Quanto e come investire nel risparmio gestito sono incognite che oggi non trovano facile soluzione. Perché a far tremare i portafogli sono scossoni violenti che sembrano destinati a ripercuotersi a lungo sui nostri mercati. Mercati che, però, sembrano aver retto meglio del previsto alla pandemia e alla guerra tra Russia e Ucraina: due imprevedibili accadimenti globali, alla base della crisi economica che potrebbe acuirsi ulteriormente con il prolungarsi di queste situazioni. Per questo si susseguono le stime al ribasso – rispetto alle precedenti aspettative – della crescita del PIL mondiale.
Tutto nella norma, se si contestualizza, ma ciò non rassicura chi deve portare a termine progetti di sviluppo o cominciare sfide impegnative. Se accettiamo con ironia che Del doman non v’è certezza, infatti, più difficile di questi tempi è riuscire a essere lieti. «Oggi la guerra tra Russia e Ucraina mette in difficoltà la ripresa e le attese sono diminuite rispetto a quelle che avevamo prima dello scoppio del conflitto. Per questo il risparmiatore è un po’ timoroso», dice Cinzia Tagliabue, Ceo Amundi SGR e Vice Presidente Assogestioni.
I dati del Fondo Monetario Internazionale
Non rassicurano di certo i dati diffusi dal World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale: quest’anno la crescita globale si fermerà al 3,6%. Le stime per l’Italia – dichiarata a rischio recessione con Francia e Gran Bretagna se ci sarà lo stop al gas russo – indicano un PIL al 2,3% nel 2022 rispetto al 3,8 stimato a gennaio; nel 2023 ci fermeremo all’1,7 con una riduzione dello 0,5 sul periodo pre bellico; 1,3 nel 2024. I crolli maggiori saranno nei Paesi in guerra: l’Ucraina -35%; la Russia in calo dell’8,5 quest’anno e del 2,3 nel 2023; la Bielorussia andrà giù del 6,4. Il vero pericolo però è l’inflazione, al livello più alto da 40 anni, unita a un mercato del lavoro in difficoltà. Per il 2022, l’aumento dei prezzi è stimato al 5,7%: nell’Eurozona il dato specifico è del 5,3.
«Un po’ di preoccupazione c’è sempre: con lo scoppio della pandemia si sono fermati gli investimenti sia da parte del mondo imprenditoriale sia da parte delle famiglie. A riprova di ciò c’è l’ingente liquidità sui conti correnti: 1700 miliardi, il massimo storico. Ma i mercati finanziari hanno registrato risultati comunque positivi, quindi i risparmiatori che hanno dato fiducia hanno potuto conseguire ritorni interessanti in questi ultimi due anni, lavorando su diversificazione e su controllo del rischio».
I tassi erano anche negativi…
«Sì, per cui non c’era un ritorno dalla liquidità sul conto corrente e questo ha indotto – pur nel timore per l’incertezza del futuro – a investire nel risparmio gestito. I mercati stanno ancora dando dei buoni risultati».
La guerra cambia le strategie
Oggi, visto il cambio della situazione, c’è anche una diversa strategia per la formazione dei portafogli rispetto al pre conflitto?
«Alla base c’è sempre la diversificazione e quindi l’investimento in diverse asset class e, soprattutto, il rispetto del profilo rischio-rendimento e dell’orizzonte temporale del cliente. Questi sono i mantra da cui non dobbiamo mai discostarci per una corretta allocazione di portafoglio. È chiaro che con questo nuovo scenario di inflazione e crescita in rallentamento i portafogli sono stati rivisti».
Come?
«Sicuramente con una preferenza maggiore per l’investimento azionario. Il mondo obbligazionario, in una fase di rialzo dei tassi di interesse e quindi di discesa dei prezzi dei bond, è penalizzato. Abbiamo riscontrato una maggiore domanda per l’azionario americano rispetto all’europeo – una sorta di Flight to Quality – perché l’economia statunitense è meno esposta alla crisi energetica, alla carenza di materie prime e all’aumento del costo di determinate commodity. E poi ci sono opportunità nei mercati emergenti ma, poiché non sono un unico blocco anzi, la situazione è estremamente frammentata, bisogna adottare un approccio selettivo. Noi ad esempio siamo positivi sui paesi dell’America Latina che esportano materie prime (Brasile) e sugli Emirati Arabi, mentre siamo prudenti sulle Filippine».
E le Banche centrali?
«Saranno meno accomodanti rispetto al passato, in cui c’è stata una grande immissione di liquidità sul mercato. Avremo delle politiche monetarie più restrittive, ma che verranno gestite con gradualità. Visto il contesto bisogna essere cauti e inflazione e crescita vanno entrambe monitorate».
I giovani pensano alla pensione
Sembra esserci un incremento di interesse per la finanza da parte dei giovani, come è cambiato l’investitore negli ultimi due anni?
«L’Italia è un popolo di risparmiatori, ma la ricchezza è ancora nelle mani delle persone più avanti negli anni e i giovani sono esposti a maggiori difficoltà tra contratti di lavoro discontinui e mutui da pagare… quindi fanno fatica a risparmiare, però ci sono due aspetti importanti da valutare: registriamo una maggiore consapevolezza sul tema previdenziale da parte loro – quindi cresce l’investimento in fondi pensione aperti che consentono di effettuare investimenti di lungo periodo con la finalità di colmare il gap previdenziale, ossia la differenza tra pensione pubblica e il reddito conseguito con le ultime retribuzioni, quando sarà il momento di andare in pensione;…».
Questo è dovuto anche al mercato del lavoro che non offre garanzie
«I giovani sono consapevoli che devono cominciare a costruirsi un piano di risparmio con finalità previdenziali. Il secondo punto, dicevamo, è che i giovani sono molto attratti dagli investimenti sostenibili e lo verificheremo ulteriormente con i nuovi questionari Mifid che entreranno in vigore con l’estate».
