giovedì, 25 Aprile 2024

Climate Fintech, ecco come la finanza investe per salvare il Pianeta

Sommario

L’attenzione all’ambiente è in cima all’agenda delle nazioni. L’Europa spinge per una riduzione dell’impronta carbonica fino al net zero fissato al 2050. Gli Usa e la Cina seguono con strategie altrettanto ambiziose. Gli investitori d’altro canto chiedono sempre più sostenibilità in portafoglio (la Global Sustainable Investment Review misura che gli investimenti ESG pesino per il 36% degli attivi globali in gestione, pari a un valore di 35,3 trilioni di dollari, più del doppio rispetto al 2016). Le industrie energivore (cemento, carta, acciaio) sono in prima linea nel fronte di chi cerca di ridurre le emissioni e combattere il cambiamento climatico.

E la finanza che fa?

La finanza fa la sua parte e ha cominciato ad affrontare questa sfida verso un’economia più sostenibile. Sia quella tradizionale sia quella tecnologica, sono entrambe impegnate nelle azioni mirate alla riduzione dell’impronta carbonica. Del resto, il consumo energetico dell’industria bancaria supera i 250 Twh (terawatt) all’anno. Ma i risultati sono visibili. La situazione italiana, per esempio, non pare essere così critica come in altre nazioni. Per Banca d’Italia, per esempio, tra il 2018 e il 2021, l’impronta carbonica delle azioni del suo portafoglio, che ha un valore di 16 miliardi, è crollata del 60% e risulta inferiore del 37% rispetto al benchmark così come viene confermato dal primo Rapporto sugli investimenti sostenibili e sui rischi climatici. 

Ma anche nel resto del mondo i grandi protagonisti della finanza globale aumentano il livello dei propri impegni a favore del clima. L’American Bankers Association spinge i principi per la transizione verso un’economia a bassa impronta di carbonio. 

Goldman Sachs ha aderito a un’iniziativa open source sui dati climatici. Il governo del Regno Unito ha stanziato 10 milioni di sterline per creare un hub di “finanza verde” a Leeds e a Londra. E procede la Net-Zero Banking Alliance, iniziativa lanciata da 40 banche europee e volta ad accelerare le strategie di decarbonizzazione riconoscendo il ruolo del settore finanziario nella transizione “green”. Tra i firmatari Hsbc, Santander, Bnp Paribas, Deutsche Bank, Credit Suisse e UBS.

Il Fintech e la lotta al climate change

E in tutto questo, il mondo Fintech che cosa sta facendo? Anche qui si muovono passi a favore della salvaguardia del pianeta. Missione probabilmente più semplice, in quanto si tratta di un’industria sostenibile, sia per il suo elevato tasso di digitalizzazione, sia per la minore mobilità e quindi minori emissioni legate ai trasporti, sia perché è un sistema flessibile, veloce, aperto all’innovazione. 

Tutto questo fa della finanza alternativa il luogo ideale per essere testa d’ariete nella lotta al cambiamento climatico. Non a caso al di là dall’Atlantico si inizia a parlare di climate fintech, ovvero una serie di prodotti e aziende Fintech incentrate sul clima.

Il comparto, può essere un valido supporto per mitigare il cambiamento climatico, avvalendosi delle società più green del settore. In pole position ci sono le challenger bank o neobanche, che sono decisamente più green di quelle tradizionali visti i loro modelli di business paperless e senza filiali. Alcune di esse si sono anche poste obiettivi di emissioni di carbone nette pari a zero e altre hanno lanciato varie iniziative per permettere ai loro clienti di perseguire uno stile di vita consapevole del clima. 

Stratup in prima linea

Sempre in ambito bancario, diversi fornitori di tecnologia, specialmente gli abilitatori dell’open banking, hanno collaborato con le banche per trasformare le app bancarie in consulenti ecologici, che supportano i clienti a tracciare automaticamente la loro impronta di carbonio e raccomandano anche modi per ridurla. Esistono poi numerose piattaforme di investimento che aiutano i clienti ad applicare parametri socialmente responsabili mentre prendono decisioni di investimento e permettono loro di gestire un portafoglio verde.

