sabato, 5 Ottobre 2024

Chi sono le donne della moda: fatturati e performance

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Cresce il numero di donne nei consigli di amministrazione, ma sono ancora troppo poche quelle alla guida di aziende quotate. Anche nella moda. Ma esistono… Dalle veterane come Miuccia Prada, Donatella Versace o Alberta Ferretti, fino a Lavinia Biagiotti, Francesca Bellettini (CEO Yves Saint Laurent), Francesca Di Carrobio (AD Hermès Italia), Mena Marano (CEO di Arav Group, holding di Silvian Heach, John Richmond, MarcoBologna e Trussardi Bambino), Sabina Belli (CEO Pomellato), o Chiara Ferragni (AD e founder di TBS Crew srl e di Chiara Ferragni Brand e, dal 2021, Member of the board of directors del Gruppo Tod’s).

Degna di menzione, per quanto controverse possano essere reputate la sua figura e le sue affermazioni sul lavoro, anche Elisabetta Franchi, che partendo da zero ha tirato su un impero che nel 2021 ha toccato i 131 milioni di euro e che punta alla quotazione in Borsa. Mentre se entriamo nell’universo della bellezza c’è Cristina Fogazzi, per i più conosciuta come l’Estetista Cinica, che con il suo marchio VeraLab è schizzata da zero a 62 milioni di euro di fatturato in dieci anni. O ancora ClioMakeUp, azienda da 10 milioni nel 2020 creata dall’influencer del trucco Clio Zammatteo e Claudio Midolo e guidata al femminile, dalla CEO Elena Midolo.

Ma entriamo nel dettaglio di alcune di queste storie. Partiamo da un big name come Alberta Ferretti, che tra animo creativo e spirito imprenditoriale è riuscita a lasciare un segno nel sistema moda internazionale, fondando nel 1980 Aeffe S.p.A. Società per azioni, quotata alla Borsa di Milano e che oggi di fattura 352 milioni di euro (dati 2022). Il gruppo opera a livello internazionale nel settore della moda e del lusso ed è attivo nella creazione, nella produzione e distribuzione di un’ampia gamma di prodotti che comprende prêt-à-porter, calzature e pelletteria, lingerie e beachwear. Con un portafoglio di marchi che comprende Alberta Ferretti, Moschino, Philosophy di Lorenzo Serafini e Pollini.

Da dove è partito tutto? Da una passione per la moda coltivata nella sartoria che la madre possedeva a Cattolica (Emilia-Romagna). La sartoria ha chiuso nel 1965 e questo evento ha dato il via all’escalation della sua carriera. A 18 anni (1968) ha aperto a Cattolica il suo primo negozio, Jolly Shop. Nel 1974 la sua prima collezione e nel 1980 ha fondato con il fratello Massimo Aeffe. Nel 1981 ha aperto lo showroom a Milano e due anni più tardi le sue creazioni hanno debuttato sulle passerelle milanesi.

Un’altra grande storia è quella di Francesca Bellettini: l’italiana a capo di Yves Saint Laurent. Ovvero colei che è stata artefice del rebranding di YSL, quadruplicando i ricavi e portando la maison di Kering al miliardo di euro di fatturato. Classe 1970, nel 2003 approda nel colosso del lusso di François-Henri Pinault, lavorando prima per Gucci e poi per Bottega Veneta. Il punto di svolta arriva nel 2013, quando viene nominata Presidente e CEO di Yves Saint Laurent.

Cariche che ricopre tuttora a 10 anni di distanza. Francesca ha potenziato l’espansione della maison permettendo all’identità del brand di emergere ed evolvere, restando sempre fedele alla sua essenza. La ciliegina sulla torta nella sua carriera? Nel 2019 è stata insignita della Legion d’Honneur, il più alto riconoscimento della repubblica francese. Non a caso Francesca Bellettini è stata inserita nella classifica delle 25 donne più influenti al mondo stilata dal Financial Times. Mentre Le Monde l’ha soprannominata “la donna dal miliardo di dollari”.

Infine, Chiara Ferragni. Un nome che tutti, vuoi o non vuoi, conoscono. La prima, nonché la più famosa, imprenditrice digitale italiana. Si è praticamente inventata un lavoro che ancora nel nostro Paese non esisteva, e ha dato il via al fenomeno degli influencer in Italia. Recentemente si è messa a nudo con il suo monologo durante la 73esima edizione del Festival di Sanremo che l’ha vista nei panni co-conduttrice. E il fulcro del suo discorso era proprio rivolto all’empowerment femminile: «Da donna dovrai affrontare tante battaglie ma ricorda che essere donna non è un limite, dillo alle tue amiche e lottate insieme per cambiare le cose», ha affermato simulando un dialogo con se stessa bambina.