Più Welfare e green nei portafogli
Che cosa li interessa esattamente?
«Sono sicuramente molto attenti non solo al tema ambientale e climatico, ma anche a quello che riguarda il sociale. I giovani accolgono quindi con molto favore l’offerta sempre più ampia di fondi di investimento sostenibili che rispondono al loro bisogno di agire per il bene del pianeta e per creare una società più equa e di fondi a impatto che promuovono il raggiungimento di specifici obiettivi di sviluppo sostenibile misurati attraverso metriche rese note e rendicontate periodicamente».
Di impatto sul sociale se ne parla meno, non trova?
«Sicuramente, perché è di maggiore immediatezza e di più facile misurazione trattare dell’ambiente: il climate change, la riduzione di CO2, le energie rinnovabili, la tutela della biodiversità e la salvaguardia del mare sono argomenti che hanno catturato l’attenzione degli investitori perché è chiaro che abbiamo di fronte degli obiettivi precisi, come l’impatto zero entro il2050. Ma la pandemia ha portato un grande focus sul tema della sanità».
Ci spieghi meglio…
«La ricerca in ambito sanitario, il settore farmaceutico e soprattutto il settore relativo all’assistenza alla terza età e alle persone fragili sono stati determinanti nell’evoluzione della pandemia e della sua gestione e hanno dimostrato l’importanza di disporre di un sistema di welfare che possa supportare e accompagnare le famiglie. E poi c’è il terzo tema di investimento: il sociale. Sempre a causa della pandemia abbiamo visto acuirsi disuguaglianze sociali già presenti. Pensiamo ad esempio alla DAD e al fatto che moltissime famiglie non disponevano dei supporti tecnologici necessari per permettere ai propri figli di partecipare alle lezioni a distanza: c’è stata una rifocalizzazione su come debba essere impostata l’istruzione».
Poi c’è il nodo energetico a pesare…
«Il tema del costo dell’energia, il potenziale blocco delle forniture dalla Russia che fa aumentare i prezzi e le bollette creerà ulteriore disuguaglianza e tensioni tra le classi sociali e quindi questo argomento sarà molto sentito anche nell’ambito degli investimenti».
Il confronto con l’estero
Le nostre aziende come si collocano rispetto a quelle di altri Paesi: siamo attrattivi anche per l’estero?
«Il mercato italiano nello scacchiere globale è molto piccolo. Devo dire però che c’è sempre più interesse da parte degli investitori esteri e questo grazie anche al Next Generation EU, che si declina poi nel PNRR per l’Italia, un’opportunità molto importante per le aziende italiane. Pubblico e privato però devono andare di pari passo, perché non sono sufficienti solo le risorse messi a disposizione del PNRR per realizzare la trasformazione di cui abbiamo bisogno.
A questo punto entrano in gioco anche gli investitori istituzionali, le società di gestione, i fondi pensione, le assicurazioni che possono contribuire a finanziare questi progetti insieme al pubblico. Vediamo che c’è interesse verso questi investimenti anche se sono di lungo periodo e non sono liquidi perché indirizzati verso società non quotate ma che potrebbero avere l’obiettivo di quotarsi prossimamente, oppure di fare operazioni di ristrutturazione, di aprirsi alle esportazioni, di fare un percorso di transizione ecologica, di maggior digitalizzazione o di trasferire la gestione dell’azienda alla generazione successiva – visto che abbiamo parecchie industrie del tessuto italiano di piccole e medie imprese familiari».
Eppure uno degli aspetti preoccupanti di queste realtà è che i capofamiglia ultrasettantenni a volte non sanno a chi lasciare l’azienda, perché figli e nipoti non vogliono continuare: quindi abbiamo un patrimonio che non riusciamo a tutelare con tutte le conseguenze di chiusure o vendite…
«In Italia abbiamo un tessuto di piccole e medie imprese radicate sul territorio che esprimono delle eccellenze riconosciute nei mercati internazionali: dal settore agroalimentare, alla meccanica, al lusso. Certo, alcune di queste aziende non sono coinvolte nel passaggio generazionale, però di contro vediamo che cominciano ad aprirsi ad azionisti estranei alla famiglia, quindi private equity».
Parlando con le associazioni di categoria, a spaventare sono gli stranieri con il conseguente rischio di smembramento o di trasferimento delle aziende
«Abbiamo visto concretamente che chi è venuto a investire in Italia, almeno per la maggior parte, ha continuato nell’attività, perché viene riconosciuta l’elevata specializzazione e anche l’innovazione del nostro mercato. L’Italia viene considerata un’economia dalle grandi potenzialità di ripresa, soprattutto dopo il rallentamento economico causato da Covid-19 e in virtù del recupero realizzato subito dopo».
Ammetterà che comunque non è emotivamente semplice, in una situazione di incertezza come questa, scommettere sul futuro. Il timore di non essere pronti ad affrontare investimenti e spese in aumento difficilmente può essere tenuto a bada: di che cosa c’è bisogno?
«Di fiducia. È infatti questo il tema centrale dell’edizione di quest’anno del Salone del Risparmio. Dobbiamo mettere in moto la ripresa e una delle cose di cui, in questo momento, abbiamo tutti bisogno è ricostruire la fiducia in un futuro più sereno, un futuro in cui si creda nella possibilità e nella capacità di prendere decisioni, di fare investimenti e soprattutto la fiducia nei confronti di chi può aiutare il risparmiatore a fare la corretta allocazione del proprio portafoglio. Bisogna pensare in un modo diverso, positivo, e modificare il proprio punto di vista sulla fiducia e sul ruolo che questa ricopre nelle nostre vite». ©