Il PIL tedesco cala ancora e la Germania entra in recessione. Profetizzata da tempo, la contrazione dell’economia fa paura ai mercati. Ma si tratta solo di una scossa di assestamento o è segno di una crisi profonda?
Il PIL va a meno 0,3%
La pubblicazione, nell’ultima settimana, dei dati relativi alla crescita tedesca ha segnato una netta correzione al ribasso nelle previsioni. Il PIL scende dello 0,3% nel primo trimestre, rispetto alla crescita zero pronosticata. La Germania entra così in quella che è chiamata in gergo una “recessione tecnica”, contrassegnata da una successione di due quarti di decrescita in fila uno all’altro. Già nel corso di Q4 2022, infatti, i numeri erano andati in rosso, con una decrescita dello 0,5%. Le principali responsabili sono, al solito, il calo nella produzione industriale e l’inflazione che divora i consumi, in un circolo vizioso alimentato dall’ostinato caro energia. Nello specifico, la prima, ancora in crisi dalla pandemia, ha visto un crollo dell’output del 3,4% in un mese tra febbraio e marzo di quest’anno.
Un budget difficile
Insomma, la situazione non è delle più rosee. Mai come ora l’economia tedesca avrebbe bisogno di una bella spinta. Eppure, il Paese non sembra essere nelle condizioni migliori per imprimerla artificialmente, attraverso un intervento pubblico. Da sempre tra i “primi della classe” quando si tratta di conti virtuosi, Berlino sembra avere un crescente problema di debito. In particolare, l’aumento dei tassi d’interesse ha letteralmente decuplicato la spesa annua per interessi dai 3,9 miliardi di euro del 2021 a quasi 40 (Federal Statistical Office). Una cifra comunque relativamente accettabile (l’Italia nel 2022 ha dovuto rimborsare ben 84 miliardi), ma che contrae margini di spesa sempre più stretti. Il budget pubblico è sempre più risicato: secondo le previsioni del Ministro delle Finanze, Christian Lindner, di qui al 2027 il gettito fiscale si ridurrà di circa 30 miliardi di euro all’anno, per un totale di circa 150 miliardi in meno in cinque anni. Non a caso, il problema delle finanze è al momento il più scottante nel panorama politico tedesco. Il Governo, composto da tre partiti con idee piuttosto divergenti in materia (socialisti, liberali e verdi), potrebbe non avere l’unione d’intenti necessaria a portare avanti un piano di emergenza per la ripresa. «Sarà il bilancio più difficile in dieci anni» anticipa Dennis Rohde, incaricato alle finanze nel partito di maggioranza relativa, i socialdemocratici del cancelliere Olav Scholz.
Europa e Germania: un legame a doppio filo
Ma se cede l’anello più forte nella catena economica europea, quali sono le conseguenze per il resto del Vecchio Continente? Per ora, non molte. A dire il vero, il calo dell’economia tedesca va in controtendenza, seppur lieve, rispetto alla media UE. A quanto pare, il PIL è salito dello 0,1% nell’Eurozona e dello 0,2% in tutta l’Unione (Eurostat). Un dato che, a prima vista, fa apparire la crescita economica dell’area come slegata da quella tedesca. In realtà, non fa altro che dire, per ora, della natura non estrema della crisi in corso. Se infatti la Germania cominciasse a soffrire più pesantemente, le conseguenze sarebbero molto gravi: rappresenta uno dei primi importatori d’Europa, con un’industria pesante dalle interdipendenze fortissime. Se si guarda ai numeri, la sola Italia ha esportato nel corso dello scorso anno beni per oltre 76 miliardi di euro in Germania (il 12,25% delle esportazioni totali). In particolare, le aziende del nord Italia sono in prima linea tra i fornitori di componentistica per l’industria . Ma a marzo, le importazioni tedesche hanno registrato un -6,3% rispetto al mese precedente, fermandosi a un aggregato da 113 miliardi, l’ammontare più basso da oltre un anno (Federal Statistical Office). Dovessero scendere ancora, il Bel Paese sarebbe tra i primi a sentirne il peso.
©