lunedì, 29 Aprile 2024

Edufin: siamo l’unico Paese Ue ad avere una differenza di genere

Sommario
genere

L’Italia è maglia nera nell’Unione Europea per alfabetizzazione e divario di genere sulle tematiche finanziarie. «Partiamo da un dato inoppugnabile e misurato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) che fotografa la situazione del Paese. Solo un 30% della popolazione possiede un’adeguata alfabetizzazione finanziaria. Quel che è peggio, siamo l’unico Paese nell’UE con un differenziale di genere evidente su questo tipo di competenze, sia tra gli adulti sia tra gli studenti», spiega Claudia Segre, Fondatrice di Global Thinking Foundation ETS, Vice Presidente di AssoFintech e Co-Chair di Women7/G7 2024. Un divario che apre la strada a un fenomeno più subdolo degli abusi fisici, ma altrettanto pericoloso: la violenza economica, l’altra faccia della medaglia del gender gap.

Divario di genere, il ruolo delle aziende

segre divario di genere

Le imprese hanno un compito centrale in quest’ambito: inserire l’inclusione finanziaria nel Welfare aziendale. Il primo passo è l’ascolto e il supporto verso le lavoratrici per assicurare il loro pieno benessere. Un obiettivo che riguarda le sfere economica, finanziaria e familiare. Infatti, il benessere aziendale è sinonimo di equilibrio tra vita e lavoro. Un binomio che non può prescindere dalla sostenibilità economica. Uno dei problemi è che sin dalla nascita viviamo immersi in una cultura che discrimina le persone sulla base del sesso, secondo quanto emerge da un recente studio dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia. Una mentalità che si può superare diffondendo sempre più i fondamenti dell’educazione economico finanziaria. Principi che aiuteranno le ragazze a diventare donne indipendenti economicamente. In quest’ottica, l’informazione gioca un ruolo cruciale. Tuttavia, i dati sulla visibilità delle donne non fanno ben sperare. In Italia quest’anno le direttrici di quotidiani sono solamente 2, in calo rispetto al 2023. Preoccupa anche la quota di firme rosa nelle prime pagine dei giornali, che ammonta appena al 20%.

Cultura e informazione non sono sufficienti però a contrastare molestie e abusi sul posto di lavoro. Comportamenti che non rappresentano un reato specifico per la Giustizia italiana. Infatti, nel nostro ordinamento giuridico non esiste una norma dedicata. Per questa ragione, in ambito giuridico ci si può riferire solo a un insieme di fonti quali trattati e convenzioni internazionali. Una carenza che fa sì che simili comportamenti vengano sanzionati solo quando si verifica un abuso di autorità. Ma è in arrivo un disegno di legge che norma le molestie sul luogo di lavoro introducendo un’aggravante nel caso in cui il rifiuto costi alla vittima il licenziamento o una degradazione.

Nel 2017 è nato il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria, un organo che ha ricevuto fondi per promuovere attività di informazione e informazione istituito su decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze. Tuttavia, non sembrano vedersi ancora effetti tangibili. Servono altri investimenti?

«L’iniziativa, che ha visto anche la partecipazione di autorità di vigilanza, organismi istituzionali e associazioni dei consumatori, è un primo passo. Al Comitato è stato affidato, secondo il decreto, un milione all’anno e si stima che attualmente siano stati spesi 6 milioni di euro. Tuttavia, al di là delle numerose iniziative documentate, tra cui l’istituzione del Mese dell’Educazione Finanziaria in Ottobre, non abbiamo un’analisi di impatto sociale con Social Return on Investment (SROI). Averla sarebbe il punto di partenza da cui partire per contestualizzare una situazione che nel 2023 ci vede ancora sotto la media OCSE e proiettare un ammontare adeguato di investimenti, ma soprattutto destinatari e garanti degli stessi. Ci vorrebbe sicuramente un intervento diretto del Ministero, con un utilizzo delle reti televisive e social più intenso che mai».

Il gender gap è legato a doppio filo alla carenza di lavoro. Il 62% delle donne si trova nei centri antiviolenza a causa di una prevaricazione economica da parte del partner. Un fenomeno che ha le sue radici nelle scarse percentuali di occupazione femminile. Come contrastare la violenza economica?

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«Partiamo dalla premessa che i dati vanno contestualizzati. Solo di recente si stanno raccogliendo database statisticamente attendibili per identificare questa fattispecie, che reato ancora non è nella nostra normativa. La violenza economica si può contrastare con un’azione preventiva mirata a far emergere le determinanti delle situazioni di isolamento economico e informando sulle modalità di tutela da un’escalation che finisce per alimentarsi delle altre forme di violenza ad essa correlate, da quella psicologica fino a quella fisica e sessuale».

Parla della piattaforma per la prevenzione della violenza economica?

«Sono molto orgogliosa dell’avvio di questa piattaforma di rete per l’inclusione finanziaria e la prevenzione della violenza economica, We4: Education, Empowerment, Engagement, Equality. Mette a disposizione una rete di stakeholder impegnati nel garantire un percorso di benessere attraverso 4 fasi di partecipazione sociale attiva capaci di esprimere una volontà di co-creazione di una società più equa e giusta. La messa in chiaro di progetti e opportunità di ispirazione, collaborazione e sinergia avvierà nuove partnership sui bandi, ma soprattutto renderà evidente l’impegno di tutti e quell’intento comune nella rigenerazione delle comunità che sappiamo essere possibile. È ciò che porta a risultati concreti in un Terzo settore che ben si compenetra con l’attivismo anche del dialogo tra pubblico e privato, dato proprio l’assunto di risorse spesso scarse o che giungono con ritardo o poca lungimiranza».

