sabato, 5 Ottobre 2024

Matrimoni di destinazione: Italia prima in Europa

Sommario
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Matrimoni di destinazione in aumento. Parliamo di quegli eventi organizzati in una destinazione estera rispetto a quella di appartenenza, che vede l’Italia posizionarsi come una delle mete favorite dai turisti internazionali. E non solo. Infatti, sempre più futuri sposi italiani rispetto al passato stanno optando per celebrare il loro fiori d’arancio in una località diversa da quella di residenza. Nello specifico, nel 2022 nel nostro Paese si sono svolti oltre 11,1 mila matrimoni di coppie straniere. Con un numero medio di invitati per ciascun evento di circa 55/56 persone e una permanenza media di 3,3 notti. A conti fatti il totale di presenze turistiche ha oltrepassato i 2 milioni (circa 619 mila arrivi). Per un giro d’affari stimato di poco meno di 600 milioni di euro con una spesa media per evento di 53,8mila euro.

Un anno d’oro insomma per il settore, che supera i livelli pre-covid del 2019 per numero di eventi (+30%) e numero di arrivi e presenze (+30%). Seppur ci sia stata, risulta tuttavia più contenuta la crescita del fatturato, che supera solamente di 60 milioni di euro la cifra del 2019 (dati Centro Studi Turistici di Firenze per Italy for Weddings). Ma che conferma l’andamento positivo e il fascino del nostro Paese e delle esperienze che ha da offrire agli occhi dei turisti. E le stime se si guarda al futuro sono decisamente ottimistiche. Basti immaginare che le location per il 2024 sono già prenotate per il 50%. Salvo imprevisti, si prevede una crescita dei ricavi fino a quasi 750 milioni di euro.

A livello globale, nel 2021 il valore di mercato si attestava a 22,81 miliardi di dollari. Si crede che raddoppierà entro la fine del 2027. Raggiungendo 54,44 miliardi di dollari con una crescita CAGR del 6% durante il periodo di previsione 2022-2027 (dati Market Data Forecast). Numeri incoraggianti per un’industria come questa. Industria composita e complessa che coinvolge anche altri settori e solamente in Italia conta oltre 30 professionalità, circa 50mila operatori economici (dalle grandi aziende ai singoli professionisti) e che dà lavoro a circa 500mila persone, di cui 300mila stabili. Guardando all’estero il Nord America detiene in modo significativo le quote più elevate del mercato, seguono Europa, Asia Pacifico, America Latina, Medio Oriente e Africa.

L’offerta di sconti interessanti nei pacchetti, unita alla presenza di luoghi culturali e storici, sta facendo salire notevolmente la domanda in nel Vecchio Continente. Ma si stima che saranno le quote di mercato dei matrimoni di destinazione in Asia Pacifico a raggiungere il CAGR più alto nei prossimi anni. Con l’India in prima linea. Nell’intento di aumentare le entrate del turismo tra i 600 e 700 miliardi di baht (16 miliardi – 19 miliardi di dollari), ad esempio la Thailandia ha deciso di intercettare e “prendere di mira” quei gruppi ad alta spesa legati alle feste di matrimonio indiane e viaggi di nozze. Il Paese spera di attingere alla “domanda repressa” della multimiliardaria industria indiana dei matrimoni.

«Qui da noi il 2022 è stato un anno eccezionale», dice Serena Ranieri, Presidente di Feder Matrimoni ed Eventi Privati – associazione nazionale di categoria che rappresenta tutti i professionisti e le aziende del settore. «Ma l’aumento dei festeggiamenti è stato in gran parte dovuto alla riprogrammazione di eventi cancellati in precedenza a causa della pandemia. L’anno vero di ripartenza/ripresa (per le statistiche future, gli andamenti del mercato e per le aziende) è quello in corso, il 2023».

Quali sono le aspettative?

