Continua l’eterna spartizione dell’Africa. Gli instabili Paesi del Sahel, accomunati dall’astio per l’ex alleato francese, formano un nuovo blocco nel Nord-Ovest. Intanto, Russia e Cina fanno a gara per aggiudicarsi le ricche risorse minerarie locali.
Le due conferenze
La CEDEAO (Communauté Économique des États de l’Afrique de l’Ouest), principale gruppo di potere nell’Africa Occidentale, che si è riunita la scorsa settimana ad Abouja in Nigeria, si trova in scacco. L’elefante nella stanza è la riunione, in parallelo, del primo summit di una nuova organizzazione, l’AES (Alliance des États du Sahel), nata lo scorso settembre tra Mali, Burkina Faso e Niger. All’indomani del colpo di Stato nigerino di settembre, dietro la minaccia da parte dei Paesi della CEDEAO di un intervento militare per ristabilire al potere il legittimo Presidente Mohamed Bazoum, i tre Paesi formano un patto di mutua difesa ed escono dall’organizzazione a guida nigeriana. Adesso, Abouja mira a reintegrarli, agitando come spauracchio le conseguenze economiche negative derivanti da una maggiore frammentazione. Ma l’AES ha già preso un’altra strada.
Dal primo incontro escono tre ordini del giorno: la necessità di una non meglio precisata cooperazione contro i jihadisti che imperversano nell’area, ma soprattutto l’intenzione di creare una confederazione e una moneta unica. Un’agenda che non lancia segnali incoraggianti alla CEDEAO.
La situazione nigerina
Vero propulsore della nuova alleanza è il Niger, che dopo il golpe ha avviato una vera e propria campagna di de-occidentalizzazione. Prima vittima di questa campagna è la Francia, favorevole al Presidente Bazoum e da subito ostile alla giunta del generale Abdourahamane Tiani. Dopo l’espulsione, a settembre, dell’ambasciatore di Parigi, ora Niamey punta il dito contro le imprese francesi: in prima linea Orano, il colosso minerario che gestisce i giacimenti di uranio locali. In un atto clamoroso, la giunta sceglie oggi di togliere alla società i diritti su una delle miniere più ricche del mondo, quella di Imouraren. Orano sarebbe colpevole di non aver rispettato gli accordi previsti dall’appalto – ottenuto nel 2009 – tergiversando sull’avvio dei lavori sul sito ben oltre i due anni concordati inizialmente.
Nel frattempo, il Paese si rivolge contro altri bersagli: in particolare gli Stati Uniti, cui è stato ingiunto di ritirare la propria presenza militare – circa 1000 unità – entro settembre.
Ma non scampano neanche i tradizionali alleati regionali: dopo l’uscita dalla CEDEAO, il Paese sceglie di chiudere le frontiere con il vicino Benin, nel tentativo di arrestare l’emorragia di beni e persone in quella direzione.
Chi si dividerà la torta?
Nel complesso, gli obiettivi dell’AES sono tutt’altro che realistici. I tre Paesi, accomunati dalle instabili giunte militari che li governano, sono tra i più poveri dell’area. In più, fatto non da poco, sono completamente privi di uno sbocco sul mare. Un aspetto che, di fronte alla chiusura dei rapporti col Benin (che invece si affaccia sul Golfo di Guinea) chiude la possibilità di esportare, se non attraverso gli stessi Paesi della CEDEAO o un impossibile passaggio di terra attraverso il Sahara.
Insomma, è improbabile che la cosa produca frutti particolarmente maturi per la popolazione e le imprese locali. In compenso, la situazione attuale apre la porta a partner internazionali alternativi rispetto a quelli tradizionali. Un’occasione che le non allineate Russia e Cina non mancheranno di sfruttare. Quest’ultima, già presente nel Paese, cerca di mettere le mani sul petrolio. Pechino ha di recente concluso un accordo con cui fornisce 400 milioni di dollari per la costruzione di un viadotto da 400. Il suo investimento sarà rimborsato dagli stessi profitti della struttura, a un ghiotto interesse del 7%. Mosca, invece, punta ancora più in alto. Mentre Orano si lecca le ferite e teme per l’altro grande giacimento sotto il suo controllo, quello di Somaïr, la russa Rosatom già tratta per subentrarle nelle prospezioni di uranio locali.
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