Quali altri progetti avete in cantiere, con la Global Thinking Foundation?

«L’impegno di quest’anno si lega a un altro aspetto della violenza economica e dello stress finanziario e psicologico che ne deriva. Elemento che si somma alla spirale della violenza e che parte proprio da una situazione di esclusione sociale, cioè quello della salute. Già da tempo ci stiamo occupando di questo aspetto, che ci viene evidenziato dallo sportello di ascolto come un peggioramento di patologie già in essere, aggravamento delle malattie degenerative e sviluppo di nuove problematiche. Il tutto in un contesto di discriminazione di genere anche nella salute, come reso evidente nel nostro ultimo evento annuale dello scorso novembre e nell’intervista al Professor Silvio Garattini dell’Istituto Mario Negri, autore del libro Una medicina che penalizza le donne. I nuovi progetti STOP Gender Gaps!, Dipendenze: NO Grazie e il Tour 2024 Libere di… VIVERE nelle scuole dedicato saranno il focus di quest’annata, sempre all’insegna dell’innovazione progettuale sociale per la sostenibilità economica».

Uno dei primi ostacoli da oltrepassare per raggiungere la parità di genere è la cultura aziendale. Per compiere un cambio di passo, la gender equality deve essere inserita in un contesto di sostenibilità aziendale. La svolta non può prescindere dalla presa di coscienza del valore economico e sociale di questo traguardo. L’introduzione di un esperto di queste tematiche, quale un ESG manager, può dare un contribuito importante per superare i pregiudizi culturali e favorire l’inclusione finanziaria. L’obiettivo è diffondere il messaggio che la tematica di genere oggi non è un valore solo per le donne. Infatti, l’uguaglianza di trattamento in ambito lavorativo tra uomini e donne può diventare un importante asset d’impresa. Non a caso, l’inclusione ha effetti positivi anche sulla performance economica dell’azienda.

Cosa manca per raggiungere la gender equality sul lavoro ?

«La gender equality si raggiunge attraverso vari stadi, partendo dalle interviste e quindi nell’accesso all’ambito lavorativo che deve essere assicurato senza discriminazioni umane o algoritmiche di sorta, ma sulla base di criteri trasparenti. Inoltre, l’azienda è chiamata a garantire laddove possibile e/o obbligatorio il rispetto dei criteri Environmental, Social and Governance (ESG) e della Convenzione C190 nella tutela contro le molestie. Ci sono anche altre norme aggiunte negli ultimi anni, quali quella importantissima della Sicurezza sul Lavoro e della Formazione continuativa del Personale. Poi viene il nodo spinoso del salario e degli avanzamenti di carriera. Anche in questo caso, un’equiparazione di trattamento va a tutto vantaggio dell’azienda stessa, come provato da anni di ricerche di McKinsey, Gartner etc. Gli studi identificano una produttività migliore, sino al 25%, quando si attivano politiche di uguaglianza di genere e maggiormente inclusive».

Questo processo non può prescindere però dall’introduzione di un’etica della cura. A oggi, infatti, l’assistenza a bambini e genitori anziani è ancora affidata esclusivamente alle donne. Spesso e volentieri sono costrette a mettere da parte la carriera per accudire i figli. Lo dimostrano i numeri. Infatti, nel settore privato solo il 17% delle donne riveste un incarico da dirigente. Come se non bastasse, le lavoratrici perdono l’80% del loro stipendio dopo la prima maternità. Dati che migliorano leggermente nel mondo delle società quotate, ma l’obiettivo parità di genere è ancora molto lontano. Nel 2023 il 43% degli incarichi di amministratore delegato delle 210 società quotate e il 41% dei componenti degli organi di controllo sono stati rivestiti da donne (Fonte: Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, CONSOB). L’introduzione della certificazione di genere ha dato un contributo importante alla diffusione delle tematiche in aizneda. Un obiettivo favorito anche dall’ingresso di nuove figure professionali dedicate, quali i Diversity Manager. Ma la formazione deve partire necessariamente dalle scuole, dove insegnare la cultura dell’inclusione, ma anche i fondamenti di economia e finanza.

Ci sono Paesi che erogano alle madri sussidi che coprono interamente i costi per crescere i bambini e altrove le grandi aziende mettono a disposizione delle dipendenti asili interni. Perché in Italia siamo ancora indietro in questo?

«Sono molte le aziende che stanno adeguando i propri programmi di welfare sociale per colmare i ritardi normativi, che vedono ancora una copertura insufficiente degli asili nido e dei permessi genitoriali ma che sono fondamentali per condivisione dei carichi di lavoro, di cura familiare e quindi di opportunità di continuità professionale. La volontà è molto evidente e vincente, ma sono soprattutto le corporate medie e grandi che possono permettersi queste misure, ottenendo tra l’altro ottimi risultati sulla fidelizzazione dei lavoratori e lavoratrici. L’esito sulla serenità e sul miglioramento del clima lavorativo non è da poco. Sul congedo parentale, per quest’anno si parla di due mesi all’80% rispetto ai 4 mesi al 100% della Spagna per fare un esempio , ma la norma e’ in continua evoluzione, in Italia come negli altri Paesi UE, data l’esigenza di far fronte al calo della natalità. E comunque il numero dei mesi fruibili ulteriori influenza il grado di copertura finanziaria, che decresce man mano che si va avanti. I congedi obbligatori restano fermi a 10 gg per il padre e 5 mesi per la madre nel nostro Paese». ©

📸 Credits: Canva

Articolo tratto dal numero del 1 marzo 2024 de il Bollettino. Abbonati!

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