domenica, 28 Aprile 2024

Per l’energia come per la finanza: diversificare è la chiave

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L’ambientalismo può rappresentare un ostacolo alla transizione sostenibile? La risposta potrebbe essere sì, quando ideologia e interessi di settore hanno la meglio sulla razionalità. Un problema quantomai attuale: nel dibattito sulla transizione energetica e il cambiamento climatico, spesso a prevalere sono i preconcetti, raramente i dati. Le conseguenze del tifo energetico sono sotto gli occhi di tutti. La stessa ecoansia, legata alla paura per le conseguenze del climate change, è legata all’ambientalismo ideologico.

«Serve un ambientalismo pragmatico, basato sulla scienza e sulla competenza. Parlare di mix energetico, e non fare il tifo per una soluzione piuttosto che per un’altra, è ad esempio già una buona strada da percorrere per non farsi prendere da ansie. La reazione deve essere conoscere, comprendere, capire come comportarsi ogni giorno così come studiare ciò che può davvero essere rivoluzionario e determinante per affrontare – e possibilmente chiudere nel nostro secolo – il periodo di transizione energetica», spiega Gianluca Pomo, Business Development Manager di Axpo e autore del libro L’energia del XXI secolo. Come affrontare la transizione energetica contrastando l’ambientalismo ideologico, edito da Biblioteca delle Soluzioni.

energia Pomo

«Il problema maggiore è che si riscrivono le regole del gioco a ogni cambio di Governo, di ministro, di manager, di ente pubblico o privato. Scrivere regole che rimangano nel tempo e che sopravvivano al burocrate o al politico che cambiano è già parte della soluzione».

In cosa si manifesta l’ambientalismo ideologico?

«Siamo in un periodo storico in cui la comunicazione è molto rapida e spesso incontrollabile. Non sempre i reali contenuti sono accettati, perché necessitano di studio e comprensione di dati. E allora diventa più facile il condizionamento, il sentito dire, il pensiero semplice. Eppure, soprattutto su tematiche come queste, non si può pensare che la strada maggiormente comprensibile sia sempre quella giusta. Nello specifico, suggerire una transizione energetica in cui le rinnovabili soddisfino il 100% della domanda è una follia che sentiamo ripetere molto spesso, immaginare che da un giorno all’altro non si debba utilizzare più il gas naturale, che è invece il principale strumento ponte per il periodo di transizione, è altrettanto inaccettabile».

Quanto costano decisioni mancate, ritardi o contraddizioni sulla crescita dell’energia Green?

«Parecchio, è inutile negarlo. Dovremmo crescere di circa 8GW di potenza installata di energia rinnovabile per ogni anno da qui al 2030. Superiamo a malapena 1GW/anno. E il tempo più lungo non è certo quello della realizzazione e messa in servizio dell’impianto, ma per l’iter autorizzativo. Una maggiore sensibilizzazione della popolazione sul tema, senza allarmismi e un’ampia diffusione culturale, potrebbero spingere anche i decisori a supportare con ancora più forza il processo di transizione nel nostro Paese».

L’eolico off-shore floating rappresenta una della tecnologie Green più promettenti, a detta degli esperti, per le stesse caratteristiche del Mediterraneo. Un potenziale riconosciuto anche nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC). Tuttavia, le autorizzazioni per i nuovi impianti sono ferme e l’unico progetto ha impiegato 14 anni per vedere la luce. C’è ancora incertezza riguardo alle regole, nonostante l’interesse degli operatori sia ancora forte. Cosa fare per risolvere l’impasse?

libro energia

«L’interesse delle pale off-shore viene anzitutto dal fatto che è meno intermittente dello stesso eolico onshore e del fotovoltaico. Sfruttare i flussi di vento che per un elevato numero di ore al giorno, se non per l’intera giornata, soffiano in mare aperto, è una soluzione valida e aumenta l’efficacia di generazione. Purtroppo, porta con sé delle complicanze tecniche, paesaggistiche, di salvaguardia dei mari e altre tematiche autorizzative che, senza uffici del tutto dedicati, non sono di rapida risoluzione e focus. Servono task force specifiche che progetti di questa portata meritano».

Parlando di transizione, spesso si dimentica il ruolo dell’efficientamento energetico. Quanto è importante e a che punto siamo in Italia?

«A mio parere è uno dei pilastri della transizione energetica, come lo stesso PNIEC e l’Europa ci hanno ricordato. Consideriamo che nei primi venti anni di questo secolo gli interventi di efficientamento energetico, ovvero soluzioni tecnologiche che a parità di comfort comportano una riduzione sensibile dei consumi, hanno portato ad una riduzione degli stessi a livello globale di circa il 10% e di oltre il 12% di tonnellate di CO2. Tutto intorno a noi può e deve essere efficientato. Dall’industria al terziario, fino al residenziale. Impianti in autoconsumo rinnovabili o di cogenerazione ad alto rendimento a gas naturale sono solo degli esempi di tecnologie che riducono fortemente l’impronta carbonica e spingono su sistemi efficienti, utili alla decarbonizzazione. La strada è ancora lunga, ma moltissimo si può fare. La società del XXI secolo richiede per la sua sopravvivenza un necessario un aumento dei consumi, non una diminuzione. Di conseguenza, se vogliamo la carbon neutrality al 2050 dobbiamo ridurli senza limitare le comodità del nostro secolo».

idroelettrico energia

Il gas naturale è la risorsa più utilizzata in Italia per la generazione di energia elettrica e termica, ma la maggior parte viene importata. Non a caso, la guerra in Ucraina ha provocato una delle più pesanti crisi energetiche della storia. Tra gennaio e metà novembre 2023 abbiamo importato 53,3 miliardi di metri cubi di gas: 20,2 miliardi dall’Algeria, 8,7 miliardi dall’Azerbaijan, 5,9 miliardi dal Nord Europa, 2,4 miliardi dalla Russia e 2,2 miliardi dalla Libia (dati Snam). Quindi, il nostro Paese ha ridotto drasticamente le importazioni dalla Russia, sostituite da maggiori flussi in entrata dall’Africa. Ma affidarsi a Paesi molto instabili dal punto di vista politico e sociale non è un rischio eccessivo?

