La Serie A si prepara alla sfida sui diritti TV. Maggio sarà il mese decisivo per capire non solo quanto le squadre italiane incasseranno dalla vendita, ma anche quale sarà il futuro della principale fonte di guadagno del campionato italiano.
La Lega è divisa a metà tra una rivoluzione e il mantenimento dello status quo. L’entrata in gioco di banche d’investimento e di fondi potrebbe cambiare completamente lo scenario. Ma per accoglierle servono le infrastrutture adatte, prima su tutte una media company.
Intanto si attende dal governo l’assist sulla pirateria. Nel nostro Paese si stima che oltre 300 milioni di euro all’anno vadano persi a causa delle trasmissioni illegali delle partite del massimo campionato. La nuova legge dovrebbe portare benefici e una posizione contrattuale migliore per le squadre di Serie A verso i compratori dei diritti TV, ma l’approvazione definitiva non è ancora arrivata.
L’importanza dei diritti TV nel calcio
Per capire il motivo per cui questa partita sia così importante per il calcio italiano, bisogna analizzare il ruolo che la loro vendita ha nel mondo del pallone. Da anni ormai il ricavato è la principale fonte di introiti per ogni squadra di calcio e per ogni campionato. Il valore di una competizione, sia essa nazionale, europea o internazionale, si misura nella capacità degli organi che la governano di vendere la trasmissione delle sue gare alle emittenti.
La cifra a cui i diritti televisivi di un campionato vengono venduti non riguarda solo i guadagni diretti, ma anche il valore che le sponsorizzazioni hanno in quel contesto. Più sono stati pagati i diritti, più persone si prevede seguiranno le partite e, quindi, più varrà la pubblicità sulle maglie dei giocatori e sui cartelloni degli stadi.
Serie A alla periferia d’Europa
I numeri mettono quindi in fila i campionati europei e per la Serie A la situazione non è rosea. Nella stagione 2022/2023 la Lega ha ricavato 928 milioni dalla vendita dei diritti TV per le trasmissioni in Italia e 223 da quelli per quelle estere, per un totale di 1,15 miliardi di euro. Un risultato che ci pone quarti in Europa, dietro alla Bundesliga sia per valore del mercato interno (1,1 miliardi per il campionato tedesco) sia globale (1,3 miliardi). Soltanto all’estero le partite italiane valgono di più di quelle tedesche, ma di appena 23 milioni di euro.
Non c’è più paragone invece con La Liga. Il campionato spagnolo fa della sua caratura internazionale la sua forza, vendendo i diritti televisivi all’estero ad un prezzo di poco inferiore a quello del mercato interno. Il totale sfiora i due miliardi, il doppio del valore del campionato italiano. Un appeal internazionale che deriva anche dalla capacità di Real Madrid e Barcellona di vincere a livello europeo. La Champions League è vetrina fondamentale per un campionato e le italiane non la vincono dal 2010, quando l’Inter di Mourinho strappò la coppa dalle grandi orecchie al Bayern Monaco. Da allora il bottino nella massima competizione europea recita due finale perse.
A farla da padrone, in maniera indiscussa nell’ultimo decennio, è la Premier League inglese. Il solo mercato interno sfiora i due miliardi di euro di valore, eclissando da solo tutti gli altri campionati europei. Ma è all’estero che l’appeal della Premier è evidente: le partite delle squadre inglesi valgono di più fuori dal Regno Unito che in patria, sfondando i due miliardi, dieci volte il valore di quelle italiane. In totale, la Premier League guadagna dai diritti TV oltre 4 miliardi di euro, quasi quanto gli altri maggiori campionati europei messi insieme.
La situazione non era così polarizzata soltanto dieci anni fa. Da allora però la Premier League ha sistematicamente scavato un solco con gli altri campionati. La crescita del valore dei diritti televisivi britannici è stata rapidissima, più che triplicando il proprio valore in un decennio. Bundesliga e Liga hanno seguito a stento il ritmo degli inglesi, mantenendo il divario relativo entro certi limiti, ma vedendo crescere quello in valori assoluti.
