martedì, 30 Aprile 2024

Russia alla resa dei conti: perfino gli alleati sono una minaccia

DiMarco Battistone

1 Settembre 2023
Sommario
Russia

Guerra chiama guerra. La sfida per il Cremlino oggi è su due fronti: battere l’Occidente in campo ucraino e tenere testa a Cina e India sul predominio asiatico.

Il crollo del rublo, lo stop alle esportazioni verso le rotte più ricche e la sete di potere dei Paesi vicini fanno tremare Vladimir Putin. Che gioca le sue carte e mostra i muscoli. Lo scorso luglio, non rinnovando l’accordo annuale per il transito di grano ucraino attraverso il Mar Nero, ha tagliato i rifornimenti a molti Paesi in via di sviluppo. Ma ha promesso forniture gratuite all’Africa, territorio di equilibri colonizzatori con forti implicazioni economiche e politiche nel contesto internazionale. Lì la Cina di Xi Jinping investe da anni in infrastrutture strategiche. E proprio quest’ultimo, nel recente incontro dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) a Johannesburg, ha assunto un ruolo da protagonista. Mentre il leader sorrideva e stringeva mani preparando l’entrata nel gruppo di Argentina, Egitto, Etiopia ed Emirati Arabi Uniti per gennaio 2024, Putin è rimasto a guardare, collegato in modalità virtuale.

Ormai lo scacchiere geo-economico è cambiato, e a più di un anno e mezzo dall’inizio della guerra contro l’Ucraina e dalle prime sanzioni, la domanda sull’utilità dei provvedimenti sfiora le labbra di molti: una risposta che soddisfi non c’è.

«I rapporti tra la Russia e l’Unione Europea sono sostanzialmente congelati. Per le sanzioni, ma anche per tutto il resto che sta succedendo», dice Andrea Margelletti, Presidente CeSI (Centro Studi Internazionali).

A svelare i risultati, però, ci sono i numeri: la quota di importazioni extra-UE provenienti dalla Russia è calata dal 9,5% all’1,9% del totale tra marzo 2022 e 2023 (FONTE: Eurostat). Prima dell’inizio del conflitto, i principali beni russi importati in Europa erano carbone, nichel, gas naturale e petrolio greggio. Se gli scambi del primo sono stati letteralmente azzerati, anche le altre voci sono state nettamente ridotte. Tuttavia, una parte di beni russi continua a fluire in Europa. Ad aprile, il ministro tedesco dell’Economia e del Clima Robert Habeck, leader dei Verdi, sosteneva la necessità di inserire nel nuovo pacchetto di sanzioni anche l’uranio russo. Ma da allora, nonostante le richieste, di uranio non sembra si sia più parlato, nemmeno nelle ultime sanzioni di giugno.

Quali sono i beni principali che l’Europa continua a importare?

«Credo che resti solo un poco di petrolio da alcuni Paesi e prodotti chimici, ma sostanzialmente è tutto chiuso dall’inizio del conflitto. Per il resto, non rimane quasi nulla».

Andrea Margelletti, presidente CeSI

Ci sono prodotti che, per rarità o specificità delle supply chain, vedono la Russia come una specie di fornitore insostituibile?

«Assolutamente no».

Se guardiamo ai dati, le esportazioni russe sono nettamente calate tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di quest’anno. Quali sono i candidati più realistici per sostituire i prodotti che venivano da Mosca?

«Dipende. Per esempio, sui prodotti energetici, il nostro Paese ha ampliato in maniera molto estesa il quadro dei suoi fornitori: all’Africa subsahariana, all’Azerbaigian e ad altre aree. Insomma, ciascuna nazione ha ampliato e diversificato come meglio riteneva. Ovviamente, queste sono scelte singole che spetta ai singoli governi di prendere».

Qual è il bilancio delle sanzioni?

I dati parlano chiaro: il crollo delle importazioni europee e occidentali dalla Russia ha dato un duro colpo al regime del Cremlino. Nel 2022, il PIL russo è sceso del 2,1%, mentre nel 2023 il calo è stato del 2,5%, portando il Paese ben al di sotto dei livelli del 2019, prima della contrazione dovuta alla pandemia. Inoltre, in un anno di guerra, a febbraio del 2023, gli introiti legati all’esportazione di greggio erano calati del 43%, da 19,9 miliardi a 11,6. Ma l’aspetto forse più deleterio per Mosca è la crescente paralisi: le sanzioni hanno infatti bloccato ben 300 miliardi di euro di riserve della Banca Centrale, il 70% del totale, rendendo arduo continuare a finanziare la guerra (FONTE: Consiglio Europeo).

Insomma, la Russia sta pagando il prezzo delle sue scelte. Ma quanto all’Europa? Anche l’UE, infatti, risente inevitabilmente degli embarghi applicati. Alla vigilia della guerra, il mercato russo rappresentava un partner commerciale importante, con ben 55,2 miliardi di euro in prodotti esportati, in particolare nei campi dei macchinari pesanti, dell’industria chimica e di cibi e bevande. Una quota di commercio oggi praticamente azzerata e solo in parte recuperata grazie all’espansione delle esportazioni verso altri Paesi extra-UE.