«Non ci aspettiamo assolutamente una stagione come quella del 2022. Il 2023 è e sarà un anno paragonabile agli anni pre-covid (2018-2019). Com’era prevedibile quindi, i matrimoni italiani hanno subito una lieve battuta d’arresto quest’anno, e pensiamo che la flessione continui anche il prossimo. Invece è in assoluto aumento tutto ciò che riguarda il destination wedding, ovvero i matrimoni di stranieri nel nostro Paese. Gli stranieri che hanno voglia di celebrare i loro voti nuziali vengono in Italia perché trovano il nostro territorio sicuramente più economico rispetto agli anni passati e rispetto alle loro nazioni. Ma soprattutto vedono nell’Italia una nazione sicura anche  rispetto alla politica estera dei nostri competitor come la Francia o la Grecia. L’Italia è considerata una regione sicura sulla quale poter investire con tranquillità per un giorno così importante come quello del matrimonio.

Ma non solo. L’aumento del turismo di destinazione legato ai matrimoni è anche collegato a diversi progetti, come ad esempio quello di rivalutazione dei borghi antichi. Progetti che stanno funzionando molto bene compensando anche il piccolo calo dei matrimoni e degli eventi normali. Un’altra cosa rilevante che abbiamo notato è il fatto che c’è stato un decremento, in termini volumi e valore, per le feste di altro tipo come comunioni e battesimi. Decremento legato a sua volta a una diminuzione delle nascite. Il nostro settore è espressione di questi settori molto significativi per l’Italia, anche in termini economici. Il quadro che abbiamo davanti (eccetto il destination wedding) presenta una situazione di leggera depressione».

A quali fattori è dovuto questo rallentamento?

«Fondamentalmente ci sono due motivazioni. In primo luogo è normale che ci siano meno celebrazioni rispetto all’anno scorso. Nel 2022 abbiamo visto un boom derivato dalla somma di due anni di blocco totale. Mentre la seconda motivazione può essere riconducibile ai crescenti rincari che hanno abbassato i consumi delle persone. Questo ha portato a un fenomeno di attesa, nel senso che le persone attendono un periodo migliore per poter festeggiare come loro desiderano. Infatti, c’è da dire che il matrimonio negli anni ha cambiato veste, è diventato sempre più un momento sociale e social, quindi sono cambiati gli obiettivi, le aspettative e di conseguenza gli investimenti fatti nell’evento.

Si danno delle priorità nuove, più legate al consumo piuttosto che alla cerimonia come atto d’unione, e il ragionamento è fondamentalmente questo: se non posso permettermelo quest’anno, preferisco aspettare e rimandare a un periodo migliore piuttosto che privarsi di qualche vezzo e dettaglio in più che reputo importante se non indispensabile. La cerimonia vista come semplice celebrazione d’amore passa così in secondo piano rispetto a queste nuove priorità che stanno emergendo con sempre più forza».

Ci sono cambiamenti rispetto al pre-pandemia?

«Ce n’è uno legato alle tradizioni, molte si stanno infatti pian piano perdendo. Si sta andando verso una rinuncia di quelle che erano caratteristiche tradizioni italiane. Come tutto ciò che era legato ai confetti e alle bomboniere (spesso simbolo artigianale o del territorio) ad esempio. Noi come associazione tendiamo a tutelare e invogliare i nostri associati a riprendere queste tradizioni che fanno parte della nostra cultura e che sono comunque fonte di reddito per molti artigiani e piccole imprese locali. C’è stato quindi un abbassamento di questo tipo di consumi.

Poi va fatto notare che non esistono più, o sono comunque sempre più rari, i grandi matrimoni all’italiana in termini di presenze numeriche. Questa cosa al nord è cambiata già da tempo, ma continuava a resistere al sud Italia (Campania, Puglia, Sicilia, per citare qualche regione); parliamo di feste da almeno 400/500 invitati o anche più. Diciamo che ultimamente non se ne vedono più tante, questi numeri sono stati più che dimezzati, ora consideriamo feste enormi quelle da 200 invitati. Non c’è niente di male, ma ricordiamo che fino al 2018/2019 un matrimonio tradizionale nel meridione contava almeno 400 persone». 