Una sfida vera e propria alla mentalità sessista, ancora così profondamente radicata nella nostra società. Anche se, a dire il vero, il cambiamento dovrebbe partire da uomini e donne insieme, attraverso la discussione, l’insegnamento e l’educazione al rispetto reciproco. In ogni caso, che piaccia o meno, Chiara Ferragni è l’emblema di una donna che si è fatta da sé. Con un patrimonio che secondo le ultime stime si aggirerebbe sui 40 milioni di euro, e che non ha mai escluso l’opzione di una futura quotazione della sua azienda.

Veniamo dunque ai dati, che dimostrano effettivamente quanto non sia ancora semplice per una donna scalare i vertici delle aziende. E quanto difficile sia stato per le imprenditrici citate e non. Stando al rapporto Consob sulla corporate governance delle società quotate: a fine 2021, la percentuale di donne con incarichi nei CdA ha raggiunto un nuovo record, a cui ha contribuito anche l’effetto delle normative sulle quote di genere.

Nello specifico, dal report si evince che la presenza femminile negli organi di amministrazione delle società quotate ha raggiunto il massimo storico osservato sul mercato italiano (41% degli incarichi), per effetto delle norme volte a riservare una quota dell’organo sociale al genere meno rappresentato. A fine 2021, le 131 imprese che hanno applicato la quota di genere dei due quinti, prevista dalla Legge n. 160/2019, contano nei propri CdA in media 4 donne, rappresentando quasi il 44% del board. Mentre nelle restanti società i dati sulla presenza femminile sono solo marginalmente inferiori. In linea con quanto osservato negli ultimi anni, rimane tuttavia limitato il numero di casi in cui le donne siedono sulla poltrona di Amministratore Delegato o di Presidente dell’organo amministrativo. Mentre risulta più diffuso il ruolo di consigliere indipendente.

Il Gender Diversity Index 2021 ci fornisce ulteriori dati. Lo studio, che ogni anno analizza la rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione e nei vertici aziendali delle più grandi realtà europee, afferma che nel 2021 solo il 35% dei membri dei CdA erano donne. Un aumento di un mero punto percentuale rispetto all’anno precedente. A livello apicale, l’assenza delle donne è ancora più evidente, con gli uomini che occupano l’81% delle posizioni. E su 668 aziende analizzate, un tanto misero quanto emblematico 7% (ovvero 50), è guidata da un’Amministratrice Delegata. Un miglioramento insignificante rispetto alle 42 AD donna del 2020.

Il rapporto rileva inoltre che le aziende guidate da una CEO donna hanno il doppio delle donne in posizione apicale (38%) rispetto alla media delle aziende (19%). Mentre nelle aziende guidate da un uomo le donne vengono selezionate solo per un 30% delle posizioni vacanti. Tutto ciò sembra un po’ paradossale, non solo perché i tempi sono cambiati e siamo nel 2023, ma anche perché lo dimostrano i fatti. Uno studio di Goldman Sachs afferma che dalla crisi del 2008 le aziende europee quotate, che hanno un maggior numero di donne in ruoli apicali, hanno performato meglio in Borsa, registrando una crescita media del prezzo delle azioni del 2,5% rispetto alle aziende a prevalenza maschile.

Insomma, il tetto di cristallo è ancora lì, ma la spinta per il suo smantellamento ha preso avvio. Adesso più che mai, le prime crepe sono già evidenti. A novembre 2022 è stata infatti scritta una pagina della storia su questa tematica: è stato dato il via libera definitivo dal Parlamento europeo alla Direttiva sulle donne nei Consigli di amministrazione. Una conquista sudata, che arriva dieci anni dopo la prima proposta. Per essere più specifici, entro la fine di giugno 2026, tutte le grandi società quotate nell’Unione europea dovranno adottare delle misure per incrementare la presenza delle donne nelle posizioni apicali.

Almeno il 40% dei posti di amministratore non esecutivo o il 33% di tutti i posti di amministratore dovranno essere occupati dal sesso “sottorappresentato”. «Dopo 10 anni dalla proposta della Commissione europea, ora avremo una legge europea sulla parità di genere nei consigli di amministrazione delle società. Il soffitto di vetro che impediva alle donne di accedere alle posizioni di vertice delle aziende è stato infranto. È un momento davvero storico e commovente», ha scritto su Twitter la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Con altrettanto entusiasmo si è espressa Evelyn Regner, correlatrice nonché Vicepresidente del Parlamento europeo, affermando: «L’adozione della direttiva Donne nei consigli di amministrazione è un importante passo avanti per la parità di genere. Stiamo finalmente dando alle donne un’equa possibilità di ricoprire posizioni di vertice nelle aziende e stiamo migliorando la governance aziendale. Le donne sono innovative, intelligenti, forti e capaci di fare molte cose. Stiamo eliminando uno dei principali ostacoli che le donne incontrano per ottenere i posti di comando: le reti informali maschili. D’ora in poi, la competenza conterà più che mai in una procedura di selezione, così come la trasparenza».

Articolo tratto dal numero del 1 marzo, per leggere il giornale abbonati! ©



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