domenica, 28 Aprile 2024

La moda italiana tira il freno. Export e volumi non reggono

Sommario

La moda italiana incassa i colpi della crisi. Per il Made in Italy, il futuro è incerto. Alla particolare congiuntura economica, che attualmente ha assunto una parabola discendente, si aggiungono i danni creati dall’alluvione nel distretto tessile di Prato. Tra gli stabilimenti allagati e inondati dal fango, la metà delle imprese è stata costretta a gettare tonnellate di tessuti, filati e abiti. Merce per oltre 100 milioni di euro resa inutilizzabile. Un disastro al quale si sommano i costi dei macchinari, travolti e distrutti dalla furia del fiume Bisenzio, che farebbero lievitare la conta delle perdite a circa 1 miliardo di euro.

L’andamento della moda italiana

A inizio anno il volume d’affari, delle prime 150 aziende italiane leader del fashion mostrava risultati promettenti: 90 miliardi di euro. Ora quelle stesse imprese, che rappresentano l’1,3% del Pil nazionale, assistono a un inaspettato calo dei ricavi. E a un’inversione di tendenza rispetto ai rosei pronostici su vendite ed export. Il calo della produzione totale del settore su base annua nei primi 9 mesi del 2023 è stato del 6%. Ancora più elevato è quello delle esportazioni: -8,3%. «Si registra una diminuzione dei volumi, soprattutto nella seconda metà del 2023. Unitamente alla prospettiva di una riduzione dei prezzi, è causa di notevole preoccupazione per i margini di profitto» sostiene Ercole Botto Poala, Presidente di Confindustria Moda, che riunisce le associazioni dei settori tessile e dell’accessorio.

Frena anche il lusso

Il lusso perde terreno. Perfino la regina dell’alta gamma della moda italiana, Prada, da mesi assiste con stupore al crollo delle quotazioni dei propri titoli. Eppure il Monitor dei Distretti di Intesa Sanpaolo, registrava in febbraio ottime performance, con un aumento del 10,8% nelle esportazioni e un netto incremento del fatturato rispetto ai periodi pre-pandemici. Ma la seconda metà dell’anno sta portando un declino che coinvolge circa 450.000 lavoratori e 50mila aziende sparse lungo l’intero stivale. Già il bilancio dei primi sette mesi del 2023 aveva manifestato una flessione del 4,8% dopo la forte ripresa del mercato post-Covid. Un segnale che era stato attribuito, in via generale, alla perdita del potere d’acquisto dei consumatori e alla brusca frenata del commercio a livello internazionale, considerando anche la fascia più economica dei produttori che si rivolgono al mass-market. Circostanze che, unite all’inflazione e al caro energia, sarebbero tuttora responsabili della cattiva annata.

La sostenibilità nella moda Made in Italy

A soffrire di meno sarebbero le medie imprese, che danno timidi e altalenanti segnali di resistenza all’onda d’urto della crisi, mentre le aziende di grandi dimensioni arrancano. Nonostante ciò, l’impegno sul fronte della transizione ecologica non è mancato. Anzi. In maniera diffusa, le imprese italiane del settore moda, che per la fascia del fast fashion appare sul podio delle attività più inquinanti a livello globale (al secondo posto dopo il settore petrolifero), hanno implementato politiche sostenibili tra le loro produzioni. La strategia adottata ha portato da un lato alla riduzione dei rifiuti prodotti (da 2,9 tonnellate a 2,4 tonnellate) per ogni milione di euro di fatturato e della anidride carbonica immessa atmosfera (da 1.766 tonnellate a 1.462 tonnellate), dall’altro all’incremento dell’utilizzo di fonti di energia rinnovabili (dal 38,4% al 43,4%) e al riciclo dei tessuti (dal 65,5% al 73,5%). Un’ulteriore tendenza positiva è la rilocalizzazione. Sono diversi i marchi che hanno riportato in patria le produzioni, realizzando nuovi stabilimenti o ampliando quelli già esistenti. Imprese che hanno inteso puntare al reshoring per potenziare il proprio carattere identitario.

Il valore aggiunto della moda italiana

L’emblema dello stile, dell’eleganza e della qualità della manifattura italiana è infatti il valore aggiunto riconosciuto a livello internazionale che compensa i risparmi sul costi della manodopera all’estero. Competenza, creatività e know-how legati al territorio sono infatti gli elementi che hanno consentito alla moda italiana di affermarsi nel mondo. Peculiarità che l’intero settore vuole rafforzare, unendo tradizione e innovazione in chiave sostenibile. Produzioni certificate e tracciabili rappresentano, oggi più di ieri, un punto di forza per l’intera filiera fashion Made in Italy. A dimostrare tale orientamento è la crescita, pur se modesta, delle assunzioni: gli occupati in Italia sono aumentati dello 0,4% da giugno 2022 a giugno 2023, mentre in Europa sono in media diminuiti del 2,3% soprattutto in Paesi come la Polonia (-11,3%), dove le imprese della moda italiana hanno delocalizzato nel corso dei decenni. Le previsioni di assunzioni di operai addetti ai macchinari nel trimestre novembre 2023 – gennaio 2024 nelle industrie del tessile, abbigliamento e calzature (rilevazione di Unioncamere-Anpal) sono al momento pari a 33.200 unità. 7mila lavoratori in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e che dovranno essere ricoperti per il 61% da candidati con qualifica e diploma professionale.

