giovedì, 13 Novembre 2025

Bonetti, Sisterpreneurs: «Le quote rosa non sono un favore, ma un’opportunità economica»

Sommario

L’Italia si piazza al vertice dell’Unione europea per l’imprenditoria femminile. Nonostante un tasso di occupazione femminile ancora in affanno il nostro Paese presenta, in termini assoluti, il numero più elevato di lavoratrici indipendenti.

L’Italia supera Paesi come Germania e Francia, consolidando la sua leadership. Nel 2023, le donne italiane in possesso di partita IVA che lavorano come artigiane, commercianti, esercenti o libere professioniste ammontano a un milione e 610mila, a fronte di un milione e 433mila francesi e un milione e 294mila lavoratrici autonome tedesche. I dati, analizzati dalla CGIA (Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato) di Mestre, mostrano un trend positivo e una crescita costante della presenza femminile nel Mondo degli affari. In termini economici, le imprese guidate da donne generano tra il 10% e il 12% del PIL nazionale, con un fatturato annuo stimato tra 200 e 240 miliardi di euro.

Questo successo, però, non è privo di sfide. «Le imprenditrici italiane continuano a confrontarsi con significativi ostacoli», dice a il Bollettino Bianca Bonetti, Founder di Sisterpreneurs: «l’accesso ai finanziamenti resta difficile, la conciliazione tra vita professionale e familiare è un problema ancora aperto e le reti di supporto sono spesso insufficienti». Inoltre, l’imprenditoria femminile si concentra in settori prettamente tradizionali.

Circa il 56% delle donne imprenditrici attive nel nostro Paese è impiegato nel settore dei servizi alla persona e alle imprese. Poco meno del 20% opera nel commercio, mentre poco più del 10% è attivo nell’Horeca (Hotellerie, Restaurant e Café), e circa il 6% nell’industria; stessa percentuale si riscontra anche nell’agricoltura. La presenza delle donne è ancora ridotta nelle aree ad alta innovazione tecnologica, un divario che il nostro Paese deve imparare a colmare per garantire pari opportunità in ogni settore.

Nel 2025 le lavoratrici con ruoli di rilievo nel Mondo sono circa il 34%, dato che in Europa raggiunge il 35%. I numeri sono in linea con lo scorso anno con lievi incrementi, rispettivamente dello 0,5% e dello 0,3% (fonte: Women in Business, Grant Thornton). In Italia, solo il 2,9% degli Amministratori Delegati nelle grandi società quotate è donna e la disparità si estende anche ad altri ruoli di leadership (fonte: Cnel-Istat).

Le Startup fondate o co-fondate da donne sono ancora poche nel nostro Paese. Solo il 13,84% delle Startup innovative (1.684) è a prevalenza femminile, mentre quasi il 45% (5.438) vede almeno una donna tra i soci, lo rivela Unioncamere. Eppure, quando riescono a sopravvivere, queste imprese spesso performano meglio della media.

E gli stipendi? Nel Vecchio continente le donne guadagnano in media oltre il 16% in meno degli uomini, come salario orario: in soldoni, per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna guadagna cioè 84 centesimi, e più si avanza con l’età più la differenza aumenta. Una riduzione del 50% del gender gap nelle economie OCSE contribuirebbe a un aumento del PIL di circa il 6%, con un ulteriore 6% se il gender gap fosse completamente annullato.

«Sisterpreneurs è una Community dedicata alle donne imprenditrici. È uno spazio sicuro, professionale e ispirante, dove ci si può confrontare senza giudizio, chiedere aiuto, condividere successi e fallimenti».

Quali sono gli obiettivi?

«Sviluppare la leadership femminile nell’innovazione, facilitare l’accesso a risorse, capitali e network, promuovere una cultura imprenditoriale più inclusiva. Vogliamo che ogni donna possa sentirsi legittimata a fare impresa e a trovare gli strumenti per farlo bene».

Come si arriva a mettere a terra un progetto come questo?

«Dopo esperienze in Italia, in Sud America, Africa Sub Sahariana e Middle East, ho lavorato con Startup, fondi di investimento, acceleratori e aziende, spesso nel ruolo di ponte tra Mondi diversi: tecnico e umano, privato e pubblico, profit e purpose. Sono convinta che l’impatto si possa generare solo creando connessioni vere tra persone e contesti. Oggi lavoro in un fondo di investimento europeo e continuo a coltivare la mia passione per le Community e la rigenerazione dei sistemi, con un’attenzione particolare all’empowerment femminile e alla sostenibilità».

Essere donna aumenta le sfide da superare?