Il circolo vizioso dei diritti TV
Solo Serie A e Ligue 1, il campionato francese, sono rimaste indietro. Una crescita minima per entrambe, caratterizzata da uno sviluppo minimo soprattutto nel mercato estero. E proprio l’appeal internazionale sembra essere il fattore decisivo per questa partita. Sommando tutti i campionati europei, il guadagno dalla vendita dei diritti televisivi al di fuori del territorio nazionale vale il quadruplo di dieci anni fa. Anche in questo caso l’Italia si distingue in maniera negativa. Passa infatti dai 90 milioni di ricavato dalle trasmissioni all’estero del 2010 ai 223 milioni del 2022, meno del triplo.
Questi numeri di per sé non chiariscono l’intero scenario. Bisogna infatti aggiungere che, per i grandi club, i diritti TV rappresentano circa il 45% dei ricavi. Per quelli più piccoli invece questa cifra sale fino a raggiungere il 75%. Una gran parte del potere economico delle squadre di calcio deriva quindi dall’appeal del proprio campionato, e massimizzare le entrate derivanti dalla vendita dei diritti di trasmissione delle partite è fondamentale per la competitività, in campo e sul mercato.
Si realizza così una spirale, che può portare i campionati in vetta all’Europa come spingerli alla periferia del calcio. Un aumento dei ricavi dai diritti TV significa più disponibilità di denaro per i club, che sono così in grado di accaparrarsi i giocatori migliori sul mercato. Il campionato aumenta così di competitività, ne giovano lo spettacolo e il numero di spettatori, e di conseguenza aumenta anche il valore dei diritti TV. Dall’altra parte però un calo degli introiti dalla vendita delle trasmissioni televisive comporta una diminuzione della disponibilità economica, della competitività e quindi dei diritti TV stessi.
Il dilemma della media company
Nonostante il tema sia quindi molto pressante, non si procede. «La Serie A deve ancora decidere cosa fare», ha detto il Presidente Lorenzo Casini al Business of Football Summit. La scelta ora, ancora prima che quella su chi avrà i diritti di trasmettere le partite del campionato italiano, è di forma: la Lega di Serie A deve diventare una media company? Serve un ente esterno, controllato dai club o dalla Lega stessa, che permetta di vendere meglio il prodotto del calcio italiano?
Domande in piedi dal 2020, quando il fondo CVC offrì 1,3 miliardi di euro per il 15% dei ricavi di una media company che rappresentasse la Serie A. I club però si spaccarono, la Lega non riuscì a decidere e l’affare saltò.
CVC però non rinunciò alle sue ambizioni calcistiche. L’anno successivo avviò i contatti con La Liga, il campionato spagnolo, che accettò la sua offerta. 2,7 miliardi per il 10%, tanto i club iberici riuscirono a strappare dalla vantaggiosa posizione di secondo campionato d’Europa.
Chi si oppone ai soldi dei fondi
Oggi la Lega di Serie A discute ancora una volta di fondi, banche e media company. Da JP Morgan a Goldman Sachs, sono almeno sette gli interessati a una fetta della Serie A. Il modello è sempre quello del 2020: una parte dei ricavi per soldi freschi, milioni da investire subito per tornare a essere competitivi. I sostenitori di questa alternativa vedono nell’iniezione di denaro da parte di investitori esteri un modo per far ripartire quel circolo virtuoso che ha portato Liga e Premier League al centro del calcio europeo.
Le risorse raccolte dall’accordo con un fondo di investimento sarebbero impiegate dai club per tornare competitivi. Accaparrarsi alcuni dei migliori talenti europei comporterebbe un aumento del livello del campionato e quindi un conseguente miglioramento del valore dei diritti TV.