Che bilancio possiamo fare per ora del 2023?

«È stato un anno particolare perché, se nel primo semestre abbiamo registrato una crescita abbastanza dinamica del +7,3%. Nella restante parte dell’anno, invece, abbiamo assistito ad un importante rallentamento. Le previsioni di chiusura evidenziano comunque una crescita positiva del fatturato del +4,3% in 12 mesi, ma con forti preoccupazioni per il 2024».

Qual è stata la reazione delle imprese del settore presenti sul territorio all’alluvione che ha colpito l’area del distretto tessile di Prato?

«La drammatica alluvione che ha colpito la Toscana ha coinvolto anche alcune realtà industriali di eccellenza del nostro settore. In particolar modo aziende del tessile e abbigliamento nel distretto di Prato hanno riportato danni importanti a macchinari e merce di magazzino, oltre all’interruzione improvvisa delle produzioni. Sistema Moda Italia, una delle sette associazioni federate in Confindustria Moda, ha attivato immediatamente un Help Desk per creare un ponte di collaborazione tra le aziende danneggiate e le aziende associate che, operando a pieno regime, possono subentrare in aiuto per la conclusione dei processi. Inoltre, per affiancare le aziende in difficoltà, sono stati promossi alcuni servizi primari, dalla comunicazione in ottica di supporto alle possibilità di matching tra siti produttivi per creare una rete collaborativa e assicurare la produzione».

Quali sono le prospettive del settore per il 2024?

«È difficile fare delle previsioni che siano precise in un momento storico come quello attuale, caratterizzato da continue evoluzioni, soprattutto dal punto di vista degli equilibri geopolitici. Il comparto tessile, moda e accessorio italiano, per cui l’export rappresenta un importante punto di forza, soffre particolarmente l’instabilità globale, anche quando non impatta mercati strategici. Se il 2023 si dovesse concludere con un aumento del fatturato, sarebbe da attribuire principalmente agli incrementi dei prezzi energetici verificatisi nel corso del 2022».

Quali sono i Paesi dove si registra la maggiore crescita dell’export della moda Made in Italy?

«Nella prima parte del 2023, i Paesi europei più importanti per l’export sono stati: la Francia (13,1% dell’export totale), la Germania (8%) e la Spagna (4,2%). Fuori dall’Unione Europea, invece, USA (10,3%), Svizzera (9,3%) e Cina (4,9%)».

Come si sta approcciando il settore della moda alla transizione ecologica?

«La transizione ecologica è un tema importante per le aziende del settore. La sostenibilità è anche una leva di competitività. Grazie all’economia circolare, ad esempio, si può lavorare per diminuire i costi delle materie prime, i cui aumenti mettono in difficoltà le imprese. Bisogna tener presente che per le aziende la transizione ecologica rappresenta una sfida che può essere affrontata solo come sistema, e non come realtà singole. Muoverci di concerto, come Confindustria Moda, ci permette di avere un peso maggiore in sede decisionale su cosa significhi effettivamente produrre in modo sostenibile. Presentarci con un’unica voce chiara – e non con richieste frammentarie – è fondamentale perché il nostro punto di vista sia preso in considerazione seriamente».

Qual è la penetrazione dei nuovi sviluppi portati dall’Intelligenza Artificiale nel settore, al momento?

«La transizione digitale, prima ancora dell’introduzione dell’Intelligenza Artificiale, è un’altra delle sfide che le aziende del settore si trovano a dover affrontare. Di fronte all’aumento dei costi dell’energia e alla difficoltà nel reperire materie prime, l’arma principale delle imprese è l’accorciamento delle supply chain. Operazione indispensabile per abbattere i costi di trasporto e abbassare il time to market dei prodotti. Qui la digitalizzazione scende in campo con l’obiettivo di migliorare la previsione della domanda e, di conseguenza, la gestione dell’inventario, al fine di ridurre gli sprechi. Tutto questo ha un costo che, tuttavia, risulta difficilmente affrontabile per le piccole e medie imprese italiane. Per questa ragione è essnziale che l’industria della Moda e dell’Accessorio lavori unita attraverso sinergie, in modo da affrontare quelle sfide che per il singolo sarebbero difficili da realizzare». ©

Articolo tratto dal numero del 15 dicembre 2023 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva

Giornalista professionista appassionata di geopolitica. Per Il Bollettino mi occupo di economia e sviluppo sostenibile. Dal 2005 ho lavorato per radio, web tv, quotidiani, settimanali e testate on line. Dopo la laurea magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale, ho studiato arabo giornalistico in Marocco. Ho collaborato a realizzare in Saharawi il documentario La sabbia negli occhi e alla stesura della seconda edizione del Libro – inchiesta sulla Statale 106. Chi è Stato?