venerdì, 26 Aprile 2024

Il nucleare avanza, ma come smaltire le scorie?

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La crisi energetica mette il nucleare al centro del dibattito, ma c’è un grande assente: lo smaltimento delle scorie. Mancano i luoghi di stoccaggio dei rifiuti di alto livello, che da soli contengono il 99% di tutta la radioattività artificiale, che dura migliaia di anni. Per questo motivo, la soluzione che gli esperti considerano più sicura è seppellirli dentro bunker costruiti in aree isolate e non sismiche. Si tratterebbe di circa 263 mila tonnellate nel mondo che sono in attesa di smaltimento definitivo. Ad oggi, l’unico deposito geologico profondo esistente è in Finlandia, a Olkiluoto, dove sorge l’ultima centrale realizzata, costata 11 miliardi di euro.

Il Deposito Nazionale, a che punto siamo

Una centrale nucleare produce rifiuti di tre livelli, a seconda della durata e dell’energia emessa: basso, intermedio e alto. I primi dopo poche decine di anni diventano inerti e possono essere smaltiti senza particolari problemi. I rifiuti di livello intermedio richiedono secoli prima di perdere la propria radioattività. Le prime due tipologie di scarti possono essere conservate in sicurezza all’interno di depositi di superficie. In Italia si parla da anni della possibilità di costruire un Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi. la costruzione del Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi. Un’opera di cui si parla spesso per le potenzialità in termini di creazione di posti di lavoro e messa in sicurezza delle scorie, ma è ancora tutto fermo.

L’ultimo aggiornamento risale a marzo, quando Sogin (società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti) ha inviato al Ministero della Transizione Ecologica la proposta di Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI). L’opera richiederà 4 anni per la costruzione e un investimento complessivo di 900 milioni di euro, finanziati dalla componente A2RIM della bolletta elettrica, che oggi copre i costi di smantellamento delle ex centrali nucleari.

Solo dal 2010 al 2021 gli italiani hanno destinato 3,9 miliardi di euro a questo scopo. In totale, dal 1987 abbiamo speso l’equivalente di circa 20 miliardi di euro. Si stima che ritardare la costruzione di questa infrastruttura costerebbe tra 1 e 4 milioni di euro l’anno per ciascun sito in cui è attualmente presente un magazzino temporaneo. Cifra che tiene conto solo degli oneri di esercizio e manutenzione. Secondo il progetto, il deposito in superficie conterrà 90.000 metri cubi di rifiuti di livello basso e intermedio, che vi rimarranno per 300 anni. Il tempo necessario a renderli inerti.

Nucleare, come gestire le scorie radioattive

Le scorie, i rifiuti di alto livello, non potrebbero però esservi confinate in piena sicurezza. La Svezia ha avviato lo scorso anno la costruzione di un deposito geologico profondo, mentre Svizzera, Francia e Regno Unito lavorano a progetti in fase avanzata.

Lo stoccaggio nelle profondità della Terra è una soluzione adottata già oggi per alcuni rifiuti industriali tossici. Questa pratica si può accompagnare a processi chimici, ancora poco diffusi a causa degli alti costi, che permettono il riciclo di diversi elementi detti “transuranici”. La maggior parte di questi possono infatti essere rotti per ottenere energia.

Tecnologia e know-how non mancano, al contrario della lungimiranza.

E in Italia?

Anche in Italia si torna a parlare di nucleare. Una fonte che prometterebbe vantaggi in termini di stabilità della rete, indipendenza energetica e sostenibilità. Le centrali sono dette base-load poiché garantiscono una fornitura di elettricità costante e a buon mercato. Inoltre, per il Gruppo Intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), gli impianti di ultima generazione emetterebbero un massimo di 110 gr di CO2 per kilowattora (kWh), contro i 650 del gas, i 420 delle biomasse e i 180 del solare. L’Agenzia tedesca per l’ambiente rileva però che i numeri cambierebbero radicalmente se consideriamo l’intero ciclo di vita delle infrastrutture. In questo caso, una centrale rilascerebbe il triplo delle emissioni rispetto al fotovoltaico, 13 volte in più rispetto all’eolico.

Il nostro Paese, un tempo leader nel settore, ha ancora le capacità industriali e le conoscenze scientifiche per intraprendere nuovamente questa strada. ENEA e le università hanno conservato il proprio know-how, nonostante il taglio dei fondi per la ricerca. Ancora oggi esportiamo il nostro expertise, grazie a aziende quali Eni, Enel e Ansaldo, che hanno continuato a progettare e realizzare reattori all’estero.

Ci sono davvero possibilità di sviluppo del nucleare?

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) stima che a livello globale, il contributo del nucleare al futuro mix di generazione elettricità si fermerebbe all’8%, all’interno dello scenario che punta a 0 emissioni al 2050 (Net Zero Emission 2050). Una percentuale minore rispetto all’attuale 10%, il restante 90% verrebbe invece coperto da rinnovabili. A livello europeo si prevede che la quota possa diminuire dal 25 al 15% della produzione elettrica. L’Europa potrà contare sugli incentivi per la realizzazione di impianti di IV generazione (small modular reactors, SMR), legati all’inclusione del nucleare nella tassonomia green europea. Queste infrastrutture sono più sicure e producono meno rifiuti rispetto agli impianti attualmente in funzione, molti dei quali sono quasi a fine vita. L’età avanzata delle centrali è un problema che interessa particolarmente la Francia, dove il nucleare copre il 70% del fabbisogno elettrico nazionale.

USA, Cina e Giappone accendono i reattori

Cina, Gappone e Stati Uniti sono in prima linea nella corsa al nucleare, una fonte che attira sempre più l’attenzione degli investitori. Il Primo Ministro giapponese ha annunciato che il Paese riattiverà le centrali inattive e valuterà la possibilità di costruire reattori di ultima generazione.

Da qui al 2035 la Cina ne costruirà ben 150, per un investimento totale di circa 440 miliardi di dollari. Nella Provincia di Shandong è già attivo un progetto innovativo. L’impianto di Haiyang fornisce infatti calore per la rete di teleriscaldamento cittadina.

Anche gli Stati Uniti stanno puntando in maniera importante sul nucleare. A luglio, il Governo Federale ha approvato il Civil Nuclear Credit Program, che stanzia 6 miliardi di dollari per supportare la continuità operativa dei reattori (93), attualmente la maggiore fonte di energia green del Paese. Si stima che una centrale su 4 rischi di chiudere per ragioni economiche, parliamo di quasi 15 delle 55 infrastrutture che hanno una capacità di circa 95 mila megawatt. Altri 600 milioni di dollari finanzieranno la ricerca e lo sviluppo degli small modular reactors per testarne le potenzialità su larga scala.

Photo by gjp311 via Canva.com

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