mercoledì, 8 Maggio 2024

Sport invernali e sostenibilità: si possono conciliare?

Sommario
sport invernali

Torna la stagione sciistica, con i suoi dubbi e le sue controversie. In un pianeta sempre più caldo e con una coscienza climatica più forte, i consumi esorbitanti e i danni ambientali di impianti e sparaneve non passano certo inosservati. «Oggi non possiamo, non dobbiamo ostinarci a tenere in vita il modello di sci del passato» sostiene Antonio Montani, Presidente generale del Club Alpino Italiano. «Penso agli impianti di risalita, ma anche ai bacini per fare l’innevamento artificiale: con la siccità che c’è, creano un problema non da poco. Dobbiamo veramente cambiare paradigma». Una tematica che si intreccia inevitabilmente con l’organizzazione dei Giochi olimpici invernali 2026 di Milano-Cortina. Le scorse edizioni sono state segnate dalla spesa enorme – economica ed ecologica – che un evento sportivo di tali dimensioni comporta. Per dare uno spaccato, la quota di neve artificiale usata a Pyeongchang 2022 è stata stimata tra il 90 e il 98% del totale.

Qual è l’impatto degli sport invernali sull’ecosistema montano?

«Innanzitutto, bisogna stare attenti a non sovrapporre lo sci alpino a tutti gli sport invernali. Ci tengo a specificare che, se è sicuramente una componente numericamente importante, non è la sola. È però quella con l’impatto più grave: richiede forte infrastrutturazione, dal punto di vista degli impianti di risalita ma non soltanto. Ci sono anche, ad esempio, la battitura delle piste o l’innevamento artificiale. Ciò che più conta, i dati che abbiamo sono quelli di un Mercato che è stabile, saturo, che non cresce. Certo, se andiamo indietro di 60/70 anni, è indubbio che lo sci da discesa ha rappresentato un modello di sviluppo che per alcune realtà e per certi anni ha portato del benessere. Questo è innegabile. Ma ciò che vediamo è che in questo momento questo modello non è più replicabile. È impensabile prendere località vergini e farne dei grandi comprensori o provare a espandere all’ennesima potenza delle piccole realtà. C’è chi ci prova anche, ma sono cose che non stanno in piedi. Il numero di giornate passate sugli sci è stabile da ormai più di un decennio. Di conseguenza, gli investimenti non sono fatti per aumentare il Mercato, ma per mangiare fette di clientela agli altri».

Antonio Montani, Presidente generale del CAI
📸 Credits: Giacomo Piumatti

Quali sono le ricadute di questa situazione?

«Siccome la sostenibilità è, per definizione, non solo ambientale, ma anche sociale ed economica, le grosse stazioni sciistiche cannibalizzano le piccole, che sono quelle più sostenibili, se guardiamo a tutti e tre i parametri. Se il piccolo skilift in una località di nicchia, dove magari c’è un albergo diffuso e dei ristorantini, chiude perché non regge il confronto con le grandi stazioni, crea in quell’area dei problemi. Tanto più che ho visto alcuni dei bilanci delle grandi stazioni di Piemonte e Valle d’Aosta e sono tutti tenuti in piedi da sovvenzioni pubbliche. In pratica, non reggono neanche sul piano della sostenibilità economica».

Insomma, se il Mercato ristagna, non ha senso espandersi. È questa la vostra posizione?

«Non dico che non abbia senso per la singola località. Ma non ne ha sicuramente se guardiamo in una logica di sistema. Posto che l’infrastrutturazione della montagna non è sostenibile da un punto di vista ambientale; non lo è da un punto di vista economico, visto che ormai sono quasi tutti in perdita; non lo è da un punto di vista sociale, se la clientela confluisce solo sui mega comprensori. Questi complessi portano ad avere i ristoranti sulle piste gestiti centralmente, per pareggiare così la spesa degli impianti. Allora però dov’è la sostenibilità sociale per le popolazioni di montagna. Questo, forse banalizzando un po’, è il quadro».

Vede possibile una soluzione di compromesso per meglio conciliare lo sci con il rispetto della montagna?