«Il gas è la risorsa per eccellenza che ci aiuta nel periodo di transizione. Nel mix energetico italiano occupa quasi il 50% della generazione energetica (elettrica + termica). Non si può quindi immaginare un paniere che ne faccia a meno in tempi brevi. Il rischio di affidarci a Paesi instabili esiste, ma d’altra parte la solidità di Paesi come la Russia negli ultimi anni è quantomeno da mettere in discussione seriamente. Una soluzione è certamente quella di spingere molto sul trasporto via nave del gas naturale liquefatto (GNL) e sugli impianti rigassificatori locali o mobili. Si aprono nuove vie del gas e ci si rende meno dipendenti da mercati complessi e Paesi instabili politicamente e socialmente».

Quanto è importante puntare sull’auto produzione, in virtù della centralità del vettore gas in ottica di transizione, tema che tratta anche nel suo libro?

«È fondamentale sia per le tematiche già citate di efficientamento energetico, sia per evitare gli sprechi di energia prodotta da immettere in rete quando non necessario (vedasi il tema delle rinnovabili in Italia, che spesso non ci evitano comunque di prelevare energia esausta dal vicino nucleare francese). Da ultimo, attivare un impianto di cogenerazione con motori endotermici o con caldaie, turbine a vapore o addirittura assorbitori per produrre frigorie (trigenerazione), permette di dedicare la generazione al sito produttivo, aumentare il rendimento complessivo del sistema, ovvero l’energia prodotta rispetto a quella necessaria per produrla, e ridurre consistentemente le emissioni di CO2 relative a quella fonte, contrastando sprechi dannosi per l’ambiente e anche per i relativi costi di produzione».

Chiudiamo con un tema controverso: il nucleare. Prima di tutto, mi sembra importante fare chiarezza sulla questione della sicurezza. In che misura rappresenta un rischio, allo stato attuale delle tecnologie?

efficientamento energetico

«È un tema giustamente sensibile, ma è altrettanto vero che si continua a realizzare nucleare in giro per il mondo. A livello di sicurezza, i più rilevanti nuclearisti del Pianeta rassicurano totalmente rispetto alla terza generazione, ovvero quella che già da anni è sviluppata e consolidata. Tutti i sistemi di allarme sono fortemente ridondanti e pensati per allertare con grande tempismo in relazione a qualsiasi problematica potesse verificarsi. D’altra parte, i dati parlano chiaro: rispetto all’energia generata, la fonte nucleare è tra le più sicure di sempre. La quarta generazione invece non toccherà tanto i temi di sicurezza intrinseca degli impianti, quanto più insisterà (siamo ormai in fase pilota e il suo sviluppo sarà ampliato su scala industriale nei prossimi anni) su taglie ridotte (1-300MW) attraverso Piccoli e Micro-Reattori (SMR, MMR). Sono proprio queste le principali frontiere della ricerca, al momento: sicurezza, riduzione delle taglie ed efficientamento, possibilità di riuso delle scorie all’interno del reattore con produzione volumetrica delle stesse molto minore».

Crollati miti e pregiudizi, mi sembra che la questione centrale riguardi il quando. La prima domanda è: se la costruzione di nuove centrali cominciasse domani, quando il nucleare potrà dare un contributo tangibile al mix di energia nazionale?

ambientalisti

«Qui c’è un tema locale e uno di respiro internazionale. Entro la fine del 2024 verranno avviati, tra gli altri, un reattore in Bangladesh, a Rooppur, e uno in Turchia ad Akkuyu. La costruzione del primo è iniziata nel 2017, del secondo nel 2018. Per mettere in funzione un reattore di una centrale nucleare non ci vogliono quindi decenni, come si dice ovunque. Tuttavia, non tutte le realizzazioni procedono speditamente e una centrale di grossa portata merita tutte le attenzioni del caso, e anche di più. Ma è altrettanto vero che, se si dovesse puntare nuovamente sul nucleare, come emerso nella COP28 a Dubai di qualche settimana fa, è perché si è colto il fatto che da qui al 2050 il suo effetto può essere positivamente dirompente. In Italia abbiamo un problema legato al fatto che è stato dismesso a seguito del referendum del 1986. Ne consegue che inserire nuovamente la tecnologia nel nostro mix porti con sé un necessario lavoro sull’opinione pubblica, ma anche sui centri di ricerca che hanno abbandonato il nostro Paese da tempo. Lavoro corposo, che deve comprendere anche un rinnovamento complessivo della normativa e un probabile ingresso nel Mercato dei reattori di piccola taglia che, attraverso il concetto di autoconsumo ed efficienza energetica, e insieme ad uno sviluppo sempre più vasto e razionale delle energie da fonte rinnovabile, potrebbero supportare il processo di transizione verso la neutralità carbonica». ©

Articolo tratto dal numero del 1 febbraio 2024 de il Bollettino. Abbonati!

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