venerdì, 26 Aprile 2024

Bioeconomy: il Sud vale 17 miliardi e traina il mercato

Bioeconomy

È il Meridione a trainare maggiormente il comparto biologico italiano. La metà della superficie bio dello stivale si trova in quattro regioni, di cui tre fanno parte del Mezzogiorno: Sicilia, Puglia e Calabria. «Nonostante le difficoltà strutturali e organizzative del sistema imprenditoriale, il Sud può giocare un ruolo chiave nel processo di crescita del Paese, a partire dai prodotti esportati ed esprimere un valore aggiuntivo che potrebbe attestarsi sui 17 miliardi di euro per l’intero Meridione», dice Dino Scanavino, Presidente nazionale Cia-Agricoltori Italiani. «L’Italia, va ricordato, è leader del settore in Ue con 80 mila operatori e oltre 2 milioni di ettari coltivati. Bisogna riconoscere al comparto il ruolo di driver principali per la transizione del sistema agroalimentare verso la sostenibilità. Il biologico deve diventare protagonista prima di tutto del PNRR, accompagnato da risorse e progetti specifici e sostenuto da innovazione e ricerca».

Dopo aver chiuso il 2019 con un incremento dell’1,4%, nel 2020 la bioeconomia in Italia ha perso nel complesso il 6,5% del valore della produzione, un calo inferiore rispetto a quanto segnato dall’intera economia (-8,8%). Come ne uscirà nel post Covid-19?

«Il peso della bioeconomia in termini di produzione è di fatto salito al 10,2% rispetto al 10% del 2019 e al 9,9% del 2018. La filiera agroalimentare con oltre il 60% del valore della bioeconomy, ha retto i colpi della pandemia, catalizzando un cambio di approccio in stili di vita e consumi alimentari e accelerando culturalmente, ma non solo, il processo per la sostenibilità, così come sollecitato dall’Europea con il Green Deal e ancora prima dall’Agenda 2030 Onu. Il percorso è lungo e deve partire necessariamente da un’idea di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, riconoscendo centralità al reddito degli agricoltori, prerequisito fondamentale per cogliere le opportunità del PNRR e avviare la transizione green Ue».

Quale ruolo avrà nella sostenibilità delle zone rurali? Quanto possono incidere i finanziamenti Pac?

«Sicuramente un ruolo strategico. Cia, tra l’altro, le pone al centro di un cambiamento necessario a tutto il territorio nazionale, e ancora più urgente con la pandemia, così come già evidenziato nel progetto “Il Paese che Vogliamo”».

Entriamo più nello specifico

«La rilevanza della bieconomia lungo la dorsale appenninica italiana risiede, in primo luogo, proprio nella sua connessione con il territorio e le sue produzioni più tipiche, tenuto anche conto del ruolo trainante che la multifunzionalità sta svolgendo da anni proprio in queste zone. Le aree interne sono il cuore della promozione agricola e agroalimentare Made in Italy attraverso i prodotti della terra, ma anche l’attività agrituristica che concorre sempre di più alla tenuta dei piccoli borghi d’Italia e, quindi, alla sostenibilità economica e sociale di molte comunità costantemente a rischio spopolamento».

L’industria tessile bio-based e l’abbigliamento bio-based hanno registrato nel 2020 un calo rispettivamente del 20,5% e del 33,5%. Quanto investire nei prossimi mesi per recuperare?

«Dal 2019 Cia ha all’attivo un progetto che, oggi, alla luce del Green Deal Ue e della crisi pandemica, riteniamo sfidante, strategico e attrattivo di importanti investimenti. La filiera che punta su agricoltura e moda ecofriendly è arrivata a valere sui 30 milioni di euro, dimostrando che il tessile Made in Italy 100% ecosostenibile può essere una leva economica importante, in grado di contribuire alla transizione green con produzione di tessuti naturali e tinture ecologiche realizzate con prodotti e scarti agricoli. Cia crede in questo processo a tal punto da aver lanciato il marchio registrato Agritessuti per rispondere a un interesse forte di tante buone pratiche di imprese agricole su cui occorre puntare i riflettori e richiamare l’attenzione delle istituzioni. La filiera degli Agritessuti va incoraggiata coinvolgendo, per esempio, le tremila imprese produttrici di piante officinali e, in senso più ampio, lavorando con il Ministero Delle Politiche Agricole Alimentari E Forestali per sostenere la produzione di fibre naturali».

Lo sviluppo di un sistema a basse emissioni di gas serra a minore impatto ambientale richiede una significa diminuzione nell’utilizzo di risorse fossili. In questo quadro, quale ruolo avrà la chimica bio-based?

«In futuro bisogna superare la logica dei sussidi alle fonti fossili per promuovere in modo più strutturato le rinnovabili, come le biomasse legnose che possono contribuire a ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera tra l’89% e il 94% rispetto ai combustibili fossili tradizionali».

In tutti i Paesi europei il valore della bioeconomy ha evidenziato un calo meno rilevante rispetto al totale dell’economia (-4,3% nel Regno Unito, -3,1% in Germania, -3% in Spagna, -2,3% in Francia e +3,3% in Polonia). Quali investimenti sono necessari in futuro in Europa per sostenerla?

«Avrà futuro se ci sarà, già nel breve periodo, una reale condivisione di intenti e una chiara adesione nelle azioni di tutti i Paesi membri. Il primo investimento deve essere fatto sull’approccio culturale a questa realtà. Un processo che deve necessariamente prevedere investimenti importanti in ricerca scientifica e tecnologica in campo agricolo, a supporto tangibile delle imprese del settore che solo con soluzioni accessibili potranno davvero guidare da protagonisti la transizione. Priorità a garanzie di reddito, accesso al credito e supporto nella gestione del rischio, senza dimenticare l’agricoltura 4.0, asset fondanti di un percorso di reale crescita per il settore e l’Europa in chiave green e digitale, dove la sostenibilità ambientale deve andare di pari passo con quella economica e sociale». ©

Mario Catalano

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Credits: Annie Spratt – unsplash.com