«Su questo farei un ragionamento forse un po’ di nicchia. Come dicevo, il baby skilift per imparare a sciare serve, anche a chi nella vita farà sci alpinismo. E il piccolo impianto segue una logica diversa: le persone non vanno per fare solo la giornata sugli sci venendo dalle grandi città. Chi fa una permanenza di quel tipo spesso si ferma a dormire e lascia qualcosa in più sul territorio, che magari è anche solo la differenza fra lo skipass che avrebbe pagato in una grande stazione e quello che paga nella piccola, perché ormai nei comprensori vip una giornata costa 80 euro, mentre nelle località minori a volte con 20 euro si scia ancora. Questo è sempre sport invernale, ma vissuto in un modo diverso. Allora, noi invitiamo anche gli uffici del turismo a fare valutazioni di questo tipo. Perché abbiamo esempi, come la Val Varaita, dove c’è stata la scelta di non fare più impianti di risalita. Hanno investito molto sull’outdoor in generale, sull’accoglienza diffusa, sul fornire dei servizi che in altri posti non si trovano, come il noleggio delle attrezzature. I risultati sono molto interessanti, economicamente e socialmente. Perché non c’è il magnate che viene lì e mette 20 milioni per fare l’impianto, ma c’è un tessuto locale che sta crescendo. Forse è arrivato di riconoscere alla montagna che è quel tipo di sviluppo quello idoneo, non i grossi investimenti. Su quelli, alla fine, guadagna chi possiede gli impianti e le imprese che li costruisce. E gli abitanti sono tagliati fuori.

La difficoltà che vediamo è proprio questa. Vediamo località depresse che guardano alle grandi località e pensano di poter essere così. Ma inserire quel modello oggi è un’illusione e un errore. Guardare invece ad altre soluzioni che siano più vincenti nel lungo termine potrebbe essere interessante».

Le Olimpiadi invernali stanno facendo polemica, in questo senso. Ad esempio, la proposta di costruire una nuova pista di bob a Cortina ha visto un duro rifiuto anche da parte vostra. Ma secondo voi è possibile un’olimpiade invernale autenticamente sostenibile?

«Il tema è complesso. Credo sia possibile, ma non ne sono certo, almeno alle condizioni date. Parliamo della pista da bob, per esempio. Perché non si vanno a fare le gare a Sankt Moritz? Perché ha una pista naturale. Le norme della federazione di bob escludono le piste naturali, perché non si può controllare la temperatura del ghiaccio, quindi per motivi sicurezza le escludono. Io mi chiedo: non si può ragionare diversamente? Questo è l’emblema di questa inconciliabilità. Se c’è neve si scia, se non c’è no. Ma è chiaro che i grandi investimenti milionari che concentrano tutte le gare in una settimana non possono avere una componente meteo discrezionale. Allora io dico: la natura ci sta prepotentemente chiamando ad aprire gli occhi. Se noi saremo in grado di adattarci, potremo tranquillamente continuare ad allestire questo tipo di eventi. Però bisogna saper fare dei piccoli sacrifici, qualche volta. E se in occasione della gara tira il Foehn (favonio, ndr), un vento caldo, per cui la pista di Sankt Moritz non si può usare, non si attribuiscono medaglie per la gara di bob. Non la vedo come una cosa così scandalosa».

Quanto a questa edizione, cosa pensa di come è stata gestita finora?

«L’Italia si è aggiudicata l’Olimpiade con un dossier che diceva che non avremmo fatto nessun impianto nuovo. Avremmo dovuto utilizzare al 90% impianti esistenti e per il 10% strutture che necessitavano di manutenzione straordinaria. Quello che sta venendo alla luce è uno scenario molto diverso. SIMICO, la società che gestisce tutte le strutture dell’evento, sta lavorando anche a strade, circonvallazioni, parcheggi etc. E siccome siamo pure in ritardo (ne abbiamo parlato qui, ndr), tutto questo grosso pacchetto di infrastrutture, come era stato per la pista di bob di Cortina, viene impostato senza la valutazione ambientale strategica o la valutazione di impatto ambientale. Sulla pista, noi ci siamo opposti, anche perché ci sembrava un affare palesemente sballato sul piano economico e ambientale, con grossi punti interrogativi su quello sociale. Alla fine, non si farà per altri motivi, ma almeno si è evitato un intervento sciagurato. Poi la gestione dei giochi è un’altra cosa. Noi, come associazione ambientalista, abbiamo partecipato al tavolo con la fondazione Milano-Cortina e siamo stati favorevolmente colpiti dall’attenzione all’impatto. Ma non si può sciogliere la gestione dall’infrastruttura. E su questo l’organizzazione si è rivelata carente. A causa della strettezza dei tempi – si giustificano loro. Io, che di professione sono architetto, lo capisco. Però, quando metto la giacca del CAI non posso chiudere gli occhi. Errori come questi lasciano cicatrici che durano anni».

Negli ultimi Le iniziative e i claim di sostenibilità dei grandi comprensori sono sforzi seri o una facciata?

«C’è una consapevolezza che il mondo sta cambiando, e questo è sicuramente positivo. Di conseguenza, ci sono degli sforzi che cercano di essere concreti. Credo che chi gestisce, anche in buona fede, cerchi di salvare il salvabile, ma dubito che quel modello possa andare avanti non solo sugli impianti di risalita».                                        ©

Articolo tratto dal numero del 15 dicembre 2023 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva

Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".