Conti ancora salati per le casse dello Stato. Da una prima stima, il mese di maggio si sarebbe concluso con un fabbisogno di ben 16 miliardi di euro (Mef). Ma mentre il Governo porta avanti i suoi progetti di riforma fiscale, come si potranno coprire gli aumenti di costi, ormai all’ordine del giorno?
I dati su entrate e uscite
Dopo un aprile chiuso a meno 11.700 milioni, la storia si ripete anche per maggio 2023. Secondo quanto reso noto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel mese appena terminato le spese sarebbero state in eccesso sulle entrate di ben 16.000 milioni di euro. Per confronto, nello stesso periodo del 2022, il saldo si era fermato a “solo” 11.724 milioni di fabbisogno, per un aumento anno su anno del 36%. La principale colpevole è l’inflazione, che sospinge la crescita delle spese previdenziali, in virtù di una necessaria rivalutazione delle pensioni. Lo stesso discorso vale per le spese correnti, tanto dell’amministrazione centrale quanto di quelle territoriali, per le quali aumenta la spesa in beni e servizi. D’altra parte, il gettito fiscale non aiuta. Le entrate tributarie, secondo il Mef, si sarebbero lievemente ridotte a causa di una riduzione degli incassi dal modello F24, per via di un maggiore sfruttamento delle agevolazioni e dei crediti d’imposta disponibili.
Come coprire le spese?
Il problema della spesa crescente è più rilevante di quanto possa sembrare. Infatti, se trascurato, potrebbe contrarre considerevolmente i margini di manovra del Governo, specie se si considera che il 2024 vedrà molto probabilmente il ritorno del Patto di stabilità e del controllo europeo sulla spesa pubblica, passato il regime di deroga. In pratica, l’aumento delle uscite correnti potrebbe, se non curato adeguatamente, tagliare all’Esecutivo il budget a disposizione per attuare provvedimenti più politicamente e ideologicamente rilevanti. Per questo, la ricerca di coperture adeguate e il taglio dei costi non potranno che essere priorità nella riforma fiscale pianificata da Palazzo Chigi. Già passato alla Camera dei Deputati, il disegno di legge delega proposto dal ministro Giancarlo Giorgetti è all’esame del Senato proprio in queste settimane.
L’opportunità delle sostitutive
Un primo orizzonte su cui orientare fruttuosamente una spending review ad opera del Governo potrebbe essere quello delle imposte sostitutive dell’IRPEF. Queste tasse “piatte” (al contrario dell’IRPEF, progressiva) rappresentano un’inefficienza notevole nel bilancio dello Stato. Il risultato sarebbe un mancato guadagno quantificato in circa 9 miliardi e 400 milioni di euro all’anno (Mef, Rapporto annuale sulle spese fiscali 2022). Una cifra che, seppur non sufficiente a coprire il fabbisogno attuale, potrebbe comunque rappresentare un ipotetico 4,8% in più sul gettito totale. Nella lista nera delle sostitutive più costose troviamo nomi già noti. In cima troviamo le partite IVA con regime forfettario, responsabili di -3,5 miliardi di erosione per l’erario, seguite dalla cedolare secca per gli affitti (-2,9 miliardi), cui si affianca un’intera costellazione di altre aliquote. Ridurle di numero e renderle più efficienti potrebbe valere parecchio. Ma la flat tax è da sempre uno dei grandi sogni della compagine politica di maggioranza. E non è detto che l’Esecutivo sia così disposto a tradire il cuore pur di salvare il portafoglio, nelle prossime scelte di politica fiscale.
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