Al momento però esiste un fronte compatto contro questa opzione. Napoli, Torino, Lazio e Milan, per voce dei propri Presidenti o proprietari, si sono espressi contro l’entrata dei fondi di investimento nel calcio italiano. L’opzione più probabile sembra quindi quella di proseguire nelle trattative con i broadcaster, DAZN, Sky e Mediaset su tutti, che fino a qui si sono contesi la trasmissione delle partite di Serie A. Questo stesso fronte aveva tentato di prolungare per altri due anni l’accordo con DAZN-Sky, con un emendamento che però il parlamento non ha approvato.
La terza via: la Lega compra Sky?
Esiste anche una terza ipotesi, una strada alternativa che fonti giornalistiche hanno ventilato attorno al consiglio di Lega tenutosi a metà marzo. La Lega Calcio potrebbe fare tutto da sola, trasmettere le partite, facendo pagare il proprio abbonamento e tenendosi la totalità dei ricavi così ottenuti.
Una strategia di questo tipo richiederebbe un’infrastruttura notevole. Sarebbe molto costosa da organizzare da zero e difficilmente realizzabile in un’estate, in modo che sia pronta per la prossima stagione. Da queste difficoltà tecniche, arriva l’ipotesi più avventata: presentare un’offerta per Sky Italia.
È stato poi lo stesso Amministratore Delegato della Lega, Luigi De Siervo, a confermare che l’idea di acquistare piattaforme già stabilite in Italia per creare un’emittente proprietaria sarebbe stata discussa in assemblea. Non solo Sky nelle parole dell’AD, ma anche DAZN, era entrata nei discorsi dei club.
Le problematiche relative a questa operazione sono però molteplici. Anche se la Lega riuscisse a presentare un’offerta in grado di convincere Comcast a vendere la propria emittente italiana, i club dovrebbero decidere cosa fare del resto della piattaforma. Acquistare l’intero pacchetto significherebbe gestire una delle più grandi emittenti a pagamento italiane. L’alternativa è proporre l’acquisto di Sky Calcio, e non dell’intera azienda.
La legge contro la pirateria
Uno degli elementi che indebolisce la posizione dei club italiani al momento della vendita dei diritti televisivi è la pirateria. Il valore sottratto da queste pratiche al sistema calcio è stimato dagli stessi club il 300 milioni di euro all’anno, quasi un terzo di ciò che le squadre incassano annualmente dall’attuale accordo con DAZN-Sky. Una cifra che, se recuperata, permetterebbe alla Serie A di tornare al terzo posto tra i campionati europei per valore delle proprie trasmissioni televisive, superando la Bundesliga tedesca.
Più che la pirateria “gratuita”, a spopolare in Italia è soprattutto il cosiddetto “pezzotto”. Si tratta di abbonamenti illegali, che sfruttano decoder acquistabili legalmente per connettersi a IPTV irregolari. In questo modo l’utente paga qualcuno che trasmette partite, ma anche film o serie TV, senza averne il diritto. Questa pratica coinvolgerebbe fino a 5 milioni di italiani secondo le ultime stime, diffuse dalla stessa Lega Calcio.
Proprio gli utenti del pezzotto sarebbero l’obiettivo della nuova legge anti pirateria in discussione in parlamento. L’idea del governo sarebbe quella di punire non soltanto chi fornisce gli abbonamenti, ma anche gli utilizzatori. Normalmente non è possibile punire gli utenti della pirateria. Le leggi internazionali prevedono che siano solo i siti internet a essere responsabili dei contenuti che ospitano.
La nuova legge italiana permetterebbe però, oltre al carcere fino a tre anni per gli organizzatori e multe superiori ai 15.000 euro, di arrivare a punire i fruitori. Sanzioni di più di 5.000 euro per chi usa il pezzotto, ma la nuova normativa cambia anche il ruolo dell’Agcom. L’autorità potrà oscurare i siti che trasmettono le partite dopo soli 30 minuti, con una semplice comunicazione al magistrato. In questo modo dovrebbe diventare difficilissimo ospitare una partita illegalmente su un sito, rafforzando di conseguenza la posizione dei club nei confronti degli acquirenti dei diritti TV. ©
Articolo tratto dal numero del 15 aprile 2023. Abbonati!