Quali difficoltà hanno affrontato le aziende protagoniste e quali sono le sfide attuali?

«La prima è indubbiamente il lungo periodo di stop affrontato in seguito alla pandemia di coronavirus. Un’azienda può sopravvivere un anno con i pochi aiuti che sono arrivati come la cassa integrazione e poco altro, ma addirittura sopravvivere due anni è stata davvero un’impresa ardua. Alcune aziende infatti, anche fiorenti che davano lavoro a molte persone, non ce l’hanno fatta. Questo è un grave buco nel mercato perché abbassa il nostro livello di competitività a livello internazionale; molti dei nostri operatori italiani non ci sono più e quindi adesso molti dei “prodotti” indispensabili per i matrimoni (dalla musica agli abiti da sposa) vengono importati dall’estero.

Come se questo non bastasse, allo stesso tempo non si trova più personale, ed è un altro grande problema. Ciò è avvenuto perché le persone che prima lavoravano saltuariamente/stagionalmente in questo ambito, non vedendo più sbocchi nel settore dei matrimoni per due anni, si sono reinventate in altri ambiti. E quindi noi oggi affrontiamo questa ulteriore difficoltà senza alcun tipo di aiuto».

Da dove vengono le coppie straniere che scelgono l’Italia e perché proprio il nostro Paese?

«Perché come dicevo prima l’Italia è considerata affidabile e perché nonostante siano aumentati i prezzi rimane comunque una nazione concorrenziale, in termini economici, rispetto ad altri posti come nord Europa, Stati Uniti o Australia, ad esempio. Sicuramente al turista conviene venire a sposarsi in Italia perché, spesso, a parità di spesa si ottengono dei servizi e una qualità decisamente superiore. Basti pensare al cibo, vino, al clima o alla bellezza dei nostri paesaggi.

Per quanto riguarda il chi invece, abbiamo un’altissima richiesta da parte del nord America (dalla California in primis) e l’Inghilterra. Da quest’ultima però ci arrivano richieste che non sono sempre di sposi inglesi ma spesso e volentieri sono arabi, libanesi o indiani che hanno però la loro sede a Londra. Significativo è anche il dato dei Paesi Arabi, anche se non in termini di volume ma più in termini di valore, poiché parliamo di una clientela minore ma altospendente».

E per quanto riguarda i russi?

«La guerra non ha impattato sui matrimoni della clientela russa in Italia. Il wedding tourism non si è fermato, i matrimoni russi ci sono ancora e anche quelli ucraini. Chi ha la possibilità economica di potersi venire a sposare in Italia invitando persone da tutto il mondo lo fa ugualmente; è chiaro però che vengono a mancare le fasce medie che sono quelle che soffrono di più la guerra e che comunque facevano numero».

Come vanno gestite questioni come overbooking e turismo di massa?

«L’Italia sta esagerando con il turismo di massa. In Friuli ad esempio si sta studiando il discorso del numero chiuso per quanto riguarda il turismo, e non hanno poi tanto torto. Alcune fasce turistiche, anche per quanto riguarda il nostro settore, vanno un po’ demotivate a favore magari di altre mete più economiche come la Grecia o la Spagna. Noi avevamo un turismo medio alto e lo stiamo portando verso un livello medio basso con le strategie di overbooking.

Dobbiamo renderci conto che i nostri territori sono preziosi e purtroppo limitati, abbiamo tante piccole perle che meritano di essere rispettate e visitate con calma da tutti, ma bisognerà studiare un numero massimo di capacità ospitante per non deturpare questi luoghi. Sono sicura che anche nel wedding tourism si arriverà a fare questo. Perché se sommiamo i normali flussi turistici a quelli legati ai matrimoni, la situazione e il territorio diventano davvero ingestibili e, soprattutto, invivibili. Non è bello, non fa bene all’Italia, agli italiani e non fa assolutamente bene all’immagine del nostro Paese all’estero».

