Il mercato interno cresce e la domanda di prodotti nazionali all’estero sembra reggere, complice l’aumento del prezzo medio provocato dall’inflazione. Le notizie sul mercato del vino sarebbero anche buone, visto che, oltretutto, siccità e caldo record non sembrano aver compromesso la qualità e la produzione dei vigneti nazionali. C’è, però, una nota negativa che è rappresentata dal calo dei consumi nella grande distribuzione. È quanto emerge dalle previsioni vendemmiali di Unione italiana vini, Osservatorio Assoenologi e Ismea.
«Il mercato interno di vino risente della pessima congiuntura economica nazionale ed europea. L’inflazione schizzata a +8,4% e il conseguente calo del potere d’acquisto degli italiani si fanno sentire anche per il comparto vitivinicolo», spiega Cristiano Fini, Presidente di Confederazione italiana Agricoltori (CIA). Inoltre, le uve apirene, di qualità inferiore, compromettono il consumo delle varietà italiane. La grande distribuzione spinge per contratti al ribasso, con prezzi tra 0,80 €/kg e 0,90 €/kg, la metà rispetto alla scorsa stagione. A pagarne gli effetti sono le piccole aziende, che sarebbero a rischio chiusura.
Quali sono le conseguenze economiche, per la filiera e il mercato vinicolo nazionale, della direttiva dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “European framework for action on alcohol 2022-2025”? Il documento propone modifiche a prezzo, disponibilità, marketing, etichettatura, risposta dei sistemi sanitari, azione comunitaria e ruolo dell’Europa.
Tornerà il proibizionismo?
«Folle equiparare il vino alle sigarette, con l’obiettivo di tagliare il 10% dei consumi di alcol entro 3 anni. Inoltre, la risoluzione dell’OMS rischia di mettere seriamente in crisi il comparto vitivinicolo europeo, che solo in Italia conta 1,2 milioni di addetti e un surplus commerciale con l’estero di circa 7 miliardi di euro annui. Dopo gli attacchi alla carne e agli insaccati, quanto sta accadendo per il settore vitivinicolo mostra all’orizzonte un nuovo proibizionismo e lo spettro di danni enormi per la filiera. Potrebbero arrivare da un aumento di tassazione o di divieti su pubblicità e promozione del vino. Peggio ancora da un’etichettatura di forte impatto sulle bottiglie, come avviene per le sigarette».
Quanto deve preoccupare il calo della domanda nazionale di vino?
«Preoccupa che nel primo quadrimestre 2022 le vendite totali di vino nella grande distribuzione abbiano subito un calo del 9,6% rispetto allo stesso periodo del 2021 (dati NielsenIQ). Ma per il mercato registriamo anche che l’Italia ha chiuso il primo semestre con il record di 3,8 miliardi di euro di valore (+13,5% sullo stesso periodo del 2021). Resta fermo, però, il trend dei volumi esportati: +0,4%. Nel frattempo, la produzione del 2022 dovrebbe attestarsi intorno ai 50,27 milioni di ettolitri di vino. Questo dimostra la grande resistenza del settore alla siccità e confermando il primato produttivo tutto italiano (Osservatorio Assoenologi, Ismea e Uiv).
Dunque, abbiamo una grande responsabilità nei confronti del comparto vitivinicolo che necessita, come tutta l’agricoltura, di interventi strutturali e mirati, a tutela di un’eccellenza del nostro Made in Italy, riconosciuta anche Patrimonio Unesco, tesoro culturale immateriale dell’umanità. Inoltre, rispetto alla risoluzione dell’OMS, occorre salvaguardare e ribadire un concetto chiave: il consumo moderato di vino è sempre stato un fattore caratterizzante della Dieta Mediterranea, come gli stessi italiani sanno, dimostrando sempre più attenzione e consapevolezza. Non si può permettere che il rapporto di fiducia con il consumatore venga, dunque, incrinato da campagne proibizionistiche».
Cosa fare per contrastare l’inflazione e i rincari, garantendo la sostenibilità economica e sociale del settore vitivinicolo?
«Tra le necessità del settore c’è sicuramente la sterilizzazione degli aumenti del costo dell’energia e l’introduzione urgente di misure eccezionali di supporto e di flessibilità analoghe a quelle introdotte per fare fronte alle difficoltà causate dalla pandemia. Dal 2019 a oggi, infatti, anche il settore non è stato al riparo dalle misure di ritorsione americane sui vini europei nell’ambito della disputa Boeing-Airbus, dall’emergenza Covid con la chiusura dell’Horeca, dalla successiva crisi dei mercati e dalle ripercussioni della guerra in Ucraina, tra cui la più recente inflazione.
Senza dimenticare gli effetti dei cambiamenti climatici. Inoltre, tutto ciò rafforza ulteriormente l’importanza di salvaguardare la politica di promozione come strumento per garantire la competitività dei vini.
È fondamentale preservare le norme sull’etichettatura nutrizionale e sulla lista degli ingredienti già decise nel quadro dei regolamenti Pac, inclusa l’etichetta digitale. Bisogna poi chiedere agli Stati membri e alla Commissione europea di opporsi alla proposta irlandese sugli health warnings, presentando un parere circostanziato nel quadro della procedura TRIS. Serve un’azione europea.
Il mercato del vino
L’indice Ismea indica una crescita del mercato del 12% rispetto alla campagna precedente. I vini bianchi trainano lo sviluppo (+19%), seguiti dai rossi (+9%). I prezzi medi alla produzione dei vini Doc-Docg sono cresciuti del +17%, con i bianchi in testa (+20%), secondi i rossi (+16%). Si conferma la performance positiva degli spumanti. 1 miliardo di euro di valore (+25,5%) e +10,6% nei volumi. Cresce anche il valore di vini fermi e frizzanti imbottigliati (+10,3%). Diminuiscono però i volumi (1,2%).
L’inflazione provoca un aumento esponenziale del prezzo medio (+13,1%). Rincaro che negli Stati Uniti, nostro primo buyer mondiale, tocca quota +18%. Questo determina un aumento dell’export Italia-USA del 13,3%, che compensa la contrazione dei volumi del 3,8%. La produzione crescerà in Valle d’Aosta (+10%), Trentino Alto Adige (+10%), Emilia Romagna (+4%), Toscana (+12%), Umbria (+10%), Marche (+5%), Lazio (+5%), Campania (+4%), Puglia (+3%), Basilicata (+10%), Sardegna (+15%). Calo atteso invece per Piemonte (-9%), Lombardia (-20%), Veneto (-3%), Liguria (-5%) e Sicilia (-5%). ©