Il delisting di un titolo può verificarsi per vari motivi e ha delle implicazioni specifiche per gli investitori. Le tre ragioni principali nel caso di un ETF sono: un valore troppo basso per giustificarne la presenza sul mercato. Oppure, l’emittente decide di razionalizzare la sua offerta prodotti, scegliendo di eliminare un ETF specifico. Terzo motivo, il fondo potrebbe non essere abbastanza liquido, cioè il volume degli scambi è troppo basso per giustificare i costi di gestione da parte dell’emittente.
La società che commercializza il fondo avvisa in anticipo i detentori dell’ETF, dando loro la possibilità di vendere le loro quote sul mercato. Se non lo fanno, le quote vengono liquidate al valore netto prima del delisting e accreditate sul conto corrente dell’investitore da parte della banca.
Tuttavia, un delisting può essere anche parziale. Ad esempio, l’ETF potrebbe essere rimosso dalla Borsa di Milano, ma mantenuto su un’altra Borsa, come quella di Parigi. In questo caso, gli investitori dovrebbero essere in grado di operare su mercati esteri, il che potrebbe comportare costi aggiuntivi.
È quindi cruciale informarsi adeguatamente sulla capitalizzazione e sulla liquidità di questi fondi prima di investire. Il volume giornaliero di scambi è un buon indicatore della liquidità: un volume più alto significa un maggiore interesse verso le quote del fondo.
Nel caso delle società, possono optare per un delisting per vari motivi. Uno dei principali è la volontà di concentrarsi sulla crescita a lungo termine. Oppure, può essere causato da una persistente mancanza di interesse da parte del mercato, per esempio, a causa di una crisi dell’azienda stessa. ©
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