà, se gestita in un certo modo, la società italiana porta una remuneratività e un ritorno sull’investimento decisamente alti. Insomma, una misura simile va senz’altro a vantaggio dell’economia. Specie per quella reale, perché è lì che i soldi delle famiglie si inseriscono naturalmente, là dove possono portare benessere a loro stesse».

La trasparenza è un aspetto fondamentale nelle politiche aziendali degli ultimi anni, che hanno visto le aziende aprirsi progressivamente a dipendenti e piccoli investitori. Ma la conferma delle assemblee degli azionisti a porte chiuse non rappresenta una minaccia a questa maggiore apertura?

«A mio giudizio è una questione di percezione. Leggendo la relazione al ddl, per quanto riguarda l’articolo sul rappresentante comune, si riesce a comprendere come sia una conseguenza immediata e diretta di come sono state portate avanti le assemblee ai tempi del Covid-19. Si è scoperto che non era per forza necessario essere presenti fisicamente in assemblea, ma, grazie a tutta una serie di documenti informativi, il singolo azionista è edotto di quello di cui si discuterà ed è in grado di dare le indicazioni di voto a un rappresentante comune.

Per questo parlo di percezione, perché i documenti informativi ci sono. Le società quotate hanno l’obbligo di renderli pubblici sul sito internet e di comunicarli in Consob. Dopodiché, va fatta una valutazione a latere: la volontà del mercato di avere società sempre più trasparenti, in compliance con un certo tipo di regolamentazioni e in ottica anche di uno sviluppo sostenibile delle stesse. Anche facendo riferimento alla tematica ESG, tutti focalizzano la loro attenzione alla E di Environment e alla S di Sustainability, ma molti si scordano della terza lettera, la G di Governance. Penso che anche in tale ottica ci sia una volontà quasi imperante delle società di rappresentarsi sul mercato come trasparenti e rispettose di certi principi. Per cui penso che anche questa figura del rappresentante comune sia una figura utile piuttosto al singolo azionista che alla società stessa».

Essendo un provvedimento del periodo pandemico, molta parte del mercato non ne vede più l’utilità. Il Governo dovrà fare i conti anche con questa percezione?

«Da avvocato devo dirlo: certe volte le leggi sono scritte per rendere possibile e applicabile una certa fattispecie. Poi, bisogna vedere chi, nella realtà dei fatti, la applicherà o meno. Questo ddl apre a una possibilità, che a mio parere va a tutela dell’investitore. Ma visto che il mercato presenta delle dinamiche diverse, si vedrà chi effettivamente sceglierà di avvalersene».

Un recente studio evidenzia che addirittura il 59% delle imprese quotate sul segmento EGM sono sottovalutate in termini di capitalizzazione (FONTE: AcomeA). Cosa fare per sbloccare il potenziale residuo?

«Questa è una perfetta rappresentazione della media delle PMI e delle società italiane, anche non quotate. Ed è quanto ci distingue rispetto all’estero, a partire dalla costituzione delle società. Spesso, chi intende aprire una Srl in Italia, lo fa con il minor capitale sociale disponibile. Questo perché l’imprenditore non vede la necessità di capitalizzare in modo importante l’impresa fin dall’inizio. È un approccio relativamente sbagliato, perché se si ha maggiori disponibilità economiche, la società ci guadagna in termini di rating, possibilità di ottenere finanziamenti e di accedere al mercato.

Uno scenario del tutto simile a quello che si osserva tra le PMI quotate in Borsa, che fanno solamente il minimo indispensabile per potersi quotare. Quello che non capiscono è che è necessario, una volta in Borsa, mantenere una struttura idonea a rimanerci. Anche in questo senso, un’educazione finanziaria portata avanti sia per le nuove realtà sia per quelle già affermate è uno strumento utile per combattere questo modo di pensare dell’imprenditore. Molti hanno ancora molta paura ad avvicinarsi al mercato dei capitali e ad avere risorse finanziarie impiegate in società invece che sul conto corrente o in immobili fisici».

Lei parla di una disciplina molto variegata, a macchia di leopardo, per quel che riguarda le PMI. Eppure, sulla carta, esiste un codice delle PMI. È giunto il momento di una revisione finalizzata a integrare la norma?

«Sicuramente ce n’è bisogno, perché le società presenti sul territorio italiano sono perlopiù piccole e medie imprese. Il codice attuale si era già affiancato al codice delle startup del 2020, ma sono codici non di promulgazione legislativa bensì testi organici editi da privati.La PMI, infatti, si colloca in un contesto ibrido tra società classiche e ad azionariato diffuso. L’ambiguità si è creata soprattutto laddove una PMI fosse innovativa: ci sono degli strumenti, da sempre previsti per le società per azioni, che sono stati modificati e fatti su misura per queste imprese.

Molte società che nascono e crescono sono sottocapitalizzate, e lo rimangono spesso anche per tre o quattro anni. Possono emettere strumenti finanziari convertibili, minibond ecc. In questo momento, le PMI sono quasi un terzo genere tra Srl tradizionali e società per azioni. È una classificazione molto trasversale che andrebbe in parte rivista. C’è la tendenza a rendere l’Srl sempre più vicina alla Spa Infatti, la ratio e le motivazioni del legislatore al momento della scrittura del codiceerano completamente diverse da quelle attuali. Quando è stato scritto non c’era tutta questa frizzantezza nel contesto startup. È un po’ una forma ibrida, perciò a giudizio di molti operatori sarebbe necessaria una codificazione migliore delle società sul mercato italiano. Verrà fatta una cosa simile? Non lo so, ma non lo vedo come un intervento legislativo prossimo nel tempo».                                                ©

📸 credits: Canva

Articolo tratto dal numero del 15 giugno 2023. Abbonati!

Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".