giovedì, 28 Marzo 2024

Vola il turismo: previsti 47 miliardi per l’economia

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Tra città d’arte e cultura, mare, natura e storia: il turismo è uno dei business portanti e fondamentali per l’Italia. Ma negli ultimi anni il settore ha attraversato momenti difficili: in primis la pandemia, seguita a ruota dalla guerra Russia-Ucraina che ha portato con sé aumenti dei prezzi delle materie prime e rincari energetici. A condire il tutto poi si sono aggiunte la crescente inflazione e la crisi economica. Nonostante ciò, il turismo nostrano sembra riuscire a riprendersi da questi anni bui.

Dopo una perdita complessiva di circa 24 miliardi di euro, il 2022 sembrerebbe essere stato l’anno del ritorno alla “normalità”, o almeno quello del rimbalzo. I primi nove mesi sono stati infatti caratterizzati da un forte recupero per il settore turistico, ma le presenze dei clienti negli esercizi ricettivi sono ancora inferiori ai livelli pre-covid: circa 39 milioni ovvero il 10,3% in meno rispetto al 2019 (DATI Istat). Tuttavia, negli esercizi extra-alberghieri le presenze sono tornate ai livelli pre-pandemici.

E, nonostante tutto, l’industria sembra essere ben indirizzata per la prossima stagione estiva e tutto il 2023. Le previsioni di mercato stimano che tra giugno e settembre saranno circa 28 milioni gli italiani in partenza, con una spesa media di 300 euro a testa per un fine settimana; cifra che sale a 540 euro per una vacanza tra i 3 e i 6 giorni e arriva a 1250 euro se parliamo di almeno 7 giorni di vacanza. Se le stime fossero confermate si riverserebbero un totale di circa 47 miliardi di euro nell’economia nazionale (DATI Osservatorio Confturismo).

Il valore dell’intero settore sfiora invece i 200 miliardi (era 214 miliardi nel 2019), rappresentando la cospicua fetta del 10% del PIL nazionale. Anche a livello di occupati il dato è importante, con quasi tre milioni di impiegati nel settore (12,5% dell’occupazione complessiva). Al contrario,  il comparto si trova a far i conti con una crescente mancanza di personale, specializzato e non.


Per quanto riguarda i flussi turistici nel 2019 si erano raggiunti circa 64,5 milioni di arrivi internazionali. Dopo una brusca caduta a 25-27 milioni di arrivi tra 2020 e 2021, nel 2022 abbiamo già assistito al rimbalzo a 51,4 milioni. Se il trend positivo dovesse continuare il 2023 sarà l’anno del pareggio o del sorpasso in rapporto al dato pre-pandemico. Ampliando il quadro, invece, l’Europa è il primo continente a livello mondiale per turismo, con l’Italia sul terzo gradino del podio. A precedere solamente Francia e Spagna, rispettivamente al primo e al secondo posto. Alla luce di questi numeri, abbiamo chiesto un parere sul settore turistico al Fondatore e Direttore di Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e di FareTurismo, Ugo Picarelli.

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«Ci aspettiamo un incremento significativo dei flussi turistici verso l’Italia per la prossima stagione, la tendenza attuale dà segnali più che positivi. Questo naturalmente mette in condizione sia gli operatori sia i titolari di strutture e chiunque lavora in questo mondo di essere pronti a guardare al futuro in maniera più tranquilla e serena. Anche in considerazione degli investimenti che ogni imprenditore del turismo fa ed è giusto che faccia.

Allo stesso tempo, questo significa anche un necessario coordinamento da parte di chi ha la governance del turismo. Mi riferisco soprattutto alle Regioni che di fatto hanno la titolarità della promozione. Anche se purtroppo e spesso si tratta di una promozione non omogenea, che prende delle strade isolate. Ora, con l’Enit (Agenzia Nazionale del Turismo, ex Ente Nazionale Italiano per il Turismo)  che sta ricevendo delle risorse più cospicue rispetto a qualche decennio fa, ci auspichiamo un coordinamento congiunto dell’attività promozionale delle Regioni, anziché continuare ad andare avanti in maniera isolata».

Il coordinamento delle regioni è quindi secondo lei la chiave per una crescita forte e omogenea?

«Sì, perchè secondo me non possono andare individualmente all’estero e sviluppare attività di promozione. Ci deve essere un coordinamento nazionale attorno al brand Italia, che di fatto annovera tante destinazioni. Ma se iniziamo a promuovere le singole località con tanti brand regionali e territoriali, alla fine non facciamo altro che confondere i mercati della domanda che vogliamo intercettare. E non dimentichiamo che questi mercati possono anche essere di grande estensione, come quello cinese ad esempio.