Dove sono state applicate sanzioni e price cap, ormai cominciamo a poter fare qualche bilancio. Questi provvedimenti sono stati efficaci nel colpire la Russia o il loro effetto è stato scaricato su altri Paesi?

«Le sanzioni le ha imposte una serie di nazioni, quindi non solo l’Unione Europea. Queste, sebbene molto importanti, non rappresentano tutto il mondo. Molte altre continuano a fornire oppure implementano il livello di fornitura, ma noi non possiamo farci niente. Sicuramente, su alcune cose, come i microchip e le tecnologie occidentali più avanzate, l’apporto russo si è molto ridotto. Ma se guardiamo ad altre nazioni, è possibile che abbiano aumentato i livelli di commercio. Questo è una conseguenza naturale del fatto che, malgrado si cerchi di costruire un’alleanza sanzionatoria più ampia possibile, ciascuno decide poi in base ai propri interessi».

La Russia era anche un importante mercato per alcuni beni europei, come generi alimentari, macchinari e veicoli e prodotti chimici…

«I danni, naturalmente, sono a carico di chi non vende più piuttosto che di chi comprava. Il punto è capire cosa sono le sanzioni. Le sanzioni sono un intervento che precede, per livello di gravità, un intervento militare. Allora una prima alternativa è abolire completamente il concetto di sanzione, ma è come dire a un bambino di fare come gli pare e si finisce per crescere senza regole. Altrimenti, o ognuno fa come gli pare e l’ordine internazionale salta, perché non esistono più regole, o bisogna far intervenire i militari ogni volta che succede qualcosa, ma anche questo è impossibile. Le sanzioni sono un passaggio intermedio prima di passi infinitamente più duri e complessi».

Un prezzo importante è stato anche pagato dalle aziende europee

«L’hanno pagato tutti. Ma è sbagliato l’approccio. Se noi entriamo nell’ordine di idee che ci stiamo perdendo, il messaggio è che abbiamo sbagliato a imporre le sanzioni. Bisogna sapere che se non adoperiamo queste misure, le opzioni sono quelle che citavo prima: o ciascuno fa ciò che gli pare, o si mandano i soldati. A meno che qualcuno non trovi una terza via».

Come la Cina. Il commercio con la Russia nel 2022 ha raggiunto la cifra record di 190 miliardi di dollari, compensando in parte alle difficoltà generate dalle sanzioni. Ma il suo ruolo, come quello degli altri Stati apparentemente esterni alla vicenda, resta determinante. Dalle loro scelte sul campo diplomatico e commerciale potrebbero derivare direttamente le prossime mosse sul campo di battaglia o ai tavoli di trattative. In particolare, se un maggior numero di Paesi decidesse di unirsi nei provvedimenti sanzionatori, potrebbe segnare una vera e propria svolta. D’altronde, ed è curioso osservarlo, sono stati ben 143 i Paesi ad aderire alla risoluzione ONU di condanna dell’invasione russa, votata a ottobre: esattamente tanti quanti si sono finora rifiutati di varare sanzioni.

In che modo il ruolo dei Paesi terzi al conflitto ha influenzato il suo andamento e l’efficacia dei provvedimenti presi contro Mosca?

«Le sanzioni sono state sicuramente efficaci. Il problema è che dovrebbero essere adottate dal più ampio range di nazioni, ma ciascuno Stato ha titolo e diritto di fare scelte inerenti alle proprie relazioni internazionali».

In questo scenario, vede possibile che altri Paesi “non allineati” possano entrare in queste sanzioni?

«Quello che posso dire è che è auspicabile. Più saranno le pressioni sulla Russia affinché molli con l’invasione e con la guerra, meglio sarà».

Parlando dello scenario asiatico, quale potrebbe essere l’incentivo per la Cina a unirsi alle sanzioni?

«Dato che ormai le relazioni internazionali sono un testa a testa tra Washington e Pechino, tutto questo il governo cinese lo vede all’interno della dinamica del rapporto con gli Stati Uniti».

Altro antagonista è l’India, che con il successo della missione della sonda lunare Chandrayaan 3, ha dato un brutto colpo a Mosca, a pochi giorni dal fallimento della primo viaggio russo sulla luna da 47 anni…

«Dipende da quali sono gli interessi, anche interni, indiani, e dal futuro che vedono nei rapporti con la Russia. Sono aspetti talmente particolari che non vanno neanche nell’interesse di un singolo Paese, ma addirittura dipendono da divisioni di singoli governi. D’altronde, non è nemmeno necessariamente detto che un esecutivo faccia l’interesse del proprio Paese…».

Quindi non è più l’economia a decidere, ma solo la politica?

«Lo è sempre stata. È che noi europei ci siamo seduti pensando che tutto il mondo fosse economia. Invece c’è stata una brusca sveglia e ci siamo accorti che quello che conta è la sicurezza nazionale, all’interno della quale vi è anche la sicurezza economica. Ma non ne è che una parte: non è mai stata l’economia a gestire il mondo e i rapporti tra gli Stati».                                     ©

Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".