Non possono  mancare le startup che nascono proprio con l’obiettivo di contribuire al climate change. È il caso di Cooler Future, fintech finlandese che sta costruendo un’app di investimento in azioni al dettaglio incentrata sull’impatto climatico. Trine, sede in Svezia, consente invece ai suoi utenti di investire in energia fotovoltaica nei mercati emergenti, semplificando il processo e l’accesso e offrendo rendimenti interessanti. La startup Carbon Collective è un roboadvisor che costruisce portafogli a basso impatto climatico.

Altre fintech già consolidate puntano su prodotti con focus specifico. Come Stripe che ha lanciato Stripe Climate, che consente alle aziende clienti di reindirizzare parte dei loro ricavi verso quattro tecnologie emergenti incentrate sulla riduzione dell’impronta di carbonio, ma anche di condividere l’iniziativa e dunque comunicare le proprie credenziali climatiche ai clienti (fattore sempre più determinante nelle scelte di consumo): lo strumento è già globale e vi hanno aderito oltre 100 aziende in Europa.

Challenger banks

E infine ci sono le challenger banks come Atmos Financial che ha inserito nella sua gamma di offerta un conto di risparmio bancario “progettato per invertire la crisi climatica” attraverso investimenti in energia pulita effettuati per il tramite dei depositi. E da Stoccolma arriva infine Black, la carta di credito della startup Doconomy che si blocca se il valore delle emissioni generate dalle transazioni supera il limite per persona fissato dall’Ipcc. 

Aree importanti in cui gli impatti del Climate Fintech sono già visibili includono, per esempio, l’area della valutazione del rischio climatico: le piattaforme software-as-a-service basate su cloud che utilizzano big data, intelligenza artificiale (AI), machine learning e sensori abbinati alla tecnologia di telerilevamento, stanno aiutando le istituzioni finanziarie a mappare geospazialmente rispetto a specifici rischi climatici. 

Oltre a informazioni migliorate e trasparenti sui rischi finanziari che le autorità di regolamentazione e gli investitori devono affrontare, queste tecnologie aiutano gli utenti a prendere decisioni informate sul monitoraggio dei portafogli di prestiti. Migliorano inoltre la comparabilità delle offerte di prodotti “verdi” del mercato finanziario e la comprensione da parte dei mutuatari dei rischi lungo la catena di approvvigionamento.

Per esempio, le compagnie assicurative stanno investendo molto nella più recente tecnologia robotica e dei droni (vedi servizio a pag. 26) per fornire dati precedentemente non disponibili su agricoltura ed edifici. I rischi di inondazioni, innalzamento del livello del mare, deforestazione e incendi possono essere automaticamente presi in considerazione nei modelli climatici più recenti e nell’analisi dei rischi di progetti e investimenti, che incidono sull’allocazione e sul costo del capitale di rischio. I dati migliorano la sottoscrizione, assistono nello sviluppo di prodotti parametrici, eseguono la valutazione di perdite e danni e accelerano i pagamenti dei sinistri.

Il Climate Change Finance è coerente con l’European Green Deal, in quanto permette di incanalare gli investimenti verso attività e progetti sostenibili. Inoltre applicare il Climate Change Finance implica anche sposare i criteri ESG degli investimenti, in particolare la E di Environment. Investimenti che guarda caso hanno già il vento in poppa: gli asset in gestione ai fondi che rispettano criteri ESG sono triplicati dal 2015 e poco più delle metà di essi sono domiciliati nella zona euro. Inoltre, il completamento della capital market union dovrebbe dare un’ulteriore spinta alla finanza verde, promuovendo mercati dei capitali profondi e liquidi. ©