Non parliamo al momento della Russia perché non ci sono le condizioni per cui guardare alla regione nel prossimo futuro. Resta il fatto che un continente asiatico che comincia a riprendersi dopo la pandemia, prima il Giappone e adesso la Cina, è una grande opportunità che non dobbiamo farci sfuggire. Recuperare questi flussi turistici di provenienza orientale sarebbe interessante anche per compensare quanto meno quel mercato russo che guardava a molte regioni italiane, soprattutto per la fascia di lusso».

La pandemia è ormai un lontano ricordo, quindi?

«Come ho detto le previsioni sono positive, confidiamo in un incremento che supererà i numeri del 2019. Tutto quel processo di crescita dei flussi turistici interrotto allora riprenderà almeno con la stessa intensità e velocità. Sicuramente non ci attendiamo rallentamenti».

Su cosa bisognerebbe investire per far crescere il settore?

«In questo momento c’è una criticità non di poco conto che non si sa come poter risolvere: quella dell’occupazione. La pandemia ha determinato l’allontanamento dei lavoratori dal turismo, che non potendo più far affidamento sulla precarietà del settore si sono rivolti ad altre aree trovando lì un lavoro ritenuto più “sicuro”. Al tempo stesso c’è una disaffezione da parte del mondo giovanile a vedere nel turismo il proprio futuro professionale.

Sia perché le paghe sono molto basse rispetto ad altri settori (a fronte di turni anche molto lunghi) sia perché i giovani, diciamolo pure, non sono disposti a mettere a disposizione i fine settimana, così come il comparto per sua stessa natura richiede. La domanda delle strutture ricettive è infatti molto alta nei weekend, visto che oggi si viaggia di più e si viaggia corto. Non solo negli hotel, ma anche nell’ambito della ristorazione, che nei fine settimana necessita l’occupazione di personale di sala maggiore. Detto questo, lo Stato deve intervenire per cercare di sviluppare degli aiuti virtuosi, non episodici».

Come intervenire concretamente per far fronte al problema delle occupazioni stagionali?

«La Regione Liguria, ad esempio, darà contributi alle imprese turistiche che assumono. Ci sarà uno scaglione da 1500 euro (per chi assume per pochi mesi) fino a 6mila per chi assume a tempo indeterminato. Io però non ritengo che questa possa essere una soluzione sostenibile. È senz’altro un aiuto discreto alle imprese, questo è inopinabile, ma a mio avviso non è così che si risolvono i problemi. Si dovrebbe intervenire a decontribuire le imprese che sono disposte ad allungare la propria stagionalità. In primo luogo il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali dovrebbe dare la possibilità di allungare i contratti stagionali oltre i sei mesi.

Anche alla luce del fatto che in molte località turistiche, costiere e non, ci sono 20 gradi ancora a novembre. E non è un’utopia, basterebbe anche iniziare a fare delle attività promozionali all’estero di pacchetti a bassa capacità di spesa per settori come turismo associativo, scolastico e quant’altro ancora; in questo modo è assolutamente possibile allungare la stagione con cognizione di causa. Tornando al discorso dei contratti, se ci si aprisse a questa eventualità, lo Stato e le Regioni potrebbero intervenire con la decontribuzione, per dare continuità all’occupazione. In questo modo si darebbe anche, e soprattutto, continuità a un indotto di cui potrebbero beneficiare indirettamente anche altri settori, nonché l’intera economia».

Esistono altre ragioni dietro la mancanza di personale specializzato?

«Bisogna riprendere le redini della formazione scolastica, a partire dagli istituti alberghieri. Spesso questi ultimi sono infatti datati, sia nella formula che nella proposta formativa. È necessario rivedere tutti i percorsi didattici e cercare anche di riqualificare il corpo docente. Se gli studenti hanno la possibilità nel periodo scolastico di frequentare le aziende con dei progetti ad hoc, perché non fare altrettanto anche per i docenti? Anche loro hanno tutto il diritto, e forse dovere, di aggiornarsi e formarsi continuamente. Ma soprattutto a tanti di loro manca la consapevolezza di come funziona l’industria turistica nei fatti. I docenti dovrebbero potersi avvalere di uno specifico percorso di aggiornamento, come può essere l’alternanza scuola-lavoro per gli studenti.