Quali sono le mete più gettonate?

«Rimangono sempre, e da decenni ormai, quelle storiche e iconiche che tutto il mondo ci invidia: come la Costiera Amalfitana, Firenze, il Sienese e tutta la zona del Chianti e il Lago di Como. Però, anche grazie al lavoro dei destination wedding planners, si sta cercando di convogliare il flusso anche in altre mete molto belle e preparate come Puglia, Sicilia o tutta la parte del Veneto (come Verona, le Ville Palladiane o la zona dell’Amarone). Anche per dare alternative esperienziali comunque di lusso. Noi stiamo portando avanti il progetto dei borghi, e dei destination wedding all’interno di questi, ovvero promuovere questi paesi come mete per le nozze e far vivere alle persone un’esperienza vera, autentica e italiana. Questa cosa sta già riscontrando dei feedback molto positivi e abbiamo molte richieste e speriamo che negli anni possa solamente crescere».

Hotel e resort di lusso sono ancora attrattivi per i futuri sposi?

«Esistono due tipologie di clienti nettamente diverse. Chi è abituato a stare negli hotel di lusso non vi rinuncerà, e quindi le grandi catene si stanno predisponendo ai destination wedding oltre che tutti i servizi legati all’albergo. Perché chi vuole questo tipo di attenzione nel servizio non  è assolutamente predisposto a scendere a un compromesso, seppur si tratti di un’esperienza diversa. Viene in Italia perché vuole quel servizio.

Poi, per fortuna, c’è un’altra fascia di clienti, magari anche più giovane, che punta sull’esperienza tricolore e che si lascia sedurre da un’offerta diversa rispetto all’hotel 5 stelle. Ma benché non scelgano un luxury resort esigono comunque un servizio di altissimo livello, ed è qui che l’Italia un po’ pecca rispetto al resto del mondo. Purtroppo in Italia, al di fuori degli hotel 5 stelle, il lusso non si conosce ancora molto bene. Bisogna lavorare dunque sulla formazione e riformazione di territori e luoghi (borghi, masserie ecc.) in cui poter fare eventi offrendo un servizio di alta gamma».

Quali sono le politiche da implementare a favore del vostro settore?

«Innanzitutto il riconoscimento della categoria, di alcune figure professionali che lavorano nel nostro ambito sul territorio italiano, sarebbe già un buon passo. Ma anche il riconoscimento di nuove professioni come i fotografi matrimonialisti o i destination wedding planners. Per fare un esempio concreto: i destination wedding planner studiano il territorio esattamente come farebbe un tour operator. Creano un’esperienza come fa un’agenzia di viaggi e in più organizzano. Creano un matrimonio come i wedding planner, ma paradossalmente non rientrano in nessuna delle tre categorie. Bisogna rendersi conto che le professioni nascono più rapidamente di come viene percepito a livello politico-burocratico.

Sarebbe d’aiuto anche fare un censimento delle aziende che lavorano nel mondo dei matrimoni a livello nazionale. Sono sicura che così si comprenderebbe finalmente che il valore economico del nostro settore e delle nostre imprese è gigantesco. Tra le altre cose, sarebbe necessaria anche più formazione specifica garantita dallo Stato e quindi dagli enti formativi riconosciuti, anziché lasciata nelle mani di enti privati.

Anche se poi alla fine noi siamo un settore che ha imparato a salvarsi da solo, per fortuna non manca mai il cliente, anche nei momenti di crisi quando si abbassano numeri e richieste. Però il covid ci ha insegnato che la dignità di impresa, di settore, di imprenditore, di lavoratore va comunque e sempre riconosciuta. Perché tanto prima o poi arriva il momento in cui servono aiuti concreti da parte del Governo e non dobbiamo farci trovare nuovamente impreparati; abbiamo già visto una volta cosa è successo e la relativa mancanza di tutele, non dobbiamo ricascarci una seconda volta per pretendere ciò che è sostanzialmente dovuto». ©

Foto: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 1 Maggio 2023. Abbonati!