«È stimolante, ma non sempre inclusivo. Spesso si ha la sensazione di dover “provare qualcosa in più” per essere ascoltata o presa sul serio. Ma questo non significa che sia un Mondo da evitare, anzi. È proprio nei contesti in trasformazione che si può incidere davvero. Ho imparato a scegliere le stanze in cui entrare e a costruirne di nuove, se necessario. La rete tra donne è fondamentale: non per escludere, ma per rafforzare. E la mia esperienza mi ha insegnato che il futuro dell’innovazione sarà più umano solo se sarà anche più equo».

Investire nelle quote rosa è anche un’opportunità finanziaria…

«Non è solo una questione di equità, è una scelta strategica. Diversi studi dimostrano che le aziende guidate da donne hanno performance pari o superiori alla media, soprattutto in termini di efficienza nell’uso delle risorse e resilienza. Inoltre, diversificare i team fondatori porta a soluzioni più innovative e capaci di rispondere a Mercati più ampi. Ignorare il talento femminile significa lasciare sul tavolo valore economico. Le quote rosa non sono un favore, ma un’opportunità concreta per chi vuole costruire un portafoglio più solido, lungimirante e rappresentativo del Mondo reale».

Come si supera il divario di genere?

«Serve un’azione sistemica e multilivello. Da un lato, politiche pubbliche che incentivino la partecipazione femminile in economia e tecnologia; dall’altro, un cambiamento culturale che inizi dalle scuole e arrivi ai board. Ma serve anche il coraggio individuale di cambiare narrazioni: basta con il mito della superdonna o della “unica al tavolo”. Dobbiamo normalizzare la pluralità di modelli di leadership. E poi c’è il potere delle alleanze: uomini consapevoli, reti tra pari, mentoring trasversali. Superare il gender gap significa creare ecosistemi più giusti e, di conseguenza, più competitivi per tutti».

L’Italia come si posiziona rispetto all’estero?

«Il nostro Paese ha ancora molta strada da fare, soprattutto sul fronte dell’accesso al capitale e della rappresentanza femminile nei ruoli apicali. Ma non mancano segnali positivi: sta emergendo una nuova generazione di imprenditrici e investitrici determinate a cambiare lo Status quo. Rispetto ad altri Paesi europei, il nostro tessuto imprenditoriale è meno strutturato ma spesso più creativo e resiliente. Ciò che serve ora è un sistema di supporto più solido: Policy mirate, investimenti Patient capital e una narrazione più moderna e concreta del ruolo delle donne nell’innovazione».

Che sfide affronta una donna imprenditrice?

«Le sfide sono molteplici: accesso limitato a capitali, bias impliciti nei confronti delle leadership femminili, difficoltà nel bilanciare vita privata e professionale in un contesto ancora poco flessibile. Spesso manca anche un network solido cui appoggiarsi nelle fasi cruciali. E poi c’è il tema dell’autolegittimazione: molte donne sentono di dover essere “perfette” prima di lanciarsi. Ma la realtà è che il Mondo dell’impresa premia chi sperimenta, sbaglia, si rialza. Cambiare mentalità, dentro e fuori di noi, è il primo passo per affrontare queste sfide con più forza e consapevolezza».

Come gestirle?

«Con una combinazione di consapevolezza, alleanze e strumenti concreti. Serve imparare a chiedere aiuto, a fare rete in modo intenzionale, a coltivare il proprio capitale relazionale. La formazione continua è fondamentale, così come la capacità di gestire l’energia, non solo il tempo. Una buona imprenditrice oggi è anche una buona manager di sé stessa. E poi, non si può fare tutto da sole: scegliere i partner giusti, costruire team che condividano la visione e affidarsi a chi ha già affrontato certe sfide può fare la differenza. Le Community come Sisterpreneurs servono a questo».

Cosa erediteranno le nuove generazioni?

«Dipende da noi. Se oggi riusciamo a costruire modelli di leadership più inclusivi, relazioni economiche più eque e spazi imprenditoriali più accessibili, le nuove generazioni erediteranno un Mondo in cui essere donna non è più un ostacolo, ma una leva. Più che parole, servono pratiche quotidiane che ispirino fiducia. Vogliamo che le nostre figlie e sorelle crescano pensando: “Io posso”, e che nessuno si permetta più di metterlo in dubbio».     

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📸 Credits: Canva.com

Determinata, ambiziosa, curiosa e precisa. La passione per il giornalismo mi guida fin da bambina. Per Il Bollettino mi occupo di Startup, curo le interviste video ai player del settore e seguo da anni la realtà delle PMI.