Dovrebbe esserci un progetto per far vivere loro in prima persona le imprese, e toccare con mano quello che le aziende vogliono dal mondo della scuola. Questa riflessione può essere poi applicata al mondo universitario. Non va bene che molti corsi di laurea in turismo, triennali o magistrali che siano, continuino a proporre un’offerta formativa ormai datata e anacronistica. E vediamo poi i risultati nella realtà, con le poche iscrizioni ai corsi, che a stento raggiungono poche decine di iscritti. Con il rischio che non possano sopravvivere. Insomma, dobbiamo mettere in campo un’offerta accademica e statale riqualificata. Come? Facendo sondaggi sul territorio e confrontandoci con le imprese. Perché saranno poi queste ad assumere i neolaureati. Questo è il primo problema che va affrontato.

Non meno importante è poi la ricollocazione nel mondo del lavoro, di extracomunitari residenti nel nostro paese ma anche di cittadini italiani a pieno titolo. Il loro inserimento nel mercato del lavoro turistico è importantissimo, anche vista la necessità di personale».

Durante e subito dopo la pandemia possiamo dire che gli italiani hanno riscoperto l’Italia. Oggi che la situazione è più “tranquilla”, in che direzione si muove il turismo?

«Sembra che il  turismo italiano stia già ritornando alle dinamiche di prima. Significa preferire le destinazioni estere e, in un certo qual senso, dimenticare le tante mete nostrane. Stiamo sicuramente perdendo nuovamente quella domanda nazionale di prossimità che avevamo recuperato. Credo che quest’estate l’Italiano, in media, opterà per passare le ferie all’estero».

Cosa aspettarsi dai flussi turistici internazionali?

«La domanda europea è quella che di fatto ha tradito negli ultimi 10 anni il nostro Paese a favore di destinazioni a noi concorrenti. Ci ritroviamo  a dover fare i conti con Paesi come Spagna e Grecia in un contesto altamente competitivo. Il nostro compito, per non perdere quote di mercato, è intercettare nella maniera migliore possibile la domanda, in particolar modo quella tedesca, francese e inglese. La Grecia ad esempio ci toglie sempre più quote, non solo da parte dei nostri connazionali, ma anche per quanto riguarda i flussi dall’estero.

Oltretutto, non dobbiamo sottovalutare il fatto che abbiamo un’offerta di lusso che ha ancora un potenziale di espansione e crescita esponenziale. Soprattutto se guardiamo alla domanda high budget, ci rendiamo conto che è sempre più forte, e mette in luce un mondo di nuove opportunità per il nostro Paese. Per far ciò dobbiamo espandere i nostri orizzonti, provando a intercettare i mercati arabi, ma anche quello australiano, ad esempio, spesso sottovalutato. Oppure, ancora, attirare i viaggiatori che vengono dall’India e dal Vietnam: mercati questi due che potrebbero aprirsi da un momento all’altro. Bisogna ricordare che la fascia più ricca della popolazione di questi Paesi possiede ampie capacità di spesa».

Chi è oggi il turista?

«Oggi l’offerta del turismo è molto variegata. Non esiste più il turista, ma una figura che chiamiamo “viaggiatore”. Un individuo che non vuole solo vedere posti nuovi, ma soddisfare dei bisogni, vivere esperienze, conoscere le identità territoriali e le tradizioni. Ciò rappresenta una grande opportunità per il territorio, perché non andiamo più a vendere solamente il prodotto turistico culturale o quello balneare tradizionale. Ma oggi parliamo di un turismo esperienziale, enogastronomico, culturale a 360 gradi. Il viaggiatore si sposta alla scoperta di più località italiane».

Cosa pensa della proroga delle concessioni balneari?

«A mio avviso, dobbiamo semplicemente rispettare le norme. Se facciamo parte di un contesto europeo, è nostro dovere rispettare i patti ed evitare di creare degli equivoci o false promesse. E siccome queste false promesse durano da decenni è importante superare la politica delle piccole cose. Come ben sappiamo, in molti comuni si sono date concessioni senza fare l’interesse del proprio territorio e ne abbiamo visto le conseguenze. Dopodiché, anche per quanto riguarda i balneari io vedo un grosso potenziale di offerta, che può essere implementato attraverso servizi adeguati e lo sviluppo di  un’occupazione, che potrebbe benissimo andare oltre i tre mesi convenzionali della stagione estiva». ©

Articolo tratto dal numero del 1 Aprile. Se vuoi leggere il giornale, abbonati!

Dopo gli studi universitari in relazioni internazionali e un master in Communication & brand management inizia subito a lavorare nella moda a Milano. Scrive a tempo pieno per diverse testate occupandosi di business, moda, lusso e design. La conoscenza finanziaria maturata nell'editoria e l’occhio per le ultime tendenze sono i suoi punti di forza.